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Usura: configurabile il concorso materiale con l'esercizio abusivo di attività finanziaria

Usura

Cassazione penale sez. II, 04/10/2019, n.43916

Non ricorre l'ipotesi del reato complesso - ma è configurabile il concorso materiale – tra il reato di usura e quello di esercizio abusivo di attività finanziaria di cui all'art. 132 d.lg. 1 settembre 1993, n. 385, in quanto il reato di cui all'art. 644 c.p. non si realizza esclusivamente mediante l'erogazione di un finanziamento in violazione delle norme che regolano l'attività creditizia, ma anche attraverso la prestazione di utilità diverse dal denaro e con la corresponsione di vantaggi usurari diversi dal pagamento di interessi di somme concesse in prestito.

Le aggravanti speciali dell’usura si applicano a tutte le ipotesi previste dall’art. 644 c.p., comprese quelle con interessi sotto il limite legale

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Il reato di usura si configura con interessi esorbitanti che presumono lo stato di bisogno della vittima

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'appello di Palermo con sentenza in data 8 marzo 2018 ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata nei confronti di A.F. dal G.i.p. del Tribunale di Palermo il 2 dicembre 2014, riducendo le pene inflitte e revocando talune delle confische disposte, in relazione ai delitti di usura e esercizio abusivo dell'attività creditizia. 2.1. Propone ricorso per cassazione la difesa dell'imputato, deducendo con il primo motivo di ricorso, vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. E), in riferimento all'affermazione di responsabilità dell'imputato per il delitto di usura contestato al capo A). Il ricorrente lamenta il travisamento di alcuni dei fatti storici oggetto di accertamento del Tribunale, con riguardo ai rapporti di debito tra l' A. e i coniugi D.F. - C. (da cui era scaturita l'obbligazione per cui era stato sottoscritto un atto di riconoscimento del debito ed era stata rilasciata una cambiale sequestrata a terzi, senza alcun riferimento ad un supposto atto di vendita di un immobile, come ipotizzato dalla sentenza); anche la vicenda relativa al preliminare di vendita concluso con M.S. era stata travisata, poichè in spregio all'accordo concluso tra le parti il M. aveva trasferito il bene immobile a terzi, incamerando il prezzo già versato dall' A. pari a 280.000 Euro e restituendo solo la somma di 60.000 Euro, come documentato con gli atti del fascicolo che la Corte d'appello aveva ignorato e travisato; era del tutto carente la motivazione in ordine ai pretesi rapporti di usura in danno di Co.Do., mancando la prova sia della materiale esistenza delle condotte di usura, sia della circolazione dei titoli di credito rilasciati dal C., che la sentenza aveva segnalato come elemento di riscontro alle dichiarazioni della persona offesa (in quanto coincidente con un dato ricorrente nelle pretese attività di usura contestate); infine, il ricorrente lamenta il difetto di motivazione in relazione alle vicende relative alle vittime Pe. e S., così come per l'aspetto dell'accertamento dello stato di bisogno delle presunte persone offese e del tasso in concreto praticato per l'erogazione dei prestiti. 2.2 Con il secondo ed il quinto motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. E), in riferimento all'affermazione di responsabilità dell'imputato per il delitto di esercizio abusivo dell'attività creditizia, di cui ai capi B) e D); con argomenti in parte sovrapponibili, e comunque tra loro strettamente connessi, il ricorrente censura la decisione impugnata che non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi che regolano l'istituto del reato complesso, cui doveva essere ricondotta la situazione accertata in fatto, poichè le medesime condotte di usura erano state considerate, autonomamente, come integranti il delitto di esercizio abusivo dell'attività creditizia, omettendo di rilevare che l'esecuzione delle attività di prestito a tassi di usura comprendeva al suo interno la condotta di esercizio dell'attività creditizia in difetto delle autorizzazioni richieste, con l'elemento specializzante - del tasso superiore - a quello consentito- nell'erogazione dei finanziamenti, sicchè l'imputato avrebbe dovuto rispondere unicamente dei delitti di usura, in cui erano destinate ad essere assorbite le ipotizzate condotte di esercizio abusivo dell'attività creditizia. 