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Misure di prevenzione patrimoniali e revocazione: sono nuove solo le prove sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione
Cassazione penale sez. V, 24/03/2017, (ud. 24/03/2017, dep. 08/06/2017), n.28628 (Di Giorgio)
Vanno qualificate come "nuove", e dunque rilevanti ai fini della revoca della confisca, solo le prove sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione, con l'esclusione di quelle ivi deducibili ma, per qualsiasi motivo, non dedotte.
Norme di riferimento
La sentenza integrale
RITENUTO IN FATTO
Propone ricorso per cassazione D.G.D., quale terzo interessato avverso il decreto della Corte d'appello di Campobasso in data 21 novembre 2016.
Detto giudice, adito dal D.G. ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28 per la revocazione della confisca, divenuta definitiva, di un immobile, ha dichiarato inammissibile la richiesta, formulata con riferimento al provvedimento emesso dal Tribunale di Teramo il 17 marzo 2014, dispositivo della misura di prevenzione patrimoniale della confisca di due unità immobiliari a suo tempo ritenuti nel possesso della madre del ricorrente G.L., diretta destinataria del provvedimento di prevenzione.
La Corte d'appello ha giudicato inammissibile la richiesta, non sussistendone i presupposti di legge.
Sono stati ritenuti tali i soli elementi costituenti "prova nuova sopravvenuta" rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione e non anche quelli deducibili ma non dedotti tempestivamente.
Nel caso di specie si versava, secondo la Corte, nella seconda delle situazioni descritte, avendo il richiedente soltanto dedotto - e nemmeno documentato - che uno dei due immobili sopra citati (quello sito in (OMISSIS), ad esso intestato a seguito di compravendita), sarebbe stato acquistato mediante due assegni provenienti dal pagamento di un sinistro e da una vincita di gioco: documenti sottesi ad una tesi che poteva essere dedotta nel procedimento che aveva dato luogo la confisca.
Deduce il ricorrente:
1) la violazione di legge, posto che l'art. 28 citato non impedirebbe di porre a sostegno dell'istanza di revocazione della misura di prevenzione prove anche non sopravvenute, purchè nuove;
2) il vizio assoluto di motivazione, essendo state giudicate irrilevanti prove che il ricorrente non aveva mai indicato in precedenza e che dunque debbono considerarsi nuove, senza che una simile interpretazione possa dirsi esclusa dalla sentenza citata nel provvedimento impugnato (Cass., n. 41507/2013).
La qualificazione di "irrilevanza" risulta dunque apodittica;
3) la illogicità, contraddittorietà e mancanza di motivazione con riferimento all'affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, che i documenti costituenti prova nuova non sarebbero stati prodotti mentre, in altro passo della motivazione, si da atto che la documentazione è stata esaminata dal Collegio.
Si trattava di documenti invece singolarmente prodotti e nuovamente allegati al ricorso.
Il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Con memoria di replica depositata il 22 novembre 2016 è stato osservato dai difensori che gli argomenti difensivi non prospettavano una nozione di "novità probatoria" diversa da quella accreditata dalla giurisprudenza di legittimità.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
La decisione impugnata si basa sul fondamentale rilievo che i documenti indicati nell'atto d'appello dall'odierno ricorrente non costituivano "prova nuova" nel senso della nozione inserita nel testo del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28 ossia del precetto che regola la "revocazione della decisione definitiva sulla confisca di prevenzione".
Soltanto ad abundantiam è contenuto nel provvedimento impugnato l'ulteriore rilievo formale secondo cui la documentazione in questione non sarebbe stata allegata ma solo richiamata.
Pertanto, soffermandosi sul primo ed assorbente criterio di decisione, non può non rilevarsene la correttezza, facendo riferimento all'orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui la "prova nuova", rilevante ai fini della revoca "ex tunc" della misura di prevenzione in quanto suscettibile di mutare radicalmente i termini della valutazione a suo tempo operata, è solo quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione e non anche quella deducibile, ma per qualsiasi motivo non dedotta, nell'ambito di esso (Sez. 2, n. 11818 del 07/12/2012, (dep. 2013), Ercolano, Rv. 255530).
Non osta a tale conclusione lo stato della giurisprudenza che, sul tema della revoca ex tunc della misura di prevenzione patrimoniale, fu elaborata in assenza di una norma esplicita che regolasse la materia, precedentemente alla entrata in vigore di una norma ad hoc come l'art. 28 citato.
