RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 10/2/2016 ha riformato, dichiarando la prescrizione di alcuni reati e rideterminando la pena per la residua violazione di cui all'art. 110 c.p., art. 59 c.p., comma 2 e art. 349 c.p., la decisione con la quale, in data 8/6/12, il Tribunale di Napoli - Sezione Distaccata di Marano aveva affermato la responsabilità penale di M.L. e S.S..
La residua contestazione riguarda la violazione dei sigilli apposti a seguito di sequestro su un manufatto abusivo del quale il M. era custode, circostanza, questa, nota alla coniuge coimputata.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente e personalmente ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p..
2. Con un primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge, lamentando il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione e dei benefici di legge.
3. Con un secondo motivo di ricorso la violazione di legge viene poi denunciata con riferimento alla mancata esclusione dell'aggravante contestata nei confronti di S.S., deducendo anche il vizio di motivazione in relazione alle censure di cui tratta il primo motivo di ricorso.
Entrambi insistono, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Va preliminarmente osservato che i ricorrenti non pongono in discussione la ricostruzione dei fatti e l'accertamento di responsabilità effettuato dai giudici del merito, mentre le censure formulate in ricorso risultano sostanzialmente ripetitive rispetto alle doglianze contenute nell'atto di appello e si confrontano solo in minima parte con le argomentazioni sviluppate dalla Corte territoriale a sostegno della sentenza impugnata.
2. Ciò premesso, osserva i Collegio che con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione, questa Corte ha avuto modo di osservare come il giudice d'appello, nel valutare gli effetti riduttivi delle attenuanti nella determinazione della pena, non deve necessariamente prendere in considerazione gli elementi favorevoli dedotti dalla parte, neppure per disattenderli, essendo sufficiente che, nel valorizzare quelli sfavorevoli ritenuti rilevanti e, pertanto, ostativi ad una ulteriore riduzione del carico sanzionatorio, abbia operato una complessiva valutazione di congruità rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, ex art. 27 Cost. (Sez. 7, n. 39396 del 27/5/2016, Jebali, Rv. 268475)
Nel far ciò, la richiamata pronuncia ha ritenuto di dare continuità ad un risalente, ma ancor valido orientamento, secondo il quale, nell'applicazione di un criterio eminentemente discrezionale, come quello concernente la determinazione della riduzione della pena conseguente alla concessione di una circostanza attenuante, non si può pretendere dal giudice di merito la precisazione di specifiche ragioni, essendo sufficiente che possa desumersi dalla motivazione che il giudice ha esercitato il suo potere discrezionale con senso di equità e di proporzione (Sez. 5, n. 699 del 8/5/1967, Amadei, Rv. 10478).
3. Nel caso di specie, i giudici del gravame hanno adeguatamente giustificato il diniego esprimendo un giudizio di disvalore sulla personalità degli imputati fondato sulla particolare intensità del dolo, manifestatasi attraverso la prosecuzione dei lavori nonostante la reiterata apposizione di sigilli al cantiere e la conseguente dimostrazione di spregio rispetto all'intervento inibitore dell'autorità giudiziaria.
Tale evenienza è stata peraltro considerata anche nell'esercizio dell'ampio potere discrezionale attributo al giudice dalla legge per la determinazione della pena.
4. Giuridicamente corretto ed adeguatamente motivato risulta anche il diniego dei richiesti benefici di legge.
Ricorda a tale proposito il Collegio che la valutazione, da parte del giudice di merito, delle condizioni per la concessione del beneficio della sospensione condizionale non richiede l'esame tutti gli elementi indicati nell'art. 133 c.p., ben potendosi questi limitare ad indicare quelli ritenuti prevalenti (Sez. 3, n. 6641 del 17/11/2009 (dep.2010), Miranda, Rv. 246184; Sez. 2, n. 37670 del 18/6/2015, Rv. 264802; Sez. 2, n. 19298 del 15/4/2015, Di Domenico, Rv. 263534; Sez. 3, n. 30562 del 19/3/2014, Avveduto e altri, Rv. 260136; Sez. 4, n. 9540 del 13/7/1993, Scalia, Rv. 195225; Sez. 1, n. 6239 del 12/7/1989 (dep. 1990), Palamara, Rv. 184181).
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha fatto mero riferimento ad una non favorevole prognosi di non recidività ostativa alla concessione dei benefici, all'esito, tuttavia, delle ben più articolate considerazioni sulla particolare intensità del dolo e la insensibilità dimostrata dagli imputati rispetto ai provvedimenti dell'autorità che non era dunque necessario reiterare, avendo comunque i giudici dell'appello compiutamente indicato sulla base di quali dati significativi doveva ritenersi neutralizzato l'unico elemento positivo suscettibile di valutazione rappresentato dall'incensuratezza degli imputati.
5. Per ciò che concerne, poi, la posizione della S., si osserva in ricorso che il rapporto di coniugio con il coimputato nominato custode, non sarebbe stato sufficiente per ritenere applicabile anche nei suoi confronti l'aggravante di cui all'art. 349 c.p., comma 2.
Va a tale proposito ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la circostanza aggravante della qualità di custode può comunicarsi ai concorrenti che siano a conoscenza o ignorino colpevolmente tale qualità, non rientrando la stessa tra quelle circostanze soggettive da valutarsi soltanto con riguardo alla persona cui si riferiscono (Sez. 3, n. 35550 del 20/05/2010, Coppola e altro, Rv. 248365; Sez. 3, n. 35500 del 30/5/2003, Waghih, Rv. 225878; Sez. 6, n. 2732 del 20/1/1994, Mazzaglia e altri, Rv. 198249; Sez. 6, n. 5218 del 10/3/1993, Ferrara, Rv. 194020 ed altre prec. conf.).
Nella fattispecie, la Corte del merito ha correttamente ritenuto applicabile, nei confronti della S., l'art. 59 c.p., comma 2, dando atto, sulla base di elementi fattuali opportunamente valutati, che la qualità di custode in capo al coimputato era stata, quantomeno, da lei colposamente ignorata, essendo comproprietaria dell'opera ove, per ampio lasso di tempo, erano stati effettuati lavori ed avendo conseguentemente l'obbligo di verificare la effettiva disponibilità materiale e giuridica del manufatto, oltre ad essere coniuge convivente del committente dei lavori e custode giudiziario.
Si tratta, anche in questo caso, di argomentazioni ineccepibili che evidenziano la manifesta infondatezza delle censure.
6. I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibili e alla declaratoria di inammissibilità consegue l'onere delle spese del procedimento, nonchè quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 2.000,00
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 24 novembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2018