2.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge e di norme processuali previste a pena di nullità, in riferimento agli artt. 124,516,519,521 e 522 c.p.p.. Ad avviso del ricorrente la formulazione delle imputazioni, così come operate nei capi A) e B), al pari di quelle contenute nei capì C) e D), integrava l'ipotesi della contestazione alternativa, che doveva condurre nel corso del giudizio a modificare, nel rispetto dell'art. 516 c.p.p., le imputazioni descritte ai capi B) e D), dichiarandole assorbite rispettivamente in quelle dei capì A) e C); tale carenza costituiva causa della nullità della sentenza pronunciata per difetto di correlazione con l'accusa. 2.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. E), in riferimento all'affermazione di responsabilità dell'imputato per il delitto di usura contestato al capo C). Il ricorrente censura la motivazione della sentenza che non aveva considerato le indicazioni fornite dall'imputato per ciascun episodio a lui contestato, omettendo di porre a confronto le versioni delle persone offese con quella fornita dall' A.. 2.5. Con il sesto motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. E), in riferimento all'affermazione di responsabilità dell'imputato per il delitto di intestazione fittizia contestato al capo E). Il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver omesso di considerare che i beni da lui acquistati erano di provenienza lecita, non derivanti dalla contestata attività di usura; non era stata valutata la reale capacità economica del ricorrente e della moglie, avendo entrambi svolto attività di lavoro nel tempo, anche costituendo un'agenzia immobiliare, tanto che gli accertamenti di natura tributaria avevano documentato la capacità di realizzazione di cospicui redditi, poi sottoposti a tassazione. Pertanto, il presupposto della sproporzione tra i redditi fiscalmente rilevanti e la disponibilità del patrimonio del ricorrente era destituito di fondamento, ciò che impediva peraltro l'applicazione del disposto della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies. 2.6. Con argomenti del tutto analoghi e sovrapponibili, con il settimo, l'ottavo e il nono motivo di ricorso si contesta il medesimo vizio della motivazione, in relazione all'affermata responsabilità per i delitti di intestazione fittizia dei beni indicati specificamente ai capi F), G) e H). 2.7. Con il decimo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta -illogicità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. E), in riferimento all'omessa revoca della confisca di tutti i beni acquistati dall'imputato e dal coniuge in epoca anteriore alla commissione dei delitti di usura; la sentenza impugnata, con motivazione palesemente contraddittoria, dopo aver revocato solo alcune delle confische motivando la statuizione con la necessaria derivazione dei beni da confiscare dall'illecito provento costituito dagli interessi usurari percepiti, non aveva considerato che anche ulteriori beni, indicati dal ricorrente, risultavano frutto di acquisti avvenuti in epoca anteriore all'anno 2004, individuato come momento di commissione dei delitti di usura. 2.8. Con l'undicesimo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. E), in riferimento all'affermazione circa la sussistenza dello stato di bisogno e della qualità di soggetto che svolgeva attività imprenditoriale in capo a Pe.Gi.. La sentenza non aveva chiarito in base a quali elementi doveva ritenersi dimostrata la consapevolezza dell'imputato in ordine alla condizione soggettiva della vittima e allo stato di bisogno in cui la stessa versava. 2.9. Con il dodicesimo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. E), in riferimento alla misura della pena, degli aumenti per la continuazione e per il diniego delle circostanze attenuanti generiche. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.1. Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Il ricorrente, nel prospettare il "travisamento del fatto" ad opera della sentenza d'appello, non solo tenta di dare ingresso in sede di legittimità ad una non consentita rivisitazione delle vicende accertate dai giudici di merito, ma propone per ciascun episodio una lettura parziale e fuorviante della motivazione della sentenza di appello che, richiamando quella di primo grado in tutti suoi aspetti, deve essere necessariamente letta in sinossi con la decisione del G.i.p.. Va a questo riguardo ricordato, in primo luogo, che il consolidato insegnamento di legittimità esclude dal novero dei motivi di ricorso quelli con cui si intenda prospettare una diversa ricostruzione dei fatti accertati dal giudice di merito, poichè "in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito" (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, Servidei, Rv. 237652; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Inoltre, nel valutare il contenuto dell'accertamento in fatto operato dalla sentenza impugnata va ricordato che l'esito conforme delle decisioni sentenze pronunciate nei due gradi di giudizio consente di operare la lettura congiunta delle sentenze di primo e secondo grado, trattandosi di motivazioni che si fondono in un unico corpo di argomenti a sostegno delle conclusioni raggiunte per il principio della c.d. doppia conforme - su cui v., da ultimo, Sez. 3, n. 23767 del 24/11/2016, dep. 2017, Aprea -, a tenore del quale ove le decisioni di merito abbiano entrambe affermato la responsabilità dell'imputato "le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese e ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicchè le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità" (in questi termini, nella motivazione, Sez. 2, n. 34891 del 16/05/2013, Vecchia, Rv. 256096). Poste tali premesse, la vicenda che la Corte d'appello descrive quanto al rinvenimento, nelle mani di un terzo (tale Sammaritano) di una cambiale dell'importo di 100.000 Euro sottoscritta dalle persone offese C. - D.F., viene indicata dalla decisione come elemento sintomatico delle operazioni condotte dall' A. e dell'utilizzo dei titoli rilasciati dai debitori per la successiva circolazione, anche con l'ausilio di terzi soggetti inseriti nelle attività di usura (quale, appunto, il Sa.). La denunciata incoerenza dell'attribuzione del rilascio della cambiale in relazione ad un'operazione di vendita immobiliare, non provata dagli atti, non tiene conto della completa disamina della vicenda (riassunta a pag. 15 dalla sentenza impugnata) condotta dalla decisione di primo grado, che aveva precisato (pagg. 33-37) come, a fronte di una prima narrazione fornita dalle persone offese nei termini su riportati, era seguita la veritiera narrazione sulle causali del debito assunto con l' A., dei termini usurari del prestito, del rilascio a garanzia del debito e di altre voci (finanche attribuite a debiti di terzi, per i quali l' A. pretendeva di esse garantito dai coniugi D.F.), che definivano l'esatta dimensione della successione degli eventi. Anche la vicenda relativa al contratto preliminare concluso nel 2008 dall'imputato (punto della sentenza peraltro non oggetto delle doglianze in grado di appello e, per tale motivo, non esaminato dalla Corte d'appello) è ricostruita in termini parziali e divergenti dal contenuto della precisa motivazione della sentenza di primo grado, da cui si comprende come lo strumento contrattuale fosse solo il simulacro che aveva consentito di imporre nuove condizioni a tassi di usura rispetto al debito preesistente, sorto per effetto di numerose erogazioni avvenute dall'anno 2005 (poichè si dava atto del versamento fuori dall'atto della somma di 180.000 Euro, versamento mai avvenuto, della consegna di un assegno di 60.000 Euro, di cui l' A. aveva preteso immediatamente la restituzione, e del pagamento di un canone mensile nel periodo intercorrente sino alla stipula dell'atto definitivo, che in realtà mascherava il continuo pagamento di rate a tassi di usura per il debito preesistente: v. pagg. 38-41 della sentenza del G.u.p.). Le censure mosse alla motivazione relativamente alle vicende inerenti i rapporti di debito assunti dal C. sono assolutamente prive di specificità, avendo dedotto il ricorrente l'esistenza di pretesi rapporti di lavoro, che avrebbero giustificato l'emissione degli assegni da parte del C. (circostanza del tutto disancorata dalle prove acquisite) e avendo contestato in modo generico il rilascio - dimostrato dai documenti