RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Bari, decidendo con le forme del giudizio abbreviato, confermava la condanna di Ca.Gi. per diverse condotte di usura consumate ai danni di Bo.Lu. e Bo.An. dal "marzo 2005 al dicembre 2007".
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:
2.1. violazione di legge (art. 644 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilità per le condotte di usura contestate: si deduceva che sarebbe stata effettuata una valutazione illegittima in ordine alla credibilità dei contenuti accusatori riversati nel processo dalle persone offese, effettuata senza considerare le allegazioni difensive che avevano segnalato rilevanti discrasie nella progressione dichiarativa; invero dall'analisi delle prove raccolte emergerebbe che (a) rispetto a quanto descritto nei capi B1), B3), e B4 non vi sarebbe certezza né del fatto che l'assegno fosse stato incassato da Ca.Gi., né dell'interesse praticato; (b) rispetto ai capi B2), B7), B8) non vi sarebbe prova neanche dell'esistenza della dazione, oltre che del tasso di interesse poiché gli assegni erano stati ritirati e poi pagati in contanti; (c) rispetto al capo B9) sarebbe stato ritenuto decisivo il passaggio di somme di denaro tra Bo.Lu., Me.Do. ed Mi.An. che né la persona offesa né il ricorrente avevano dichiarato di conoscere; (d) in relazione ai capi B5) B6) e B10) non sarebbe stato considerato che il ricorrente aveva dichiarato di avere venduto ai Bo. diversi orologi (Omissis), che sarebbero stati pagati con assegni post datati negoziati sul suo conto corrente.
In sintesi, sarebbe stata effettuata una sommaria valutazione della credibilità dei contenuti accusatori provenienti dalle testimonianze delle persone offese, non sarebbe stato identificato l'interesse praticato, né sarebbero stati individuati elementi documentali di conferma; si deduceva, peraltro, che il contenuto della consulenza redatta dal Dott. Am. non confermava quanto dichiarato dalle persone offese.
2.2. Violazione di legge (artt. 157 e ss. cod. pen., art. 2 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla mancata dichiarazione di estinzione per prescrizione dei reati contestati: si riduceva che avrebbe dovuto applicarsi la normativa più favorevole o ovvero quella contenuta nella I. n. 251 del 2005 il che avrebbe dovuto condurre alla dichiarazione di estinzione (a) di tutte le condotte ove si volessero considerare le stesse unificate dalla continuazione, (b) di tutte le condotte consumate nel periodo in cui la pena edittale per il reato di usura era da "uno a sei anni di reclusione" (ovvero quelle consumate prima dell'entrata in vigore della I. n. 251 del 2005) in quanto, tenuto conto degli aumenti in ordine alla circostanza aggravante contestata, dell'interruzione, e, infine dell'aggiunta del periodo di sospensione, il tempo per la maturazione della prescrizione era di anni undici, mesi dieci, e giorni tre.
2.3. Violazione di legge e di motivazione in ordine al riconoscimento della circostanza aggravante prevista dall'art. 644, comma 5, n. 4) cod. pen. e, più in generale, al trattamento sanzionatorio: la circostanza veniva riconosciuta senza considerare né il rapporto di amicizia tra le parti, né il fatto che non vi sarebbe stata la prova che le somme, in ipotesi prestate, fossero "destinate all'attività imprenditoriale"; inoltre si deduceva che non erano state concesse le circostanze attenuanti generiche con motivazione contraddittoria, tenuto conto che la Corte territoriale aveva dapprima evidenziato che la condotta del ricorrente era meno grave di quella del correo, e poi aveva inflitto un severo trattamento sanzionatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo non supera la soglia di ammissibilità, in quanto si risolve nella richiesta di rivalutazione della capacità dimostrativa delle prove, attività esclusa dal perimetro che circoscrive la competenza del giudice di legittimità.
1.1. In materia di estensione dei poteri della Cassazione, in ordine alla valutazione della legittimità della motivazione, si riafferma che la Corte di legittimità non può effettuare alcuna valutazione di "merito" in ordine alla capacità dimostrativa delle prove, o degli indizi raccolti, dato che il suo compito è limitato alla valutazione della tenuta logica del percorso argomentativo e della sua aderenza alle fonti di prova che, ove si ritenessero travisate devono essere allegate - o indicate - in ossequio al principio di autosufficienza (tra le altre: Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv. 262965).
