RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16 febbraio 2023 la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Macerata, condannava Ci.Pi. alla pena di anni 3 di reclusione e 9.000 Euro di multa per i capi b) e q) dell'imputazione relativi a distinti episodi di usura, oltre al pagamento degli ulteriori esborsi sostenuti dalla parte civile Br.Ba. nel giudizio di appello, con revoca della pena accessoria dell'interdizione dai PP.UU. e delle disposizioni relativa alla parte civile Da.Ma., con conferma per il resto dell'impugnata sentenza.
2. Avverso la predetta sentenza Ci.Pi., a mezzo del proprio difensore, propone ricorso per cassazione chiedendo l'annullamento della stessa. A tal fine formula sei distinti motivi.
2.1 Con il primo motivo eccepisce la violazione di legge di legge in relazione all'art. 644 c.p., nonché vizio della motivazione in relazione alla condanna per il capo b) dell'imputazione. In particolare, evidenzia che la persona offesa, tale Ro.Lu., sentito in dibattimento non sarebbe stato in grado di delineare né l'importo preciso delle somme di denaro ricevute dall'imputato, né concretamente e temporalmente le singole dazioni monetarie, e soprattutto il tasso di interesse presuntivamente praticato. In difetto di tali indicazioni non sarebbe stato, perciò, possibile configurare la consumazione del delitto di usura, essendo a tal fine necessaria la verifica giudiziaria del superamento del tasso - soglia, come individuato trimestralmente dal Ministero dell'Economia.
2.2 Con il secondo motivo lamenta, sempre in relazione al capo b) dell'imputazione, il vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione all'art. 192 c.p.p. e travisamento della prova e alle risultanze delle intercettazioni. Secondo il ricorrente dalla lettura delle conversazioni intercettate tra il Ci.Pi. e la persona offesa Ro.Lu. non si ricaverebbe alcuna prova, anche solo indiziaria, di prestiti usurari intercorsi tra i predetti, come peraltro affermato dal teste Ma., sottufficiale della polizia giudiziaria, sentito in dibattimento in ordine all'attività investigativa svolta.
2.3 Con il terzo motivo si duole del vizio di motivazione sempre in relazione all'art. 192 c.p.p. con riguardo alle dichiarazioni accusatorie rese da Da.Ma., da ritenersi inattendibili e prive di riscontri esterni. Si evidenzia che il Da.Ma., ritenuto inattendibile dalla stessa Corte anconetana con riguardo al capo L) di imputazione, assumeva inizialmente la veste di collaborante, imputato di taluni reati e persona offesa costituita parte civile di altri connessi ai primi, ragion per cui sarebbe stato necessario individuare riscontri c.d. esterni rispetto alle sue dichiarazioni, operazione che la Corte di appello non ha svolto così violando la regola probatoria dell'art. 192 c.p.p. e cadendo in palese contradizione nella motivazione della condanna.
2.4 Con il quarto motivo lamenta la violazione di legge di legge in relazione all'art. 644 c.p., nonché vizio della motivazione in relazione alla condanna per il capo q) dell'imputazione. In termini analoghi a quanto indicato nel primo motivo di ricorso, si evidenzia che dalle prove utilizzate, nella specie le dichiarazioni della persona offesa Al.Em. acquisite ex art. 512 c.p.p., non è possibile dettagliare le dazioni di denaro eventualmente erogate a quest'ultimo, il tasso di interesse praticato e neppure il contesto temporale di restituzione, carenze che renderebbero, perciò, inconfigurabile il delitto di usura.
2.5 Con il quinto motivo, invece, il ricorrente lamenta, per la condanna per il capo q), la violazione delle norme processuali relativamente agli artt. 512 e 526 c.p.p. e 111 Cost., nonché il vizio motivazionale anche in relazione all'art. 192 c.p.p. In particolare, si evidenzia che la sentenza troverebbe il suo fondamento solo nelle dichiarazioni della persona offesa Al.Em. raccolte prima del dibattimento e successivamente acquisite ex art. 512 c.p.p., senza, però, la ricorrenza di necessari riscontri, anche considerando le intercettazioni telefoniche tra il Ci.Pi. e Al.Em., che non avrebbero, peraltro, fornito alcun elemento neppure indiziario.
