RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Roma in funzione di giudice dell'esecuzione ha rigettato l'opposizione proposta da De.Ga. avverso il diniego della richiesta di revoca della confisca dell'immobile sito in A, alla via (Omissis) n (Omissis), avanzata dal predetto De.Ga., oggetto di sequestro preventivo e, poi, confisca a carico di Sp.An. e Sp.Do., disposta con sentenza del Tribunale di Roma, del 20 ottobre 2016 confermata il 5 ottobre 2018 dalla Corte di appello e divenuta definitiva il 6 novembre 2019.
Si rigetta la richiesta di revoca della confisca l'immobile e la richiesta di restituzione proposta da De.Ga., in quanto bene ritenuto profitto del delitto di usura consumato ai suoi danni, come accertato con sentenza passata in giudicato.
Il Tribunale giunge a rigettare la richiesta ribadendo il contenuto delle argomentazioni svolte con l'ordinanza oggetto di opposizione.
Opera, a parere del Giudice dell'esecuzione, con riferimento al provvedimento di confisca l'effetto preclusivo del giudicato formatosi su questa statuizione in virtù del quale è da escludere il potere di intervenire sul provvedimento di confisca adottato con sentenza divenuta irrevocabile.
L'intangibilità del giudicato incontra unica eccezione nella possibilità di disporre la restituzione del bene ad un terzo, ma ove detto terzo sia rimasto estraneo al procedimento, laddove tale sentenza irrevocabile adottata in sede penale non sia emessa anche nei confronti dei terzi che chiedono la restituzione.
Nel caso di specie, si osserva che De.Ga. si è costituito parte civile nel procedimento in cui è stata disposta la confisca e ha chiesto e ottenuto la condanna degli imputati al risarcimento del danno; questi, secondo il Giudice dell'esecuzione, non ha avanzato alcuna istanza di restituzione del bene.
La relativa domanda, quindi, è preclusa in sede di esecuzione e non può essere pronunciata la revoca della misura ablatoria da parte del Giudice dell'esecuzione trattandosi di immobile definitivamente acquisito al patrimonio dello Stato.
2. Avverso detto provvedimento propone tempestivo ricorso per cassazione De.Ga., per il tramite del difensore, avv. D. Fabi, denunciando cinque vizi.
2.1. Con il primo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione di norme penali in riferimento agli artt. 185 e 644, comma sesto, cod. pen.
Il procedimento, deciso con la sentenza irrevocabile, è stato instaurato a seguito di denuncia effettuata da De.Ga. nei confronti di Sp.An. e Sp.Do. oltre che nei confronti di Ca.An. e Sp.An.
La sentenza di primo grado, del Tribunale di Roma resa in data 26 ottobre 2016, che condannava Sp.An. e Sp.Do. per il reato di usura di cui al capo C e al risarcimento del danno quantificato in Euro 240.000,00 consentiva di rilevare che una parte del profitto del reato di usura, commesso dagli Sp. a danno di De.Ga., era rappresentato dall'immobile sito in A.
In data 22 giugno 2012, infatti, De.Ga. unitamente ai propri genitori cedeva le porzioni della loro proprietà immobiliare a Sp.Do., così da estinguere una parte il prestito usurario concessogli dai due Sp..
La sorella di De.Ga. cedeva, poi, la restante porzione dell'immobile a Sp.Do. dietro il versamento della somma di Euro 50.000,00 che veniva restituita tramite De.Ga. allo stesso Sp.Do.
Anche in quella sede, nel corso della discussione, era stata chiesta in sede di conclusioni dalla parte civile, la restituzione dell'immobile oggetto di sequestro preventivo a favore di De.Ga., a titolo di risarcimento del danno per la contestata usura, proprio in quanto provento dell'attività criminosa posta in essere dagli imputati ai danni di De.Ga. ai sensi dell'articolo 644, comma sesto, cod. pen.
Il Tribunale ha, invece, disposto la confisca dell'immobile inteso come profitto del reato di usura e la Corte di appello di Roma ha confermato integralmente il disposto del Tribunale, compresa la statuizione relativa al risarcimento del danno nei confronti di De.Ga., nonché in relazione alla confisca dell'immobile. Detta pronuncia è divenuta definitiva a seguito di sentenza della Corte di cassazione.
