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Peculato: sulla consumazione in caso di ritardato versamento delle giocate riscosse per conto dell'Azienda Autonoma Monopoli di Stato

Peculato

Cassazione penale sez. VI, 13/04/2023, n.31167

Il delitto di peculato per ritardato versamento, da parte dal concessionario del servizio di ricevitoria del lotto, delle giocate riscosse per conto dell'Azienda Autonoma Monopoli di Stato è configurabile quando la condotta omissiva si protragga oltre la scadenza del termine ultimo indicato nell'intimazione che l'amministrazione è tenuta ad inviare al concessionario sotto la comminatoria della decadenza dalla concessione, a condizione che sia altresì raggiunta la prova dell'interversione del titolo del possesso, evincibile dal protrarsi della sottrazione della "res" alla disponibilità dell'ente pubblico per un lasso di tempo ragionevolmente apprezzabile e comunque tale da denotare inequivocabilmente l'atteggiamento "appropriativo" dell'agente.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza con cui M.P. è stato condannato per il delitto di peculato. All'imputato si contesta, nella qualità di titolare di una rivendita di generi di monopolio con annessa ricevitoria Lotto, di essersi appropriato della somma di Euro 6.824,60 di cui aveva la disponibilità a titolo di provento del gioco del lotto. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato articolando due motivi. 2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità. Il tema attiene alla prova della condotta appropriativa nelle ipotesi, come quella in esame, in cui il denaro è versato oltre il termine previsto dalla legge o dal contratto e oltre quello previsto dalla diffida ad adempiere; l'assunto è che nel caso di specie il mancato versamento si sarebbe protratto per un tempo non apprezzabile, non potendo assumere rilievo penale il mero ritardo (si cita giurisprudenza della Sezione). Si sostiene che la disciplina specifica in tema di gioco del lotto prevedrebbe una progressione criminosa che muove dall'illecito amministrativo di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 33, comma 2, e si sviluppa con la L. n. 85 del 1990, art. 8, che sanziona con la reclusione fino ad un anno il raccoglitore del gioco del lotto che effettua il versamento oltre il giovedì della settimana successiva alla estrazione e che, al comma 2, esclude la punibilità dell'agente che esegue il versamento in modo frazionato, adempiendo totalmente entro sette giorni dal ricevimento di apposito avviso dall'ufficio competente. Il delitto di peculato, si aggiunge, sarebbe configurabile solo nei casi di inadempienze che rivelino senza dubbio la interversione del possesso. Nel caso di specie, l'imputato aveva sottoscritto con i Monopoli di Stato il 19.9.2006 il contratto con concessione novennale e i fatti si sarebbero verificati solo nel gennaio del 2012, in occasione di mancati plurimi versamenti, poi compiuti - insieme ad un ulteriore importo di 727 Euro - il 7.5.2012, dopo il provvedimento di revoca della concessione, con saldo definitivo il 31/07/2012. 2.2. Con il secondo motivo di deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Si assume che, a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, che ha modificato l'art. 131 bis c.p., la condotta avrebbe un'offensività tenue in quanto la condotta sarebbe sostanzialmente sussumibile nell'art. 314 c.p., comma 2 e le somme oggetto di appropriazione sarebbero di modesta entità, essendo stata riconosciuta anche la attenuante di cui all'art. 323 bis c.p.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. E' infondato il primo motivo. 2.1. La Corte di cassazione ha in più occasioni ricostruito la disciplina di riferimento affrontando il tema del rapporto tra la fattispecie penale del peculato prevista dall'art. 314 c.p., e le normative speciali che disciplinano le cadenze temporali del versamento delle somme riscosse per le giocate da parte del concessionario titolare dell'attività di raccolta delle giocate del lotto all'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, prevedendo delle sanzioni sia penali che amministrative nel caso di pagamento tardivo. Si è chiarito che la normativa prevede un termine per versare l'importo delle giocate che non è connesso alla ricezione di una richiesta di adempimento ma è stabilito ordinariamente entro il giovedì della settimana successiva a quella della raccolta delle giocate. Si è spiegato anche che la L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 33, comma 2, prevede per il ritardato pagamento dei proventi del gioco del lotto l'inflizione di una sanzione amministrativa pecuniaria, oltre agli interessi in misura maggiorata