2.6 Con il sesto motivo eccepisce, sempre con riguardo al capo q), la violazione della legge penale in relazione alla circostanza aggravante di cui all'art. 644, comma 5 n.4, c.p., ed all'attenuante di cui all'art. 62 n.4 c.p., nonché vizio motivazione in punto circostanze di reato e trattamento sanzionatorio. In particolare, si evidenzia che dagli atti non emergerebbe alcuna prova del fatto che la dazione di somme di denaro ad Al.Em. fosse riconducibile all'esercizio di un'attività di impresa da parte di quest'ultimo, ed in ogni caso l'importo di denaro de quo sarebbe piuttosto contenuto, circa 5/6 mila Euro. Si contesta inoltre l'assenza di una motivazione adeguata in ordine alla pena irrogata, tenuto conto che il giudice è tenuto a motivare anche sull'entità dell'aumento di pena disposto ex art. 81 cpv. c.p.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e perciò va rigettato.
2. Con il primo ed il quarto motivo di ricorso, si contesta la violazione di legge in relazione all'art. 644 c.p.p. ed il vizio di motivazione circa la valutazione delle prove operata dalla Corte abruzzese che invece, ad avviso del ricorrente, non sarebbero idonee a dimostrare la sussistenza del delitto di usura; in particolare, sia con riguardo al capo b) sia con riferimento al capo q) dell'imputazione, non sarebbe stata raggiunta la prova certa su una serie di dati fattuali, quali: la precisa entità delle somme prestate alle vittime, il tasso degli interessi usurari praticati tenuto conto del ed. tasso - soglia individuato trimestralmente dal Ministero dell'Economia, la durata del prestito usurario, tutti elementi senza i quali non si sarebbe potuto affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità di Ci.Pi. per il delitto di usura.
Deve, al riguardo, essere preliminarmente evidenziato che la sentenza di appello oggetto di ricorso in relazione al reato di usura costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d'appello a quella del Tribunale di Macerata, sia l'ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 2, n. 6560 del 8/10/2020, Capozio, Rv. 280654 - 01). Va, altresì, evidenziato che la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. peri., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Corte di legittimità di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali possa essere dedotta sotto lo stigma del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 3, n. 18521 dei 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 - 01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099-01; Sez. 4, n.35683 de 10/07/2007, Rv. 237652-01).
Tanto premesso, rileva il Collegio come nel caso in esame non vi sono dubbi sul fatto che il ricorrente effettuò prestiti ad interessi sicuramente usurari, come emerge chiaramente dalle due sentenze dei giudici di merito. Infatti, con riferimento al capo b), in cui è contestata l'usura in danno di Ro.Lu., tenuto a pagare interessi pari al 120% annuo, la Corte anconetana sottolinea che la persona offesa, sentita come testimone in dibattimento, ha confermato che i Ci.Pi., almeno in due occasioni, avessero imposto un tasso di interesse del 10% mensile per concedergli delle somme in prestito, ritenendo che l'imprecisione del testimone sull' entità del prestito (cinque o seimila Euro), peraltro a distanza di ben 8-9 anni dai fatti, non incidesse "in maniera significativa nella ricostruzione dei fatti in esame, risultando, in particolare, irrilevante nella sicura indicazione dei tassi usurari a lui praticati dagli imputati che è stata fornita dal teste Ro.Lu.". Analoghe considerazioni con riguardo al capo q) in cui sono contestati interessi usurari pari al 45% su base annua in danno di Al.Em. La Corte di appello fa espresso rinvio alla motivazione del Tribunale di Macerata circa il contenuto delle dichiarazioni della persona offesa, ritenute molto precise nel ricostruire i fatti di usura da lui subiti. Ad esempio, viene indicato nella sentenza di primo grado che Al.Em. nell'agosto del 2009 aveva restituito a Ci.Pi. una somma a lui dovuta per un precedente prestito di 10.000 Euro, con interessi pari a 1.200 Euro ogni quattro mesi, e sempre nel 2009 aveva ottenuto un altro prestito di 10.000 Euro in cambio di due assegni, rispettivamente di 5.000 e 6.000 Euro, quindi con interessi pari a 1.500 Euro. Si tratta di emergenze processuali che la Corte anconetana ha valutato, anche per le modalità di erogazione dei prestiti analoghe a quelle descritte da altri testimoni, integranti il reato di usura, con motivazioni che sono prive di vizi argomentativi. Sul punto, la giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto cura di precisare che nel giudizio di cassazione sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 2, n.9106 del 12/2/2021, Caradonna, Rv. 280747 - 01; Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, Filizzola, Rv. 280601 - 01; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv.265482-01). La giurisprudenza richiamata dal ricorrente non appare, perciò, conferente nel caso di specie, dato che le testimonianze delle persone offese, ritenute pienamente attendibili, costituiscono di per sé prova certa della consumazione del reato di usura, tenuto conto della misura esorbitante degli interessi praticati sui prestiti a loro concessi, a prescindere, quindi, dall'indicazione in motivazione degli elementi di dettaglio del prestito usurario. Del resto, la difesa non ha allegato alle proprie eccezioni l'eventuale mancato superamento del tasso soglia stabilito dal Ministero dell'Economia, che è un dato pubblico e di facile reperimento.