Nel corso dell'esecuzione della sentenza divenuta irrevocabile, De.Ga., in assenza di pagamento spontaneo di quanto dovuto (Euro 248.253,34), ha fatto istanza di individuare eventuali beni di proprietà degli Sp. da sottoporre a pignoramento per soddisfare la pretesa risarcitoria. Si illustra, però, che tutti i tentativi di pignoramento avevano dato esito negativo anche per l'assenza di ogni somma di denaro sul conto corrente di Sp.An. e su quelli presso Poste Italiane di Sp.Do.
Del pari, si deduce che non è stato possibile procedere a pignoramento dell'immobile in quanto oggetto di confisca.
Vista l'impossibilità di procedere per incapienza dei patrimoni di fratelli Sp. ex articolo 492-bis cod proc civ, De.Ga. ha proposto incidente di esecuzione, ai sensi dell'art. 676 cod. proc. pen., onde ottenere la revoca della confisca dell'immobile, con assegnazione a titolo di risarcimento del danno.
Il Tribunale ha rigettato la richiesta in quanto De.Ga. non era rimasto estraneo al procedimento che aveva disposto la confisca, ma, anzi, si era costituito parte civile nel procedimento di merito, sicché veniva ritenuta preclusa la domanda ex art. 676 cod proc pen.
Osserva la difesa che la restituzione dell'immobile nel processo civile sarebbe stata possibile solo ove, nel corso del giudizio di merito, fosse stata accertata la nullità dell'atto di compravendita intercorso tra De.Ga. e Sp.Do., richiamando come precedente di legittimità, Sez. 2, n. 54561 del 2016.
Il Tribunale, nel procedimento di cognizione, nulla ha disposto in questo senso ma ha rigettato la richiesta di restituzione dell'immobile, stabilendo il risarcimento in forma monetaria a favore di De.Ga., oltre alla confisca del bene.
Sicché, si sostiene che, correttamente, il procuratore speciale costituito parte civile per De.Ga., aveva formulato le proprie conclusioni e, in quella sede, aveva effettivamente richiesto la restituzione del bene.
Non vi sarebbe, quindi, alcuna decadenza in sede di opposizione a poter formulare domanda di restituzione, ex articolo 676 cod. proc. pen. Tanto, in presenza di specifica ed espressa richiesta in tal senso.
Di conseguenza si denuncia errata interpretazione dell'art. 185 cod. pen. in quanto l'immobile non poteva, in alcun modo, essere restituito alla parte civile in sede penale in assenza della declaratoria di nullità dell'atto di compravendita.
Peraltro, questa restituzione avrebbe potuto riguardare solo una parte dell'immobile, posto che la proprietà era divisa tra De.Ga. e altri suoi familiari.
La richiesta originaria, da parte della difesa, non era svolta a titolo di restituzione ex art. 185, comma primo, cod. pen. ma a titolo di risarcimento del danno liquidato in sentenza e, quindi, ai sensi dell'art. 185, comma secondo, cod. pen.
Con riferimento all'art. 644, comma secondo, cod. pen. la difesa evidenzia che questa norma fa salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno, rispetto all'obbligatorietà della confisca del prezzo o del profitto del reato.
La Suprema Corte ha più volte ribadito che, in deroga l'originaria disciplina di prevalenza dei diritti dello Stato su quelli del soggetto privato nel ristoro dei danni in favore della persona offesa dal reato di usura, prevale il diritto alla restituzione al risarcimento del danno nella parte offesa, rispetto a quello alla confisca (Sez. 6, n. 1246 del 2003). La norma in materia di usura, quanto alla confisca, prevede, infatti, una disciplina speciale rispetto a quella di quegli articoli 240 e 240-bis cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo si contesta l'illegittimità del provvedimento per erronea interpretazione degli articoli 568 e 576 del codice di rito.
L'istanza di revoca della confisca e assegnazione dell'immobile a titolo risarcitorio formulata con l'incidente di esecuzione, ribadita nell'atto di opposizione e rigettata per il ritenuto effetto preclusivo del giudicato, non è stata posta in violazione degli articoli 568 e 576 cod. proc. pen. che, invece, sono stati erroneamente applicati dal Tribunale.
La parte civile non può impugnare il provvedimento di confisca misura di sicurezza amministrativa, contenuta in una sentenza di condanna attinente ai beni di proprietà dell'imputato, trattandosi di misura di sicurezza a carattere prevalentemente sanzionatorio, come sancito dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 10280 del 2007.
Sicché, si tratta di misura tale da integrare una vera e propria sanzione, con impossibilità di applicare retroattivamente la relativa disciplina.