rispetto a quelli legali. In tale contesto, ha già affermato la Corte di cassazione, la L. 19 aprile 1990, n. 85, art. 8 sanziona penalmente con la pena alternativa della reclusione o della multa il "mero ritardo nel versamento" dei proventi effettuato oltre il giovedì della settimana successiva all'estrazione del lotto cui i proventi si riferiscono, mentre il comma 2 della stessa norma prevede, ma solo nei medesimi casi di ritardato versamento, una speciale causa di non punibilità ("Non è punibile il raccoglitore del gioco del lotto che abbia omesso di versare i proventi estrazionali della raccolta in misura non superiore alla metà della somma dovuta entro il termine di cui al comma 1, quando compia il versamento integrativo entro sette giorni dal ricevimento di apposito avviso dell'ufficio competente"). Il D.P.R. 14 ottobre 1958, n. 1074, art. 94, richiamato dalla citata L. n. 85 del 1990, art. 6, si riferisce, invece, alla procedura per la decadenza o revoca della concessione, e disciplina le modalità e tempi dell'intimazione rivolta a consentire al concessionario di presentare le sue controdeduzioni entro 30 giorni. Dunque, il pagamento è sempre tardivo quando è eseguito dopo la scadenza del termine contrattuale o legale previsto e comporta in ogni caso l'applicazione della sanzione amministrativa prevista dalla cit. L. n. 724 del 1994, art. 33, comma 2. Il semplice ritardo nel pagamento, allorché questo sia eseguito oltre il giovedì della settimana, può poi integrare, oltre all'illecito amministrativo suddetto, anche il delitto previsto dalla L. 19 aprile 1990, n. 85, art. 8, sempre che il ritardo non si prolunghi oltre l'ulteriore termine decorrente dal ricevimento dell'apposita intimazione ad effettuare il versamento che l'amministrazione competente deve inviare al concessionario. Si è ritenuto che il prolungamento del ritardo può configurare una condotta di appropriazione e integrare il più grave reato di peculato solo quando il mancato versamento si protragga anche successivamente alla scadenza del detto termine ultimo, decorrente dall'intimazione ad effettuare il versamento sotto la comminatoria della decadenza dalla concessione (Sez. 6, n. 31920 del 06/06/2019, Orsi, Rv. 276805). 2.2. Si tratta di principi che sono stati ulteriormente esplicitati dalla Corte di cassazione che ha spiegato come, in realtà, nelle ipotesi in esame il reato si perfezioni allo spirare del termine indicato nell'intimazione che l'amministrazione è tenuta ad inviare all'agente solo quando sia comunque raggiunga la prova della intervenuta interversione del titolo del possesso, cioè che il concessionario abbia agito "uti dominus". L'individuazione del momento in cui si realizza l'interversione del titolo del possesso, e dunque la condotta appropriativa, non coincide automaticamente con lo spirare del termine previsto dalla diffida, ma va accertata caso per caso sulla base dell'attenta considerazione delle circostanze di fatto, evitando semplificazioni probatorie che trasformerebbero la fattispecie di peculato, gravemente punita, in un reato "formale". Occorre, cioè, che la sottrazione della "res" alla disponibilità dell'ente pubblico si sia pur sempre protratta per un lasso di tempo ragionevolmente apprezzabile e comunque tale da denotare inequivocabilmente l'atteggiamento "appropriativo" dell'agente (così testualmente, Sez. 6, n. 38339 del 29/09/2022, De Marco, Rv. 283940; cfr., sul tema Sez. 6, n. 16786 del 02/02/2021, Conte, Rv. 281335, in cui si è affermato che l'appropriazione del denaro, riscosso dal notaio a titolo di imposte e non riversato all'erario, si realizza non già per effetto del mero ritardo nell'adempimento, bensì allorquando si determina la certa interversione del titolo del possesso, che si realizza allorquando il pubblico agente compia un atto di dominio sulla cosa, con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, condotta che non necessariamente può essere ritenuta insita nella mancata osservanza del termine di adempimento".") Si tratta di questioni in cui il profilo giuridico si accompagna ad un profilo probatorio, che deve essere compiuto senza automatismi, caso per caso, in concreto, sulla base di tutte le circostanze portate alla cognizione del Giudice. 2.3. Alla luce di tali principi il motivo rivela la sua infondatezza, al limite della inammissibilità, non essendo stato dedotto alcunché al fine di comprendere perché i versamenti tardivi, compiuti a distanza di mesi dalla scadenza del termine di intimazione e, almeno in parte, solo dopo aver ricevuto il provvedimento di sospensione e di revoca della concessione non sarebbero rivelatori di una pregressa condotta appropriativa. Nulla è stato spiegato sul perché l'inadempimento si sia protratto per così lungo tempo, cosa abbia indotto l'imputato ad adempiere successivamente, quale uso sia stato fatto delle somme riscosse e non versate, cosa abbia impedito al ricorrente di versare tempestivamente le somme, cosa sia stato dedotto all'amministrazione dopo aver ricevuto la comunicazione dell'avvio del procedimento volto alla sospensione e alla revoca della concessione. 