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Usura: si perfeziona con la sola accettazione della promessa degli interessi usurari

Usura

Cassazione penale sez. II, 21/11/2014, n.50397

Il reato di usura si configura come reato a schema duplice e, quindi, esso si perfeziona con la sola accettazione della promessa degli interessi o degli altri vantaggi usurari, ove alla promessa non sia seguita effettiva dazione degli stessi, ovvero, nella diversa ipotesi in cui la dazione sia stata effettuata, con l'integrale adempimento dell'obbligazione usuraria. (Principio affermato ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile dopo le modifiche introdotte all'art. 644 c.p. dalla l. 5 dicembre 2005, n. 251).

Le aggravanti speciali dell’usura si applicano a tutte le ipotesi previste dall’art. 644 c.p., comprese quelle con interessi sotto il limite legale

Usura: lo stato di bisogno può essere provato dalla misura degli interessi pattuiti e dalle condizioni onerose del prestito

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Il reato di usura si configura con interessi esorbitanti che presumono lo stato di bisogno della vittima

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Usura: si perfeziona con la sola accettazione della promessa degli interessi usurari

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 10/10/2013, la Corte di appello di Palermo, assolto l'imputato dalle condotte ascrittegli in danno di D. S. e P.S., riduceva la pena inflitta a A.F., per le residue condotte di usura, rideterminandola in anni due, mesi nove di reclusione ed Euro 7.600,00 di multa. 2. La Corte territoriale, accogliendo parzialmente l'appello dichiarava non utilizzabili le dichiarazioni predibattimentali dei testi B.G., D.S., P.S., Pr.Fr. e S.L. per l'insussistenza dei presupposti di cui all'art. 500 c.p., comma 4; assolveva l'imputato dalle condotte di usura ascrittegli in danno di D.S. e P.S., ma riteneva accertata la penale responsabilità del prevenuto in ordine ai reati di usura in danno di B.G. e T.S.. 3. Avverso tale sentenza propone ricorso l'imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando sei motivi di gravame con il quali deduce: 3.1 Erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 192 c.p.p., commi 2 e 3 e art. 530 cod. proc. pen.. In proposito deduce la violazione delle regole che governano la formazione della prova, e si duole della mancanza di una valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese dai testi B.G. e T.S.; dichiarazioni insufficienti ad integrare la prova della penale responsabilità del prevenuto, in assenza di riscontri con gli accertamenti bancari sui conti dell'imputato e di altre prove documentali. 3.2 Violazione di legge in relazione all'applicazione dell'aggravante dello stato di bisogno e vizio della motivazione sul punto con riferimento alla condotta in danno di T.S.. Al riguardo si duole che la Corte territoriale abbia riconosciuto lo stato di bisogno della persona offesa con una motivazione apparente fondata su mere presunzioni logiche. 3.3 Violazione di legge in relazione all'applicazione dell'aggravante dello stato di bisogno e vizio della motivazione sul punto con riferimento alla condotta in danno di B.G.. Al riguardo eccepisce la totale mancanza di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza dello stato di bisogno della persona offesa. 3.4 Violazione di legge in relazione all'applicazione dell'aggravante del fatto commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale e vizio della motivazione sul punto con riferimento alla condotta in danno di B.G.. Al riguardo si duole che la Corte territoriale abbia riconosciuto la qualifica di imprenditore al B. sulla base delle dichiarazioni del teste P. F., dalle quali si deduce soltanto che il B. vendeva macchine, elemento da cui non è possibile dedurre che svolgesse attività imprenditoriale. 3.5 Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all'art. 2 cod. pen. e L. n. 251 del 2005. Al riguardo si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto di applicare la più grave sanzione introdotta per il reato di cui all'art. 644 cod. pen. dalla L. n. 251 del 2005, sebbene la condotta sia iniziata nell'ottobre del 2005, prima dell'entrata in vigore della riforma. 3.6 Violazione di legge e vizio della motivazione, dolendosi del diniego delle generiche e della dosimetria della pena. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto la censura di violazione delle regole che governano la formazione della prova, di cui all'art. 192 c.p.p., commi 2 e 3; è manifestamente infondata. 2. Secondo l'insegnamento di questa Corte, in tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice possono essere poste sia le dichiarazioni della parte offesa sia quelle di un testimone legato da stretti vincoli di parentela con la medesima. Ne consegue che la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6910 del 27/04/1999 Ud. (dep. 03/06/1999) Rv. 213613; Sez. 5, Sentenza n. 8934 del 09/06/2000 Ud. (dep. 08/08/2000) Rv. 217355; Sez. 2, Sentenza n. 4281 del 17/08/2000 Cc. (dep. 24/08/2000) Rv. 217419). 3. Tanto premesso, occorre precisare che, in tema di prove, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta "una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e che non può essere rivalutata in sede di legittimità, a meno che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8382 del 22/33/2008 Ud. (dep. 25/32/2008) Rv. 239342). 4. Nel caso di specie è fuori luogo il richiamo ai commi 2 e 3 dell'art. 192 cod. proc. pen. in quanto non siamo in presenza di una prova indiziaria, nè di una prova dichiarativa di coimputato o persona imputata in un procedimento connesso. Le dichiarazioni delle persone offese, sono state ritenute legittimamente credibili da parte della Corte territoriale; quanto a B.G., proprio perchè, a fronte delle contestazioni del Pubblico Ministero, il teste ha riconosciuto la veridicità di quanto dichiarato in sede di indagini preliminari; quanto a T.S. perchè la versione dei fatti resa in dibattimento, dopo una originaria reticenza, coincide con quella resa alla polizia giudiziaria e non sussistono elementi da cui si possa desumere un intento calunnioso. 