La parte civile, dunque, non avrebbe potuto impugnare un provvedimento quale la confisca, ritenendosi il carattere prevalentemente sanzionatorio della misura, in quanto provvedimento esorbitante rispetto alla sfera degli interessi civili che rappresentano gli unici capi della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile e che, quindi, sono impugnabili dalla medesima parte civile.
Non è consentita, infatti, dalla giurisprudenza di legittimità alcuna legittimazione della parte civile all'impugnazione del trattamento sanzionatorio o della confisca di beni appartenenti agli imputati (si richiama Sez. 1, n. 51166 del 2018).
La parte civile, quindi, non aveva altro mezzo per chiedere la restituzione dell'immobile se non l'incidente di esecuzione, in attuazione della previsione di quell'articolo 644, comma sesto comma cod. pen.
Si rimarca la differenza tra la disciplina della confisca di cui agli artt. 240 e 240-bis cod. pen. rispetto a quella speciale di quell'articolo 644 del codice penale.
De.Ga. è parte civile costituita dal procedimento di cognizione ma non aveva legittimazione a impugnare il provvedimento di confisca.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
L'ordinamento ha previsto, in casi di irrevocabilità della sentenza che ha disposto la confisca, lo strumento dell'incidente di esecuzione atto ad intervenire proprio sulla cosa giudicata.
La motivazione del Tribunale, quindi, è illegittima nella parte in cui esclude che la parte civile possa chiedere la revoca della confisca perché, da un lato, senza il passaggio in giudicato della sentenza, la parte civile non avrebbe alcun titolo per procedere all'impugnazione relativa alla confisca.
Dall'altro, la parte civile non è soggetto avente titolarità sul bene e, quindi, non avrebbe avuto alcun interesse a promuovere l'impugnazione avverso confisca.
La giurisprudenza che richiama il Tribunale non è conferente rispetto al caso che occupa il presente procedimento.
Alla data della sentenza poi divenuta definitiva, De.Ga. e i suoi familiari non erano più titolari del bene immobile, perché questo era stato ceduto con atti di compravendita a favore di Sp.Do.
Nel procedimento penale, peraltro, non è stata accertata la nullità dei contratti di compravendita per vizio del consenso derivante da fatto illecito e, quindi, la proprietà era cristallizzata in capo a Sp.Do.
Si richiama precedente di legittimità che prevede che il giudice penale possa, nel condannare l'imputato alle restituzioni in favore della parte civile del bene immobile il cui trasferimento è oggetto di condotta criminosa, dichiarare la nullità del contratto di compravendita, salvo che tale declaratoria comprometta anche gli interessi di terzi rimasti estranei al processo.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia vizio di motivazione.
La motivazione, oltre a essere contraddittoria, secondo il ricorrente è carente. La parte civile, sia nell'incidente di esecuzione, sia nell'atto di opposizione ha lamentato l'impossibilità di impugnare la confisca nell'ambito del giudizio di condizione, stante la specialità del provvedimento di cui all'ultimo comma dell'articolo 644 citato.
Il Tribunale, invece, ha richiamato l'effetto preclusivo del giudicato, con assenza di motivazione sul punto relativo a detta richiesta.
2.5. Con il quinto motivo si deduce l'illegittimità costituzionale degli articoli 568 e 576 del codice di rito per violazione degli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cast., in relazione agli artt. 6, 13 Cedu e 1 Primo protocollo addizionale alla Cedu, 47 della Carta di Nizza.
In via subordinata, la difesa solleva questione di legittimità costituzionale delle norme del codice di procedura penale citate.
L'ultimo comma dell'articolo 644 cod. pen, prevede la prevalenza del diritto al risarcimento del danno della persona offesa rispetto al diritto alla confisca da parte dello Stato.
Allo stesso modo, vi è l'impossibilità per la parte civile di impugnare il provvedimento di confisca. La parte civile però secondo il Tribunale di Roma avrebbe avuto legittimazione ad agire sensi dell'articolo 676 cod. proc. pen.
Tale impossibilità di impugnare il provvedimento di confisca si traduce nella violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cast.
Allo stesso modo la persona offesa non costituita parte civile non essendo parte del procedimento di cognizione, può chiedere la revoca del provvedimento.
Sotto un secondo profilo si lamenta la violazione dell'articolo 24 Cost., stante l'impossibilità della parte civile di tutelare il proprio diritto al risarcimento. Inoltre, si violano gli artt. 111 e 117 Cost. in relazione alla normativa sovranazionale citata, compresa la decisione quadro 2005/2012/GAI.