acquisiti agli atti - di un numero rilevante di titoli di credito da parte del C. che venivano poi emessi a beneficio di altri soggetti, risultati vittime di analoghe condotte di usura da parte dell' A., ciò che dimostrava in modo palese il meccanismo di circolazione dei titoli ricevuti dalle vittime su cui si fondava il vorticoso giro di attività usurarie condotto dall'imputato (come ampiamente motivato dalla sentenza impugnata: v. pagg. 11-12). Alla stessa stregua, sono del tutto generiche sia le censure relative ai rapporti dell'imputato con le vittime Pe. e S., sia le deduzioni in punto di mancato accertamento dello stato di bisogno, e di omesso accertamento della misura del tasso cui venivano erogati i prestiti. 1.2. Il secondo ed il quinto motivo, da esaminare congiuntamente, sono manifestamente infondati. Pur non risultando precedenti specifici sulla questione dedotta dal ricorrente, va rilevato che in più occasioni la giurisprudenza della Corte ha ravvisato il reato di esercizio abusivo di attività finanziaria, previsto dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 132, nella condotta - pur se in concreto realizzata per una cerchia ristretta di soggetti - rivolta ad un numero potenzialmente illimitato di persone e consistente nell'erogazione di prestiti di somme a tassi di usura (Sez. 2, n. - 10795 del 16/12/2015, dep. 2016, Di Silvio, - Rv. 266164; Sez. 2, n: 41142 del 19/09/2013, Rea, Rv. 257337). Pur senza evocare la diversità dei beni giuridici protetti dalle rispettive norme (che si apprezza immediatamente considerando che la disciplina dell'esercizio dell'attività finanziaria mira a tutelare l'ordinato svolgersi delle attività di fidanzamento e di raccolta del risparmio, mentre la repressione dell'usura è destinata a preservare il patrimonio e la libertà morale di coloro che siano indotti a contrarre obbligazioni a condizioni palesemente inique), la comparazione del profilo strutturale dei reati considerati mette subito in rilievo come tra le due figure delittuose non intercorra lo specifico rapporto di compenetrazione di uno di essi nell'altro, in quanto elemento costituivo o circostanza aggravante del primo, che rappresenta il dato normativo richiesto perchè sia escluso l'operare delle regole in tema di concorso di reati. La struttura del delitto di usura non richiede, per la realizzazione delle condotte alternative della promessa o della dazione di interessi o altri vantaggi usurari, quali corrispettivo della prestazione di denaro o altre utilità, esclusivamente l'erogazione di un finanziamento, in violazione delle norme che regolano l'attività creditizia; sicchè la condotta tipica del delitto di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 132 non costituisce elemento costitutivo del reato di usura, che si realizza anche attraverso la prestazione di utilità diverse dal denaro e con la corresponsione di vantaggi usurari diversi dal pagamento degli interessi su somme concesse in prestito (Sez. 2, n. 5683 del 25/10/2012, dep. 2013, De Novellis Spinelli, Rv. 255238). La parziale coincidenza delle condotte considerate dalle ricordate norme incriminatrici, senza che una di esse sia integralmente ricompresa nella descrizione del fatto tipico integrante la differente ipotesi di reato, non consente dunque alcuna deroga alla disciplina generale del concorso di reati (come già affermato, pur se in relazione ad altre ipotesi di concorso fra reati funzionalmente connessi: "E' configurabile il concorso materiale e non l'assorbimento tra il reato di falso in atto pubblico e quello di truffa quando la falsificazione costituisca artificio per commettere la truffa; in tal caso, infatti, non ricorre l'ipotesi del reato complesso per la cui configurabilità è necessario che sia la legge a prevedere un reato come elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro e non quando siano le particolari modalità di realizzazione in concreto del fatto tipico a determinare una occasionale convergenza di più norme e, quindi, un concorso di reati" - Sez. 5, n. 45965 del 10/10/2013, Muratore, Rv. 257946). 