Basterà qui ricordare brevemente la ragione e la portata della decisione delle SS.UU. n. 57 del 19/12/2006 (dep. 2007), Auddino la quale (v. Rv 234955) intervenne a reinterpretare l'istituto della revoca delle misure di prevenzione di cui alla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 7, comma 2, (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), revoca in origine prevista solo per quelle personali e resa, per via interpretativa, applicabile, in funzione di revisione, anche a quelle patrimoniali, onde riparare la lesione al diritto di proprietà quale bene costituzionalmente protetto. Ebbene la sentenza Auddino effettivamente affermò che andava perseguito lo scopo di riconoscere la legittimità della richiesta di revoca ex tunc della misura di prevenzione patrimoniale, in ragione di una invalidità genetica del provvedimento, e che la relativa ratio era quella di porre rimedio ad un possibile errore giudiziario.
In quei limiti le SS.UU. ritennero utilizzabile l'art. 7, comma 2, anche in relazione alla misura prevista dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2 ter, comma 3, identificandosi nella revoca in esame un mezzo predisposto dal legislatore per adempiere all'obbligo riparatorio prefigurato dall'art. 24 della Cost., u.c..
Ancora, le SS.UU. in quella circostanza riconobbero che la richiesta di rimozione del provvedimento definitivo dovesse muoversi nello stesso ambito della rivedibilità del giudicato di cui all'art. 630 c.p.p., ss., con postulazione dunque di prove nuove sopravvenute alla conclusione del procedimento, escludendo la relativo novero "gli elementi già considerati nel procedimento di prevenzione o in esso deducibili" e giudicando esplicitamente, tali anche "quelle non valutate nemmeno implicitamente", secondo un approdo ormai raggiunto in tema di elaborazione delle condizioni per la revisione in generale, da S.U., 26 settembre 2001, Pisano.
Gli elementi dedotti dovevano essere diretti, nella utilizzazione dell'art. 7, a dimostrare l'insussistenza di uno o più dei presupposti del provvedimento reale e pertanto in primo luogo la pericolosità del proposto, ma anche, unitamente o separatamente, la disponibilità diretta o indiretta del bene in capo al proposto medesimo, il valore sproporzionato della cosa al reddito dichiarato o all'attività economica svolta, il frutto di attività illecite o il reimpiego di profitti illeciti.
I richiamati principi non risultano invero univoci alla luce della successiva giurisprudenza, con riferimento all'impiego dello strumento dell'art. 7, essendosi espresse, da ultimo, in contrasto fra loro da un lato Sez. 5, n. 148 del 04/11/2015 (dep. 2016), Baratta, Rv. 265922, e dall'altro, Sez. 6, Sentenza n. 44609 del 06/10/2015 Cc. (dep. 04/11/2015) Rv. 265081. La prima ha riaffermato come in tema di misure di prevenzione, la revoca per difetto genetico dei presupposti di adozione possa disporsi in presenza di "elementi nuovi", non necessariamente sopravvenuti, purchè mai valutati nel corso del procedimento di prevenzione, stante il carattere di rimedio straordinario dell'istituto che non può, pertanto, trasformarsi in un anomalo strumento di impugnazione. Per la seconda, la "prova nuova", rilevante ai fini della revoca "ex tunc" della misura di prevenzione in quanto suscettibile di mutare radicalmente i termini della valutazione a suo tempo operata, è solo quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione e non anche quella deducibile, ma per qualsiasi motivo non dedotta, nell'ambito di esso.
Con la introduzione del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 28, peraltro, il panorama normativo di riferimento è innovato, con la conseguenza che lo "strumentario" ermeneutico fin qui ricordato (e di parte del quale il ricorrente chiede l'automatica applicazione al caso di specie) si rivela non più in toto aderente al nuovo status dell'istituto azionato.
Va infatti notato che l'art. 28 cit., a differenza dell'abrogata L. n. 123 del 1956, art. 7, comma 2, che disciplinava genericamente la revoca della misura di prevenzione, è stato rubricato dal legislatore del 2011 (il quale è intervenuto con l'intento di colmare un vuoto normativo e, verosimilmente, di offrire criteri fermi ad una giurisprudenza non sempre univoca) come "revocazione" della confisca, sicchè può dirsi che la scelta della rubrica costituisca un inedito riferimento all'istituto della revocazione di cui all'art. 395 c.p.c. e comunque la manifestazione di una volontà di "mutatio libelli".
Il riferimento, d'altra parte, non può ritenersi soltanto nominalistico dal momento che il collegamento con la disciplina del codice di procedura civile si arricchisce sul piano della sostanza, dovendosi osservare che l'art. 395 ammette alla revocazione, tra gli altri casi, quello in cui " dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore...omissis": una locuzione che rende evidente la volontà di sindacare e scoraggiare i comportamenti negligenti o tattici dell'interessato e si riflette in quella del cit., art. 28, comma 1, lett. a, ove si prevede la revocazione "in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento".