Il diritto al processo è riconosciuto a livello sovranazionale e tale diritto verrebbe evidentemente violato per l'impossibilità della parte civile costituita di impugnare il provvedimento di confisca, malgrado questo leda il diritto al risarcimento riconosciuto in favore della stessa.
Si ravvisa, quindi, la dedotta illegittimità costituzionale nella parte in cui gli artt. 568 e 576 cod. proc. pen. come interpretati dal Tribunale in funzione di giudice dell'esecuzione, non ammettono l'impugnazione della parte civile del provvedimento di confisca o dell'art. 676 cod. proc. pen. nella parte in cui non permette alla parte civile costituita nel procedimento di cognizione di proporre incidente di esecuzione finalizzato alla revoca della confisca.
3. Il Sostituto Procuratore generale di questa Corte, A. Cocomello, ha chiesto con requisitoria scritta il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi tre motivi di ricorso sono fondati per le ragioni e nei limiti innanzi precisati. Risultano, quindi, assorbite le ulteriori questioni prospettate dal ricorrente nei restanti motivi di ricorso.
1.1. Va premesso che è nota al Collegio la giurisprudenza di legittimità secondo la quale (tra le altre, Sez. 1, n. 4096 del 24/10/2018, dep. 2019, Lacatus Vasile, Rv. 276163 -01; Sez. 3, n. 29445 del 19/06/2013, Principalli, Rv. 255872 -01) la statuizione, contenuta in una sentenza divenuta irrevocabile, con cui sia stata disposta la confisca fa stato nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al procedimento di cognizione, con la conseguenza che solamente i terzi, che non abbiano rivestito la qualità di parte nel detto giudizio, sono legittimati a richiedere la revoca della confisca in sede esecutiva, onde dimostrare la sussistenza dei presupposti per ottenere la restituzione.
In linea con tale indirizzo, si·è affermato che non è consentito l'intervento nel giudizio di cassazione avente per oggetto esclusivamente il trattamento sanzionatorio o la confisca dei beni degli imputati, perché tali questioni non possono avere alcuna incidenza sugli interessi civili (e, nel caso in cui l'intervento sia illegittimamente avvenuto, non possono le spese relative essere poste a carico dell'imputato: Sez. 5, n. 10077 del 15/01/2002; Sez. 1, n. 51166 del 11/06/2018, Gatto, Rv. 274935 -01). Tale indirizzo interpretativo ha fissato anche il principio secondo il quale è irrilevante che, in relazione a particolari categorie di reati, parte dei beni derivanti dalla confisca, o dei relativi proventi, siano destinati, nei casi, nella misura e secondo le modalità previste dal combinato disposto della legge n. 512 del 1999 e degli art. 48, D.Lgs. n. 159 del 2011 e 12-sexies, comma 4-bis, d.l. n. 306 del 2002, conv. dalla legge n. 355 del 1992 - ora art. 104-bis, comma 1-quater, disp. att. cod. proc. pen. - al risarcimento dei danni patiti dalle vittime, trattandosi di una garanzia di ordine generale e indiretta a loro tutela, non correlabile a posizioni soggettive singolarmente individuate e, pertanto, inidonea a determinare un interesse processuale specifico ad interloquire in merito all'adozione della statuizione ablativa.
1.2. In ogni caso, va rilevato che è costante la giurisprudenza di legittimità nel ritenere che il terzo, titolare di diritto reale di garanzia su bene confiscato può far accertare, mediante incidente di esecuzione, dinanzi al competente giudice penale (o della prevenzione), l'esistenza delle condizioni di permanente validità del diritto, costituite dall'anteriorità della trascrizione del relativo titolo rispetto al provvedimento ablatorio e da una situazione soggettiva di buona fede, intesa come affidamento incolpevole, con onere della prova a carico dell'interessato (Sez. 1, n. 27201 del 30/05/2013, Rv. 257599 -01; Sez. 1, n. 45572 del 21/11/2007, Rv. 238144 -01).
1.3. Ciò premesso, si deve rilevare che, nel caso di confisca adottata ai sensi dell'art. 644, ultimo comma, cod. pen. si tratta di istituto che, per la condanna o l'applicazione pena ex art. 444 cod. proc. pen. per le ipotesi di reato di cui all'art. 644 cod. pen., prevede la confisca obbligatoria "dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni".
