RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Benevento, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato la richiesta di L.A. di revoca della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici ex art. 317-bis c.p., applicata con sentenza emessa il 26 settembre 2019 e irrevocabile il 13 luglio 2022, di condanna per il reato di tentata concussione. La tutela rafforzata dei beni giuridici oggetto delle fattispecie incriminatrici richiamate nell'art. 317-bis c.p., e tra queste quella della concussione, impone, a giudizio del Tribunale, di ritenere che anche il reato nella forma tentata sia incluso nell'ambito di applicazione della pena accessoria. Occorre infatti avere riguardo alle ragioni che hanno indotto il legislatore ad adottare determinate soluzioni in ragione del bene giuridico tutelato dalla norma, onde stabilire se sia compresa o meno anche la fattispecie del tentativo. Non sarebbe logico escludere dalla sanzione accessoria le ipotesi di tentativo, che sono comunque accomunate alle medesime esigenze di tela del bene giuridico con le fattispecie consumate.
2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore di L.A. che ha dedotto vizio di violazione di legge. Alla condanna per il delitto di tentativo di concussione non può seguire l'applicazione della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici di cui all'art. 317-bis c.p.. La disposizione di detto articolo si riferisce esclusivamente alle ipotesi di consumazione del delitto.
L'autonomia del delitto tentato non giustifica l'estensione, per via analogica, degli effetti giuridici sfavorevoli previsti per le ipotesi di delitto consumato. Ove si ritenga di aderire alla interpretazione opposta, occorrerebbe proporre questione di costituzionalità della norma per incompatibilità con gli artt. 3,27 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, anche in relazione all'art. 7 della Convenzione Edu per l'omessa previsione della possibilità di graduare proporzionalmente la pena accessoria in raffronto alla pena principale irrogata.
3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte.
2. L'art. 317-bis c.p. fa riferimento alla condanna per taluno dei reati singolarmente indicati e nulla dice in merito al fatto che si debba trattare di reati consumati. Non è allora illogico il ragionamento sviluppato dalla giurisprudenza di legittimità e atto ora proprio dal Tribunale di Benevento, per il quale "la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, prevista dall'art. 317-bis c.p. in relazione ai reati di peculato e concussione, deve essere applicata anche nel caso di delitto solo tentato, per il quale ricorrono inalterate le esigenze alla cui tutela è finalizzata la previsione sanzionatoria. (Sez. 6, Sentenza n. 9204 del 17/01/2005 Rv. 230765). Il principio è consolidato nella giurisprudenza della Corte di cassazione, che già anni prima aveva stabilito che "la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici prevista dall'art. 317 bis c.p. per il delitto di peculato e per quello di concussione, trova applicazione anche per il delitto di tentata concussione. Infatti, pur costituendo il reato tentato una figura criminosa autonoma, non può ritenersi che in ogni caso, quando la legge si limita a fare riferimento alla ipotesi tipica, debba ritenersi esclusa quella tentata, dovendosi invece avere riguardo alla materia cui la legge si riferisce ed alla sua "ratio" onde stabilire se sia compresa o meno l'ipotesi del tentativo. Nel caso della pena accessoria specificamente prevista dall'art. 317-bis c.p., costituente una eccezione rispetto alla regola generale dovuta al particolare rigore con cui il legislatore ha considerato e sanzionato i delitti commessi dal pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, non sarebbe logico escludere dalla suddetta sanzione accessoria le ipotesi caratterizzate dal solo tentativo che, ancorché meritevoli di una pena principale meno grave, per il generale principio posto dall'art. 56 c.p., comunque - per ovvie ragioni di opportunità - postulano l'interdizione dai pubblici uffici del colpevole" (Sez. 6, n. 8148 del 26/03/1992 Rv. 191402).
3. Non potendosi apprezzare profili di irragionevolezza nelle argomentazioni sottese al richiamato principio di diritto, ed anzi ravvisandosi nella contraria interpretazione prospettata dalla difesa profili di incoerenza sistematica, non può che rilevarsi la manifesta infondatezza della dedotta questione di costituzionalità.
4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2023