5. Le contestazioni del ricorrente in ordine all'affidabilità ed alla veridicità delle dichiarazioni delle persone offese, pertanto, risultano inammissibili in quanto tendono a provocare un intervento di questa Corte in sovrapposizione argomentativa rispetto alle conclusioni legittimamente assunte dalla Corte di merito e fondate su una motivazione priva di vizi logico-giuridici. 6. E' infondata la censura sollevata con il secondo motivo di ricorso in punto di sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 644 cod. proc. pen., comma 5, n. 3, con riferimento alla condotta di usura in danno di T.S.. Non può dubitarsi, infatti, che lo stato di bisogno possa essere dedotto da prove logiche fondate su elementi indiziari. In particolare questa Corte Suprema ha chiarito che lo stato di bisogno della persona offesa del delitto di usura può essere provato anche in base alla sola misura degli interessi, quando siano di entità tale da far ragionevolmente presumere che soltanto un soggetto in stato di bisogno potesse contrarre il prestito a condizioni tanto inique ed onerose (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12791 del 13/12/2012, Cerra, Rv. 255357 Sez. 2A, n. 20868 del 30 aprile 2009, Acri, rv. 244884). 7. Ugualmente infondata è la censura sollevata con il terzo motivo di ricorso in punto di sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 644 cod. proc. pen., comma 5, n. 3, con riferimento alla condotta di usura in danno di B.G.. Nel caso di specie siamo in presenza di una doppia conforme (per quanto attiene ai reati in danno di T. e B.). In punto di diritto occorre rilevare che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Le posizioni della giurisprudenza di legittimità rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di annullamento la motivazione incompleta nè quella implicita quando l'apparato logico relativo agli elementi ritenuti rilevanti costituisca diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno che questi presentino determinante efficienza e concludenza probatoria, tanto da giustificare, di per sè, una differente ricostruzione del fatto e da ribaltare gli esiti della valutazione delle prove. Nel caso di specie non può essere considerata causa di annullamento l'omissione di una specifica motivazione sullo stato di bisogno in ordine alla condotta in danno di B. in quanto la motivazione, per tutte le persone offese, è contenuta nella sentenza di primo grado (fol.16) e nell'atto d'appello con il quinto motivo è stata contestata genericamente la sussistenza delle aggravanti ex art. 644 c.p., comma 5, nn. 3) e 4) con riferimento a tutti gli episodi di usura contestati, senza alcuna specifica deduzione con riferimento alla posizione del B.. Pertanto nessuna censura può essere mossa alla sentenza d'appello per non aver specificamente motivato sullo stato di bisogno in ordine alla posizione di B.. 8. Ugualmente infondate sono le censure sollevate con il quarto motivo di ricorso in ordine alla ricorrenza dell'aggravante di cui all'art. 644, comma 5, n. 4 in relazione all'episodio in danno di B.G., in quanto la Corte territoriale ha respinto l'analoga doglianza sollevata dall'appellante con motivazione congrua, richiamando le dichiarazioni del teste Pr. F., rispetto alle quali non sarebbe possibile una diversa valutazione da parte di questa Corte. 9. Devono essere respinte come infondate anche le censure sollevate con il quinto motivo di ricorso relative alla determinazione del tempus commissi delicti con riferimento al tema della successione di leggi nel tempo. Nel caso di specie la condotta criminosa, con riferimento al più grave reato commesso in danno di T. L. si è esplicata fra il 15 ottobre 2005 ed il 15 dicembre 2005, essendo entrata in vigore, l'8 dicembre 2015, la più grave sanzione introdotta dalla L. n. 251 del 2005. 10. In proposito non può dubitarsi della soluzione adottata dai giudici del merito, che hanno ritenuto il reato commesso nella vigenza della nuova disciplina. Secondo l'insegnamento di questa Corte, infatti, il momento di consumazione del delitto di usura, in caso di rateizzazione nella corresponsione del capitale e degli interessi illeciti pattuiti, si individua nella dazione effettiva dei singoli ratei e non nella illecita pattuizione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 42322 del 19/06/2009, Iannini, Rv. 245240). In particolare è stato precisato che il reato di usura si configura come reato a schema duplice e, quindi, si perfeziona o con la sola accettazione della promessa degli interessi o degli altri vantaggi usurari, non seguita dalla effettiva dazione degli stessi, ovvero, quando questa segua, con l'integrale adempimento dell'obbligazione usuraria (Cass. Sez. F, Sentenza n. 32362 del 19/08/2010, Scuto ed altri, Rv. 248142). 11. Infine deve essere respinto, siccome infondato, anche il sesto motivo di ricorso in punto di diniego delle generiche. La Corte territoriale sul punto ha specificamente motivato, osservando di ritenere "che lo stesso abbia avvicinato Di.Sa. per istruirlo sull'incontro con T.S.". Si tratta di una circostanza significativa della capacità a delinquere del colpevole desunta dalla condotta successiva al reato, elemento sicuramente rilevante ai fini degli artt. 133 e 62 bis cod. pen.. 12 Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 21 novembre 2014. Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2014
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