A parte ontologiche differenze tra i due istituti - che restano dovute alla natura dispositiva della azione civile e alla sua diffidenza per la prova dichiarativa - è interessante notare che in entrambi i casi la disciplina positiva indica come imprescindibile, oltre al requisito della "decisività " della prova nuova, quello della "scoperta di essa dopo la adozione del provvedimento conclusivo da revocare".
Val la pena ricordare, invero, che la norma processual-civilistica viene interpretata dalla giurisprudenza nel senso che la prova nuova che legittima alla revocazione è quella - documentale - e solo preesistente alla decisione impugnata riferita a tale disciplina, che la parte non abbia potuto a suo tempo produrre per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario, e che sia stata recuperata solo successivamente a tale decisione (Sez. 3, Sentenza n. 3362 del 20/02/2015 (Rv. 634645 - 01); Sez. 6 -, Ordinanza n. 20587 del 13/10/2015 (Rv. 637376 - 01): una interpretazione che, tuttavia, potrebbe cooperare alla interpretazione dell'art. 28 la cui lettera rimanda in modo chiaro alle prove che "sono scoperte dopo" oltre a quelle che sono "sopravvenute" alla conclusione del procedimento: l'una espressione, cioè, deve intendersi che, nell'ottica della prevenzione a differenza che in quella processual-civilistica, si aggiunga e rafforzi l'altra con la necessaria integrazione interpretativa di carattere logico-sistematico, in base alla quale, ai fini della revocazione della confisca di prevenzione, la necessità della "scoperta" successiva - oggi in modo netto rispetto al passato - implica la incompatibilità di tale situazione con quella di un precedente atteggiamento meramente omissivo nella allegazione degli elementi, da parte dell'interessato, nel procedimento concluso con provvedimento di cui, in seguito, si richiede la revocazione.
La correttezza di tale interpretazione si rinviene anche dalla disciplina del secondo caso di revocazione (lett. b), il quale è regolato facendo riferimento ad altro tipo di documento (le sentenze penali definitive) di cui si dice, più chiaramente, che possono essere, alternativamente, quelle "sopravvenute" oppure anche quelle soltanto "conosciute" in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione (sebbene preesistenti), così introducendo plasticamente una differenziazione tra le due connotazioni accostate in forma disgiunta e per la loro ontologica diversità. "Sopravvenute" sono le sentenze formate dopo il provvedimento di prevenzione e "conosciute dopo" sono le sentenze anche a quello preesistenti.
D'altra parte, il riferimento alla disciplina della revisione penalistica, contenuto nell'art. 28, è non all'istituto ma, dichiaratamente, soltanto "alle forme" dell'art. 630 c.p.p. (si pensi, in particolare al giudice competente), non avendo, il legislatore del 2011, rinunciato a formulare una autonoma casistica delle ipotesi nelle quali la revocazione è richiedibile.
In conclusione, nell'ottica di una configurazione restrittiva dell'istituto rispetto a quella accreditata prima del 2011, la revocazione della confisca di prevenzione è legittimata, dall'art. 28 e per le procedure che sottostanno a tale normativa, dalle sole prove decisive che siano scoperte dopo che la misura sia divenuta definitiva (essendo dunque pre-esistenti) e che siano ad essa sopravvenute (sia nel senso della scoperta che nel senso della formazione), a tanto indirizzando anche il disposto dell'art. 28, comma 3 il quale, a differenza di quanto ritenuto da una parte della giurisprudenza in riferimento all'art. 7 cit., non lascia l'interessato libero di far valere, quando ritenga, la prova decisiva non dedotta e non valutata in precedenza; ma pone, a pena di inammissibilità, un termine massimo per la richiesta di revocazione della confisca definitiva, ancorato al verificarsi di uno dei casi di cui al comma 1 e dunque decorrente, per quanto ci riguarda, dalla scoperta della prova nuova sopravvenuta al provvedimento definitivo.
Nel caso di specie nessuna di tali situazioni ricorre in quanto, come correttamente osservato dal giudice a quo, la richiesta si basava su documenti preesistenti (peraltro neppure versati) i quali ben potevano formare oggetto di deduzione tempestiva nell'ambito del procedimento per la definizione della confisca e in ordine ai quali non è stato neppure allegato che fosse stato impossibile produrli per causa di forza maggiore.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 24 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2017
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