1.2. Con riguardo alla valutazione delle dichiarazioni delle persone offese il collegio ribadisce, inoltre, che le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della vittima del reato, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di responsabilità, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone; tuttavia nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Dell'Arte, Rv. 253214).
Pertanto il fatto che l'offeso non sia un dichiarante non neutro, ma portatore di un interesse processuale alla condanna e, patrimoniale nel caso in cui si sia costituito, non attenua il valore probatorio delle sue dichiarazioni che restano autosufficienti, sebbene richiedano un controllo di attendibilità particolarmente penetrante, finalizzato ad escludere la manipolazione dei contenuti dichiarativi in funzione dell'interesse vantato.
La Cassazione, infatti anche quando prende in considerazione la possibilità di valutare l'attendibilità estrinseca della testimonianza dell'offeso attraverso la individuazione di precisi "riscontri", si esprime in termini di "opportunità" e non di "necessità", lasciando al giudice di merito un ampio margine di apprezzamento circa le modalità di controllo della attendibilità nel caso concreto (Sez. 1, n. 29372 del 24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016; Sez. 6, n. 33162 del 03/06/2004, Patella, Rv. 229755).
A ciò si aggiunge che costituisce principio incontroverso nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione che la valutazione della attendibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio· motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni (ex plurimis Sez. 6, n. 27322 del 2008, De Ritis, cit.; Sez. 3, n. 8382 del 22/01/2008, Finazzo, Rv. 239342; Sez. 6, n. 443 del 04/11/2004, dep. 2005, Zamberlan, Rv. 230899; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, dep. 2004, Pacca, Rv.227493; Sez. 3, n. 22848 del 27/03/2003, Assenza, Rv. 225232).
1.3. Nel caso in esame le due sentenze conformi di merito indicano in modo non equivoco la responsabilità del ricorrente per gli episodi contestati.
Le dichiarazioni della persona offesa venivano ritenute attendibili, con motivazione che non si presta a censure, tenuto conto del fatto che le irregolarità nella progressione trovava giustificazione nella complessità e durata del rapporto usuraio. Invero la Corte· ricostruiva con accuratezza le modalità del rapporto usuraio assegnando alle dichiarazioni dell'offesa una alta credibilità, ritenuta non solo sulla base delle conferme documentali, ma anche della testimonianza della Hernandez (pag. 13 della sentenza impugnata).
In via generale, veniva evidenziato come il rapporto illecito - secondo il credibile racconto degli offesi - si basava essenzialmente sullo scambio di denaro contante (pag. 12 della sentenza impugnata), sebbene prevedesse anche la consegna da parte di Bo.Lu. di assegni intestati a "sé stesso", che Ca.Gi. provvedeva a girare alla moglie, ma anche a tali Me.Do. ed Mi.An..
Quanto ai (Omissis), che Ca.Gi. dichiarava di avere venduto a Bo.Lu., questi affermava - con dichiarazioni che venivano ritenute credibili - di avere acquistato una sola volta un· (Omissis) dal ricorrente, che era stato poi ceduto a Delle Foglie in pagamento di una rata di interesse (pag. 10 della sentenza impugnata).
Inoltre con riferimento alla consulenza del Dott. Am. la Corte rilevava che, quanto evidenziato dal primo giudice in ordine al fatto che per molti titoli non vi era corrispondenza tra le dichiarazioni della persona offesa e la documentazione bancaria· trovava giustificazione nel fatto che, per diversi episodi, Bo. avevano chiarito di avere ritirato l'assegno emesso e di avere pagato in contanti, il che rendeva compatibile il contenuto della consulenza con le dichiarazioni della persona offesa (pag. 11 della sentenza impugnata).
Il collegio ritiene, pertanto, che la motivazione posta a sostegno della conferma di responsabilità sia approfondita, razionale e logica anche in relazione al fatto che prende. in considerazione le deduzioni difensive e che, pertanto, non si presta ad alcuna censura in questa sede.
2. È infondato anche il terzo motivo.
1.1. Il ricorrente deduce, in primo luogo, che non sarebbe stata provata la destinazione delle somme allo svolgimento di un'attività imprenditoriale.
1.1.1. Sulla rilevanza della destinazione delle somme prestate all'attività imprenditoriale svolta dall'usurato la giurisprudenza non è univoca.