Si è in presenza, dunque, di un'ipotesi speciale di confisca obbligatoria diretta (cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 18157 del 05/04/2002, Stangolini, Rv. 221619, nella quale si è affermato che la confisca prevista dall'art. 644, u. c., cod. pen., come modificato dall'art. 1 della legge 7 marzo 1996, n. 108, costituisce un'ipotesi speciale di confisca obbligatoria che estende la propria operatività oltre che al prezzo del reato anche al profitto, nonché alle sentenze di patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen.) che, stante l'espressa previsione finale della norma, fa salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento del danno.
L'art. 644 cod. pen. prevede come obbligatoria la confisca diretta in favore dello Stato, dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato, ovvero per equivalente, di somme di denaro, beni e utilità per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, "salvi i diritti della persona offesa del reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni".
La misura patrimoniale così prevista, sia quella nella forma diretta che quella cd. per equivalente, che opera qualora la prima non sia possibile, è autonoma rispetto al diritto alla restituzione e al risarcimento dei danni subiti dalla persona offesa, soggetto diverso dallo Stato, cui sono invece destinati i beni oggetto dell'ablazione.
A fronte della specifica formulazione normativa, infatti, risulta evidente la differenza tra gli aspetti di natura civilistica che intercorrono tra il soggetto agente e la persona offesa (afferenti al diritto alla restituzione di quanto indebitamente e illecitamente percepito e il diritto al risarcimento degli eventuali ulteriori danni prodotti dalla condotta) e quelli di natura pubblicistica che intercorrono tra l'imputato e lo Stato, che si fondano sulla pronuncia della sentenza di condanna, ovvero di applicazione di pena.
Proprio in virtù della clausola indicata nella parte finale del sesto comma dell'art. 644 cod. pen., quindi, non può ritenersi che vi sia una duplicazione sanzionatoria laddove i beni, anche se eventualmente corrispondenti, sono dovuti a soggetti diversi (il danneggiato in un caso e lo Stato nell'altro), i provvedimenti hanno natura diversa (la condanna alla restituzione o al risarcimento in favore della parte civile e la confisca destinata allo Stato) e, soprattutto, i presupposti sono diversi (risarcire un danno e sanzionare una condotta illecita: cfr. Sez. 2, n. 4604 -22 del 2/11/2021, Perna, non massimata).
2. Tali essendo i principi generali cui il Collegio intende dare continuità, si osserva che, nel peculiare caso in esame, il bene di cui si controverte è un bene immobile (sito in A meglio descritto in premessa) oggetto di sequestro preventivo e, successivamente, di confisca obbligatoria ex art. 644, comma sesto, cod. pen., provvedimento adottato con sentenza definitiva, in quanto individuato proprio come il profitto del reato di usura per il quale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna a carico di Sp.An. e Sp.Do., costituendo l'acquisizione di detto immobile parte della condotta illecita accertata come avente natura usuraria.
2.1. Rispetto a tale reato, con accertamento svolto nel procedimento di cognizione, risulta che la parte civile, odierna ricorrente, già costituita nel processo penale a carico di entrambi egli imputati, ha ottenuto (non la richiesta restituzione del cespite ma) il risarcimento del danno per l'importo complessivo posto, in solido, a carico degli imputati e determinato in sede di cognizione come pari a Euro duecentoquarantamila. Si tratta di importo che, tuttavia, secondo le deduzioni della medesima parte, non è stato recuperato, nemmeno attraverso l'espletato tentativo di pignoramento dei beni facenti capo agli imputati Sp.An. e Sp.Do.
In particolare, risulta che, nel determinare l'ammontare del danno da risarcire, il giudice della cognizione (cfr. sentenza di merito) ha tenuto conto del valore dell'immobile ceduto a prezzo inadeguato, con danno patrimoniale non inferiore a duecentomila Euro, cui sono stati aggiunti gli interessi dall'epoca dei fatti, il danno morale riportato da De.Ga., fino a raggiungere il complessivo importo di Euro duecentoquarantamila, posto in solido a carico degli imputati.
Il ricorrente non illustra se, nel processo penale di cognizione, sia stata accertata o meno, anche incidentalmente, la nullità del contratto di compravendita di (parte) dell'immobile, tra De.Ga., i suoi genitori e Sp.Do. Né è dedotto che tale nullità sia stata accertata in sede civile.
È incontestato, poi, che rispetto all'immobile di cui si controverte, il ricorrente non vantava, al momento della disposta confisca, alcun diritto di proprietà essendo stata questa, formalmente, già trasferita dal De.Ga. (mentre parte della proprietà del cespite risultava ceduta al medesimo Sp.Do., da un familiare della persona offesa - sorella - rimasto estraneo al processo di cognizione).