I due motivi di cui sopra sono, quindi, infondati non sussistendo alcuna violazione di legge relativamente all'art. 644 c.p., né vizi di motivazione riconducibili all'art. 606, comma 1 lett. e), c.p.p.., e vanno perciò entrambi rigettati.
3. Con il secondo motivo lamenta, con riguardo al capo b) dell'imputazione, il vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione all'art. 192 c.p.p., nonché travisamento della prova circa le risultanze delle intercettazioni telefoniche. Secondo il ricorrente dalla lettura delle conversazioni intercettate tra Ci.Pi. e la persona offesa Ro.Lu. non si ricaverebbe alcuna prova, anche solo indiziaria, di prestiti usurari intercorsi tra i predetti, come peraltro affermato dal teste Ma., sottufficiale della polizia giudiziaria, sentito in dibattimento in ordine all'attività investigativa svolta. Su questo motivo di ricorso, si ribadisce quanto detto sopra in ordine alla portata del vizio del ed. travisamento della prova ed alla cognizione riservata alla Corte di Cassazione.
Il motivo è inammissibile anche perché ampiamente reiterativo di doglianze proposte nell'atto di appello, disattese nella sentenza impugnata con specifiche e puntuali argomentazioni, con le quali la difesa in buona parte non si è confrontata. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. La mancanza di specificità del motivo, dunque, va valutata anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione, come affermato dalle Sezioni Unite dì questa Corte (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Gattelli, Rv. 268822-01 e Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, Filardo, in motivazione). Va ribadito, dunque, che sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l'aggiunta di espressioni che contestino, in termini assertivi e apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino - come nel caso di specie -di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di gravame non sono stati accolti (Sez. 2, n.33580 del 1/08/2023, Santagata + altri, non massimata sul punto; Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521; Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, Ruci, Rv. 267611; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, Ninivaggi, Rv. 256133).
Nel caso di specie, si rileva che la sentenza impugnata (pagg. 24-25) ha svolto una dettagliata descrizione del contenuto di alcune intercettazioni tra Ci.Pi. e il Ro.Lu. da cui emergerebbe chiaramente l'esistenza di rapporti di affari e di prestiti concessi dall'imputato alla persona offesa alla ricerca spasmodica di contanti, ciò malgrado "una esternata scelta di prudenza rilevabile dai contenuti dei colloqui intrattenuti da Ci.Pi. con i suoi clienti". Si è di fronte ad argomentazioni puntuali e prive di manifeste contraddizoni o illogicità, a cui il ricorrente si limita a contrapporre le sue diverse valutazioni circa le intercettazioni, ragion per cui anche questo motivo è dichiarato inammissibile per difetto di specificità.
4. Con il terzo motivo il Ci.Pi., analogamente, si duole del vizio di motivazione in relazione all'art. 192 c.p.p. con riguardo alle dichiarazioni accusatorie rese da Da.Ma., da ritenersi inattendibili e prive di riscontri esterni, rilevando che il Da.Ma. è stato ritenuto, dalla stessa Corte anconetana con riguardo al capo L) di imputazione, come un testimone a cui riconoscere un'attendibilità solo parziale. Anche in questo caso si tratta di una valutazione di merito che esula dal giudizio di legittimità, laddove la sentenza impugnata offre una motivazione priva di manifesta contraddittorietà o illogicità. La Corte di appello, in particolare, ribadisce "/a credibilità del predetto Da.Ma. con riferimento al quadro generale da lui ricostruito (Attività finanziaria abusivamente svolta, talvolta anche a condizioni usurane di gola dai coimputati Ci.Pi. nei confronti di una serie di persone nominativamente indicate ivi compreso lo stesso Da.Ma.) e alla fuga da lui attuata per il precipitare della sua situazione economica e per le minacce ricevute dai coimputati Il motivo è inammissibile anche perché il ricorrente reitera argomentazioni già svolte in sede di appello, senza confrontarsi con le argomentazioni della Corte anconetana che, come evidenziato, limita l'attendibilità del teste alla ricostruzione del quadro generale delle condotte dei coimputati Ci.Pi., fondando la decisione di conferma delle condanne principalmente su altre prove ritenute, invece, pienamente attendibili.