Da un lato è stato affermato che la circostanza aggravante speciale di cui all'art. 644, comma quinto, n. 4, cod. pen. è configurabile in tutti i casi in cui la somma presa in prestito ad usura sia destinata ad essere impiegata in un'attività imprenditoriale, anche sé non direttamente svolta dal soggetto cui il prestito viene materialmente erogato, senza che possa rilevare il dato meramente formale del riconoscimento dello status di imprenditore. (Sez. 2, n. 10795 del 16/12/2015, dep. 2016, Di Silvio, Rv. 266163-01; Sez. 2, n. 47559 del 27/11/2012, Cardo, Rv. 253942). Nella motivazione della sentenza pronunciata nel· caso "Di Silvio" si legge che "la circostanza aggravante speciale di cui all'art. 644, comma 5, n. 4, cod. pen. è configurabile in tutti i casi nei quali la somma presa in prestito ad usura sia destinata ad essere impiegata in un'attività imprenditoriale, anche se non direttamente svolta dal soggetto cui il prestito venga materialmente erogato, e senza che possa rilevare il dato meramente formale del riconoscimento, in capo allo stesso, dello status di · imprenditore".
Di contro, si registrano decisioni secondo cui la circostanza aggravante di cui all'art. 644, comma quinto, n. 4, cod. pen. è configurabile per il solo fatto che la persona offesa eserciti una delle attività protette, nulla rilevando che il finanziamento corrisposto dietro la promessa o la dazione di interessi usurari non abbia alcuna attinenza con le suddette· attività (Sez. 2, n. 31803 del 04/07/2018, Cannatà, Rv. 273242-01; Sez. 2, n. 25328 del 22/03/2011, Del Sordo, Rv. 250759).
Ritiene il collegio di aderire alla prima interpretazione, tenuto conto che la ratio dell'aggravante, invece che nella veste formale di imprenditore, ovvero al mero status dell'offeso, debba essere invenuta nella maggiore gravità della condotta di usura quando· è consumata nei confronti di chi destina le somme prestate allo svolgimento di un attività imprenditoriale, dato che tale condotta non solo lede l'integrità patrimoniale della persona coinvolta nel rapporto usuraio, ma concorre anche ad inquinare i rapporti che governano l'economia legale. Di contro, ritenere che possa essere aggravata la condotta consumata nei confronti di chi ha lo status di imprenditore legittimerebbe una semplificazione probatoria fondata un dato formale che non giustifica la scelta di punire più gravemente. la condotta usuraia, scelta che invece trova una ragione sostanziale quando la condotta è agita nei confronti della persona, che rivesta o meno la qualifica di imprenditore, che destina il denaro ricevuto ad una attività imprenditoriale lecita, inquinando le dinamiche dell'economia legale.
1.1.2. Nel caso in esame la Corte di appello, pur rilevando il contrasto, riteneva lo stesso non influente sulla sussistenza dell'aggravante. Secondo i giudici di merito questa risultava comunque configurata, dato che il ricorrente aveva ammesso di essere a conoscenza dell'attività imprenditoriale svolta dalla vittima e delle difficoltà finanziarie nelle quali la stessa si dibatteva. Si rimarcava infatti, che Ca.Gi. aveva ammesso di avere prestato somme di denaro ai Bo. senza indicare ragioni alternative a quelle delle. esigenze imprenditoriali che ne erano alla base, sicché doveva ritenersi che le somme prestate fossero destinate a consentire lo svolgimento dell'attività imprenditoriale e che tale destinazione fosse conosciuta dal ricorrente (pag. 9 e 15 della sentenza impugnata).
Si tratta di motivazione in linea con l'opzione ermeneutica scelta dal collegio, che non si presta ad alcuna censura in questa sede.
1.2. la sentenza impugnata nella parte in cui determina il trattamento sanzionatorio deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari, per le ragioni che si indicheranno nel paragrafo che segue.
3. Il terzo motivo è fondato nei limiti che si indicheranno di seguito.
3.1. In primo luogo occorre rilevare che ai fatti per cui si procede deve applicarsi ratione temporis la disciplina della prescrizione introdotta dalla I. n. 151 del 5 dicembre 2005 più favorevole sia in termini di identificazione del dies a quo da cui decorre il termine in caso di reato continuato, che di definizione del tempo necessario a prescrivere (anche tenuto conto del fatto che alla data di entrata in vigore di tale legge il processo. non si trovava nella fase dell'appello o della cassazione, sicché non trova applicazione la disciplina transitoria che prevede la ultrattività delle disposizioni precedenti).