Nessuna incertezza, dunque, residua in ordine al fatto che il bene in sequestro, oggetto di confisca in favore dello Stato, costituisca prezzo o profitto del reato di usura e che, avverso detta statuizione definitiva, la parte civile costituita in sede di cognizione, non avrebbe potuto interloquire, in alcun modo, per carenza di interesse attuale e concreto.
Infatti, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità richiamata, non vi sarebbe stata, per la parte civile alcuna legittimazione a impugnare il provvedimento ablatorio adottato in sede di cognizione, a fronte, peraltro, dell'avvenuto riconoscimento, rispetto all'azione civilistica proposta in quella sede - secondo il ricorrente diretta alla restituzione del cespite - conclusasi con la condanna al risarcimento del danno con attribuzione anche di provvisionale. Pronunce queste ultime che hanno, quanto meno in via provvisoria, determinato la misura del danno (patrimoniale e non patrimoniale) subìto dalla vittima dei reati di usura (e di estorsione).
Di qui la non operatività, nella fattispecie in esame, della giurisprudenza richiamata nel provvedimento emesso ex art. 676 cod. proc. pen. (Rv. 255872 cit.) secondo la quale la statuizione, contenuta in una sentenza divenuta irrevocabile, con cui sia stata disposta la confisca fa stato nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al procedimento di cognizione e che non abbiano proposto impugnazione, in quanto parte non legittimata ad impugnare.
Rispetto a tale situazione processuale che poneva la parte civile, costituita nel processo penale di cognizione, priva di qualsiasi legittimazione ad interloquire rispetto alla disposta confisca, la medesima parte, nella presente sede esecutiva, prospetta un fatto nuovo - la dedotta incapienza dei condannati - in relazione al quale l'onere probatorio è, ovviamente, a carico della stessa parte che lo deduce.
Si tratta di fatto, successivo al giudicato, che, in sostanza, ove dimostrato, finirebbe per equiparare la parte ricorrente al terzo in buona fede rimasto estraneo al procedimento di cognizione nei cui confronti, pacificamente, la sentenza irrevocabile non fa stato e che, quindi, deve essere considerato legittimato ad agire, in sede esecutiva, ai sensi dell'art. 676 cod. proc. pen., al fine di dimostrare la sussistenza dei presupposti per ottenere la revoca della confisca (Sez. 3, n. 58444 del 04/10/2018, SIEM Spa, Rv. 275459 -01).
Detto fatto nuovo, infatti, ove dimostrato, potrebbe rilevare nella sede esecutiva, come richiesto dal ricorrente, proprio perché, in ipotesi, incidente sul diritto della parte privata, comunque riconosciuto e garantito alla persona offesa del reato di usura espressamente dall'art. 644, ultimo comma, cod. pen., di conseguire il ristoro del danno accertato, attraverso le restituzioni o il risarcimento del danno e, in ogni caso, a provare l'esistenza delle condizioni di permanente validità del diritto alla restituzione.
Dunque, nel peculiare caso di specie, la parte civile costituita nel procedimento di cognizione, senz'altro priva di legittimazione a impugnare la sentenza che ha disposto la confisca, per carenza di interesse attuale e concreto, a fronte della statuizione risarcitoria, adottata in quella sede in suo favore, va considerata legittimata ad agire ex art. 676 cod. proc. pen., con l'onere di dimostrare, in sede esecutiva, la sussistenza del fatto nuovo allegato che, ove provato dalla parte, consentirebbe di equiparare il ricorrente alla posizione del terzo in buona fede, con conseguente legittimazione, in presenza delle condizioni di permanente validità del diritto alla restituzione, a chiedere la revoca della confisca, nonostante si tratti di parte già costituita nel procedimento di cognizione che ha disposto il provvedimento ablatorio.
È appena il caso di precisare che non sarebbe mai possibile, per la parte civile, cumulare l'eventuale risarcimento del danno conseguito alla restituzione del cespite perché, diversamente, in favore di detta parte, si produrrebbe l'effetto di addivenire a un ingiustificato arricchimento.
3. Si impone, pertanto, l'annullamento con rinvio dell'impugnata ordinanza, perché il Tribunale, in funzione di Giudice dell'esecuzione, seguendo i principi di cui alla parte motiva, accerti il fatto nuovo dedotto dal ricorrente e ne determini l'eventuale incidenza rispetto alla disposta confisca definitiva del bene immobile.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Roma.
Così deciso il 14 novembre 2023.
Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2024.