4. Con riferimento al quinto motivo, con cui il ricorrente lamenta, per la condanna di cui al capo q) di imputazione, la violazione delle norme processuali relativamente agli artt. 512 e 526 c.p.p. e 111 Cost., nonché il vizio motivazionale anche in relazione all'art. 192 c.p.p.., si afferma l'inammissibilità del motivo per manifesta infondatezza. Quanto alla valutazione delle dichiarazioni accusatorie acquisite ex art. 512 c.p.p., si ribadiscono i principi affermati da questa Corte (Sez. 2, n.15492 del 05.02.2020, C., Rv.279148-01; Sez.6, n.50994 del 26.03.2019, D., Rv. 278195-03) secondo cui: "Le dichiarazioni predibattimentali acquisite ai sensi dell'art. 512 cod. proc. pen. possono costituire, conformemente all'interpretazione espressa dalla Grande Camera della Corte EDU con le sentenze 15 dicembre 2011, Al Khawaja e Tahery c/ Regno Unito e 15 dicembre 2015, Schatschaachwili c/ Germania, la base "esclusiva e determinante" dell'accertamento di responsabilità, purché rese in presenza di "adeguate garanzie procedurali", individuabili nell'accurato vaglio di credibilità dei contenuti accusatori, effettuato anche attraverso lo scrutinio delle modalità di raccolta, e nella compatibilità della dichiarazione con i dati di contesto, tra i quali possono rientrare anche le dichiarazioni dei testi indiretti, che hanno percepito in ambiente extra-processuale le dichiarazioni accusatorie della fonte primaria, confermandone in dibattimento la portata. (In motivazione la Corte ha precisato che ciò che rafforza la credibilità della dichiarazione predibattimentale non è il contenuto omologo e derivato della dichiarazione "de relato", quanto la circostanza che il dichiarante assente abbia riferito ad altri i contenuti accusatori introdotti nel fascicolo del dibattimento attraverso l'art. 512 cod. proc. pen.). La sentenza impugnata ha fatto buon uso di tali consolidati principi, da essa espressamente richiamati, avendo cura di precisare che "Risulta di tutta evidenza che le dichiarazioni rese nel corso delle indagini dall'Emi li, oltre a non essere state frutto di alcun intento gratuitamente accusatorio ed a risultare dal punto di vista intrinseco estremamente dettagliate, hanno trovato molteplici riscontri esterni di attendibilità nel contenuto delle intercettazioni telefoniche, nella documentazione acquisita ed anche nel contesto generale relativo all'attività svolta all'epoca da Ci.Pi. quale analogamente ricostruita da tutti i testi in cui si è detto in precedenza". Il ricorrente non si confronta con la motivazione della Corte di appello riproponendo la sua interpretazione delle norme e dei riscontri evidenziati dalla Corte territoriale, sicché tale motivo di ricorso si presenta come inammissibile.
5. Con il sesto motivo eccepisce, sempre con riguardo al capo q), la violazione della legge penale in relazione alla circostanza aggravante di cui all'art. 644, comma 5 n.4, c.p., ed all'attenuante di cui all'art. 62 n.4 c.p., nonché vizio motivazione in punto circostanze di reato e trattamento sanzionatorio, ritenendo che nella sentenza impugnata sarebbe riscontrabile l'assenza di una motivazione adeguata in ordine alla pena irrogata, tenuto conto, anche, che il giudice è tenuto a motivare anche sull'entità dell'aumento di pena disposto ex art. 81 cpv. c.p.. Nel caso di specie, la Corte di appello ha motivato specificatamente sia in relazione alla sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 644, comma 5 n.4, c.p.p., richiamando le puntuali dichiarazioni della persona offesa Al.Em. in cui ha chiarito le ragioni dei debiti contratti con i Ci.Pi., sia riguardo al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n.4 c.p., in ragione del fatto oggettivo che "gli interessi praticati (né come percentuale, né come singole entità monetarie) non erano certo cosi contenuti da consentire di applicare l'attenuate richiesta. Si tratta di valutazioni di merito, che sono state adeguatamente argomentate e risultano prive dei vizi di cui all'art. 606, comma 1 lett. e), c.p.p., e nei confronti delle quali il motivo di ricorso risulta aspecifico per le ragioni giuridiche già espresse in precedenza.
Con riguardo, infine, alla censura relativa alla mancanza di motivazione sugli aumenti stabiliti per la continuazione dei reati ex art. 81 c.p., si rileva che l'eccezione non era stata oggetto di motivi di appello, ragion per cui il motivo non è consentito perché vi è interruzione della catena devolutiva. Infatti, secondo il diritto vivente, alla luce di quanto disposto dall'articolo 609, comma 2, c.p.p., non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione, ad eccezione di quelle rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e di quelle che non sarebbe stato possibile proporre in precedenza (tra le tante cfr. Sez.2, n. 19411 del 12.03.2019, Furlan, Rv. 276062-01).
6. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere rigettato, decisione a cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 15 dicembre 2023
Depositato in Cancelleria l'11 Marzo 2024.