3.2. Tanto premesso si afferma che:
- nei casi in cui il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la continuazione, il "tempo necessario a prescrivere" è, comunque, quello previsto. per i "singoli" reati in continuazione (Conf. Sez. U, n. 2780/96, Rv. 20397701) (Sez. 1, n. 11538 del 24/10/2018, dep. 2019, Guaragna, Rv. 274994 -01; Sez. 1, n. 43006 del 11/11/2005, Bifulco, Rv. 232818), tempo che deve comunque essere valutato, in caso di modifiche normative, ai sensi dell'art. 2 cod. pen., essendo la prescrizione un istituto di diritto sostanziale cui si applica il principio della retroattività della lex mitior;
- che il delitto di usura si configura, di regola, come reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata, sicché i pagamenti o i comportamenti compiuti in esecuzione del patto usurario, di regola, non costituiscono un post factum non punibile ma segnano il momento consumativo del reato da cui computare il termine di prescrizione (Sez. 2, n. 35878 del 23/09/2020, Bianchi, Rv. 280313-01; Sez. 2, n. 23919 del 15/07/2020, Basilicata, Rv. 279487). Tuttavia nei casi in cui tra le stesse persone le dazioni di denaro successive alla scadenza delle precedenti non costituiscono l'esecuzione della iniziale promessa, ma integrino invece il "rinnovo del patto usurario", con la rifissazione del capitale in diverso importo e dei conseguenti interessi, trattandosi della conclusione di patti successivi, anche· se occasionalmente promananti dalla scadenza dei precedenti, si è in presenza di un reato continuato di usura (Sez. 6, n. 1601 del 27/04/1998, Leoni, Rv. 213410-01).
- che, quando si procede per usura, la "riscossione" che, ai sensi dell'art. 644 ter cod. pen. costituisce il "momento ultimo" dal quale decorre la prescrizione del· reato, deve essere intesa come riferita al momento del pagamento da parte del debitore di tutto o parte del capitale o degli interessi usurari, ovvero della rinnovazione dei titoli o della realizzazione del credito in sede esecutiva o il ricorso a procedure esecutive che determinano un vincolo, anche parziale, sul patrimonio del debitore (Sez. 2, n. 11839 del 06/03/2018, Catania, Rv. 272351-01);
4. Ebbene, all'applicazione di tali principi al caso di specie osta una carente ricostruzione del fatto.
Invero, nel caso in esame, il capo di imputazione non chiarisce se sia in giudizio "una condotta usuraia unitaria" (che consente di identificare il dies a quo della prescrizione· dall'ultima riscossione) o, invece, di "più condotte" unificate dal vincolo della continuazione.
Invero, nel capo di imputazione riferito a Ca.Gi. non è stato citato l'art. 81 cod. pen.; l'incertezza sulla struttura del reato viene alimentata dal fatto che, nel corpo dello stesso capo di imputazione, si legge "anche considerando i predetti prestiti come eventuali operazione unitaria per un importo complessivo di Euro 87.000, la relativa· restituzione della somma complessiva di Euro 99.820 ha prodotto un tasso di interesse usuraio nel periodo non inferiore al 69,62% annuale" con formula dubitativa idonea a proporre una contestazione "alternativa".
A ciò si aggiunge che la Corte territoriale quando definisce il trattamento sanzionatorio considera gli aumenti per la continuazione (pag. 15), ritenendo· implicitamente che si versi in un caso di plurimi episodi di usura, senza che tuttavia, emerga una chiara ricostruzione della condotta in punto di consumazione di un uno, o più reati di usura, il che non consente (a) di individuare il regime della prescrizione, dato che non è chiaro se il "tempo per prescrivere" debba essere quantificato in relazione ad un unico reato di usura a condotta frazionata, piuttosto che a plurimi reati vincolatati dalla continuazione, (b) influisce sulla definizione del trattamento sanzionario, in punto di legittimità dell'inflizione degli aumenti per la continuazione, che incidono sulla contestata quantificazione della pena.
Sui punti indicati (resta assorbita la doglianza relative alla legittimità del diniego delle circostanze attenuanti generiche) la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari per nuovo giudizio nei limiti di cui alla motivazione.
Così deciso in Roma, il giorno 6 dicembre 2023.
Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2024.