1.3. Il terzo motivo di ricorso, strettamente connesso in via logica con quelli esaminati in precedenza, è manifestamente -infondato; quella che -il ricorrente ritiene esser una contestazione alternativa, originariamente formulata dalla pubblica accusa, era in realtà la contestazione di distinte ed autonome ipotesi di reato, pur se derivanti da una medesima condotta naturalisticamente intesa. Pertanto, alcun obbligo di modificazione dell'imputazione sorgeva a carico del P.m. e la sua mancanza, in termini di ipotizzato assorbimento delle condotte di esercizio abusivo dell'attività creditizia nei corrispondenti delitti di usura, non poteva costituire motivo di nullità della sentenza per difetto di correlazione. 1.4. Il quarto motivo di ricorso è generico, oltre che manifestamente infondato. Il ricorrente, infatti, si è limitato a riportare le dichiarazioni difensive che, per la quasi totalità delle vicende, consistevano nell'opporre alle dichiarazioni precise e dettagliate delle persone offese la circostanza dell'erogazione di prestiti per modiche cifre e senza interessi usurari, spesso a titolo gratuito; per alcune delle persone offese il ricorrente aveva, poi, messo in discussione la loro credibilità, perchè soggetti indagati a loro volta per delitti di usura. L'estrema genericità dei riferimenti a quelle dichiarazioni non consente al ricorrente di contrastare il tenore delle versioni fornite dalle vittime del reato di usura, come del resto già rilevato dalla sentenza impugnata (pagg. 23-24) che ha fatto espresso riferimento all'ampia e motivata valutazione condotta dalla decisione di primo grado su ciascuno degli episodi oggetto di contestazione. 1.5. I motivi dal sesto al nono, tutti caratterizzati dai medesimi argomenti e quindi da esaminare congiuntamente, sono oscuri nella formulazione e, comunque, manifestamente infondati. Premesso che l'esposizione delle ragioni a sostegno dei motivi risulta perplessa e di non agevole lettura (poichè mentre prende le mosse dalla contestazione dei delitti di intestazione fraudolenta come descritti nei relativi capi di imputazione, finisce poi per riguardare il diverso e differente tema dei beni sottoposti inizialmente a sequestro, rappresentati da beni immobili, di cui v'è traccia solo in alcune delle contestazioni), va comunque osservato in via del tutto preliminare ed assorbente che il profilo della liceità delle fonti con cui sarebbero stati effettuati gli acquisti dei beni e delle risorse, oggetto di intestazione fittizia da parte del ricorrente, non incide in modo alcuno sulla configurabilità del delitto in esame, che si caratterizza non per la provenienza delle risorse impiegate nell'acquisto dei beni, nè per la sproporzione tra i beni acquistati e le disponibilità finanziarie del soggetto che abbia operato le intestazioni a terzi soggetti, bensì nella finalizzazione della fraudolenta intestazione ad altri soggetti, diretta all'elusione delle norme in materia di prevenzione patrimoniale. E' stato, infatti, chiarito che "il reato di intestazione fittizia, previsto dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, conv. in L. n. 356 del 1992, si distingue dal delitto di riciclaggio di cui all'art. 648 bis c.p. perchè mentre in questa ultima fattispecie è necessario che i beni su cui vengano poste in essere le condotte incriminate siano provenienza di delitto, nell'altra si persegue solo l'obiettivo di evitare manovre dei potenziali assoggettabili a misure di prevenzione, volte a non far figurare la loro disponibilità di beni o altre utilità, a prescindere dalla provenienza di questi da delitto, che se provata può integrare altri reati" (Sez. 5, n. 39837 del 02-07-2013, Cavaliere, Rv. 257364; nello stesso senso successivamente Sez. 2, n. 13448 del 16/12/2015, dep. 2016, Zummo, Rv. 266438), aggiungendo che "ai fini della integrazione del delitto di trasferimento fraudolento di valori previsto dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies, conv. in L. 7 agosto 1992, n. 356, non rileva il requisito della sproporzione tra beni e reddito o capacità economica dell'imputato, che, invece, attiene alla possibilità di disporre la confisca ai sensi della citata Legge, art. 12 sexies dei beni in questione" (Sez. 2, n. 11692 dei 08/03/2016 - dep. 21/03/2016, Sallaku, Rv. 266193). Le censure che il ricorrente fonda, dunque, sulla mancanza di prova della provenienza delittuosa delle risorse impiegate per acquistare i beni oggetto delle intestazioni eseguite a favore dei familiari, rappresentano motivi di doglianza che non hanno alcuna attinenza rispetto alla struttura del delitto contestato, denunciandone così la manifesta infondatezza. 