3. E' inammissibile il secondo motivo di ricorso. La disposizione dettata dall'art. 131-bis c.p. è stata modificata dal D.Lgs. 10 marzo 2022, n. 150, art. 1, comma 1, lett. c), che, al dichiarato scopo di ampliare la portata operativa di tale particolare causa di esclusione della punibilità, pur continuando a precluderne l'applicazione nei processi aventi ad oggetto una serie di reati disciplinati dal codice penale o da leggi speciali - di cui all'ampliato elenco contenuto nel nuovo comma 2 - nel comma 1 ha sostituto le parole "massimo a cinque anni" con le parole "minimo a due anni" e ha inserito, dopo le parole "comma 1" quelle "anche in considerazione della condotta susseguente". L'effetto di tale riscrittura ha notevolmente allargato lo spettro di applicazione dell'art. 131-bis c.p., "essendo oggi la esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto riconoscibile anche nei processi relativi ad una serie di reati in precedenza esclusi, perché puniti con una pena detentiva superiore nel massimo a cinque anni, se sanzionati con una pena detentiva edittalmente stabilita in misura pari o inferiore a due anni; ed essendo stato stabilito che, a fini della valutazione della particolare tenuità dell'offesa, il giudice debba considerare non solamente indicatori rivolti, per così dire, al "passato" o al "presente" rispetto al momento della commissione del reato, ma anche uno specifico indicatore concernente ciò che è accaduto dopo quel momento, costituito appunto dalla condotta che l'imputato ha tenuto in epoca posteriore alla realizzazione dell'illecito". Il catalogo dei reati dispensati dalla valutazione di tenuità ai sensi dell'art. 131-bis c.p. di cui al comma 3, oltre ad includere le fattispecie riconducibili alla Convenzione di Istanbul e quelle ad esse affini nonché altri delitti considerati di particolare gravità o allarme sociale, si apre con l'enumerazione dei delitti contro la pubblica amministrazione, tra cui espressamente quello di peculato di cui all'art. 314 c.p., comma 1. Si tratta di reati che la L. 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. spazzacorrotti) aveva compreso tra i reati ostativi all'accesso ai benefici penitenziari. Come si evince dalla relazione illustrativa al decreto delegato, la gravità di tali fattispecie e dunque l'inconciliabilità con una loro stima in termini di tenuità è desunta anche dalla relativa soggezione al regime di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4 bis; si tratta di una argomento che, come è noto, ha di fatto perduto di persuasività, dal momento che la L. 30 dicembre 2022, n. 199, di conversione del D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, ha espunto questi delitti dal novero dei suddetti reati ostativi. In tale quadro di riferimento, pur ritenendo applicabile la norma in esame anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore (cfr., Sez. 4, n, 9466 del 15/02/2023, Castrignano, Rv. 284133), il motivo rivela la sua strutturale inammissibilità, essendo il reato di peculato un reato, da una parte, punito con una pena minima superiore ai due anni di reclusione e, dall'altra, comunque ricompreso tra quelli per i quali, ai sensi del comma 3 del riformato art. 131 bis c.p., l'offesa non può essere considerata di particolare tenuità. Una causa di non punibilità, quella per particolare tenuità del fatto, non configurabile nel caso di specie né prima e neppure dopo la modifica al testo dell'art. 131 bis c.p.. Ne' possono essere condivise le argomentazioni difensive secondo cui nella specie la condotta dovrebbe essere sussunta nella fattispecie di cui all'art. 314 c.p., comma 2, atteso il consolidato principio secondo cui il peculato d'uso è configurabile solo in relazione a cose di specie e non al denaro, menzionato in modo alternativo solo nell'art. 314 c.p., comma 1, in quanto la sua natura fungibile non consente dopo l'uso - la restituzione della stessa cosa, ma solo del "tantundem", irrilevante ai fini dell'integrazione dell'ipotesi attenuata (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 4974 del 04/12/2015, Stanca, Rv. 266242). 4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 13 aprile 2023. Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2023
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