1.6. Il decimo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Va considerato, infatti, che - come riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata - la confisca disposta ai sensi dell'art. 644 c.p., u.c., non precludeva l'applicazione della confisca ex L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, nel testo vigente all'epoca della pronuncia della sentenza di appello (pagg. 31-32). Pertanto, risultando l'affermazione di responsabilità dell'imputato per i delitti di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies e la sussistenza dei presupposti per l'applicazione della confisca allargata ex L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, in riferimento ai medesimi beni oggetto delle operazioni di intestazione fittizia, non giustificabili con la capacità patrimoniale del prevenuto e dei suoi familiari, così come accertato dalla sentenza di primo grado e da quella impugnata (v. le pagg. 2730) e non contestato nè con l'atto di appello, nè con il ricorso, correttamente è stata disposta la confisca dei beni indicati dalla sentenza della Corte d'appello. 1.7. L'undicesimo motivo di ricorso è generico, nella misura in cui non tiene conto della precisa indicazione già contenuta nella sentenza di primo grado, non contestata dall'imputato, circa la genesi del rapporto di conoscenza tra l'imputato e la vittima, legata all'attività imprenditoriale svolta (che aveva condotto il Pe., imprenditore nel settore dell'arredamento di esercizi commerciali, a conoscere l' A. presso il ristorante da lui gestito: pag. 88 della - sentenza), e la causa dei prestiti che la vittima aveva richiesto (la condizione di salute della moglie, colpita da un tumore). 1.8. Il dodicesimo motivo di ricorso è manifestamente infondato, oltre che generico nella formulazione delle censure; non può rilevare, quale motivo di censura nella commisurazione della pena, la "proliferazione" dei delitti, trattandosi di contestazioni specificate in relazione ai delitti di intestazione fraudolenta di beni per ciascun beneficiario delle fittizie intestazioni; allo stesso modo, le considerazioni svolte circa l'esclusione da quei delitti di taluni cespiti, che non ha formato oggetto di specifico motivo di ricorso, non può rilevare in sede di determinazione della pena. Infine, il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza che ha indicato in modo puntuale le condizioni ostative al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (individuate nelle modalità esecutive, nella gravità dei danni patrimoniali e morali subiti dalle vittime dei reati di usura, dall'intensità del dolo manifestato), in sintonia con l'insegnamento della Corte sul punto ("il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purchè sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione. (Nella specie, la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell'esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell'imputato)": Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269). 2. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle ammende. 3. In ragione delle statuizioni che precedono, l'imputato deve altresì essere condannato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle costituite parti civili elencate in dispositivo e nella misura ivi indicata, con la precisazione che il pagamento delle spese della parte civile Af.Cl., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, deve essere disposto a favore dello Stato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 110, comma 3. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese delle parti civili che liquida per Z.M.R., Ac.Ma., P.A., Solidaria scs Onlus, Coordinamento delle vittime dell'estorsione, dell'usura e della mafia e Sos Impresa, in complessivi 7.537,50 Euro, oltre spese generali nella misura del 15 O/o, CPA e IVA, e per Af.Cl. in Euro 3510,00, oltre spese generali nella misura del 15 %, CPA e IVA, disponendone per quest'ultimo il pagamento in favore dello Stato. Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2019. Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2019
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