RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Messina, con sentenza del 8 marzo 2019, ha confermato la sentenza con la quale, il precedente 4 aprile 2017, il Tribunale di Messina, in composizione monocratica, aveva dichiarato B.A. e K.K. responsabili dei reati loro ascritti, consistenti per ambedue nella violazione dei sigilli, aggravata sia dal nesso teleologico con gli altri reati contestati sia, per il solo B., dai fatto di essere stata commessa dal soggetto custode del bene sigillato, ed in due contravvenzioni in materia di legislazione edilizia ed antisismica, e li aveva, pertanto, condannati alla pena per ciascuno ritenuta di giustizia, condizionalmente sospesa solamente in favore della donna.
Avverso la sentenza della Corte territoriale hanno interposto ricorso per cassazione i due prevenuti, articolando in un unico atto, tre motivi di ricorso.
Con il primo è lamentata la erronea applicazione della legge penale con riferimento all'art. 349 c.p.p., essendo stata ritenuta la rilevanza penale della violazione dei sigilli, sebbene il provvedimento con il quale era stata disposta la loro collocazione era stato da tempo revocato.
Con il secondo ed il terzo motivo di impugnazione è stata, rispettivamente, dedotta, in ambedue i casi con riferimento alla violazione di legge contenuta nella sentenza impugnata, la violazione del principio del ne bis in idem essendo stati, secondo il loro avviso, gli imputati già giudicati per gli stessi fatti, e la violazione degli artt. 14 e 157 c.p. in relazione alla di già maturata prescrizione delle due contravvenzioni.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è solo parzialmente fondato e, pertanto, lo stesso deve essere accolto per quanto di ragione.
E', infatti, fondato il primo motivo di impugnazione avente ad oggetto la ritenuta violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte di appello di Messina nel ritenere integrato dalla condotta dei prevenuti il reato di cui all'art. 349 c.p..
Onde comprendere le ragioni dell'accoglimento del primo motivo di ricorso è necessario precisare, sulla scorta di quanto riportato nella sentenza impugnata, taluni aspetti fattuali della presente vicenda.
In data 5 aprile 2014 alcuni agenti della Polizia municipale del Comune di Messina si recarono presso la abitazione degli imputati, soggetta a sequestro preventivo a decorrere dal 8 novembre 2009 in quanto costruita in assenza del prescritto titolo abilitativo, per notificare ai predetti il decreto di avvenuto dissequestro del manufatto, finalizzato alla sua demolizione, emesso in data 6 maggio 2013.
In tale occasione gli agenti in questione ebbero a rilevare l'avvenuta rimozione dei sigilli a suo tempo apposti e la modifica dello stato dei luoghi, essendo proseguiti i lavori edilizi abusivi anche dopo il sequestro.
Sulla base del predetto dato il Tribunale dapprima e la Corte di appello poi hanno affermato la penale responsabilità dei due prevenuti in ordine al reato di violazione dei sigilli; la Corte territoriale, in particolare, nel rigettare la impugnazione dei ricorrenti, ha rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il delitto di violazione di sigilli, di cui all'art. 349 c.p., si configura anche quando la ripresa dell'attività edilizia sia avvenuta successivamente alla pronuncia di dissequestro del bene, da parte dell'autorità giudiziaria ma prima della rimozione dei sigilli da parte degli organi dell'esecuzione, atteso che sino a tale momento permane il vincolo di indisponibilità materiale del bene e l'efficacia dei sigilli che lo rendono manifesto (Corte di cassazione, Sezione III penale, 6 febbraio 2017, n. 5430).
Come detto avverso tale decisione hanno interposto ricorso per cassazione i due imputati, osservando che nella giurisprudenza della Corte di cassazione sono rinvenibili, oltre all'orientamento riportato dalla Corte territoriale, anche altri indirizzi interpretativi di segno contrario, ritenuti dai ricorrenti preferibili al precedente, posto che l'interesse tutelato dalla norma risiede non nella pretesa di un'obbedienza ad un precetto vuoto ma nella tutela della intangibilità di uno stato di fatto che, tuttavia, una volta disposto il dissequestro del bene in questione, non ha più ragione di essere mantenuto.
Il motivo di ricorso è fondato nei termini di seguito illustrati.
Si rileva, infatti, che la disposizione che si assume essere stata infranta prevede che incorra nella sanzione penale chiunque violi i sigilli apposti, o per disposizione di legge ovvero per ordine della Autorità, al fine di assicurare la conservazione o la identità della cosa.
Effettivamente sul punto esiste un contrasto giurisprudenziale; infatti, oltre al principio richiamato dalla Corte peloritana, il giudice di legittimità ebbe, sia pure in precedenza, ad affermare, con riferimento ad una fattispecie analoga alla presente, che il delitto di violazione di sigilli, di cui all'art. 349 c.p., non si configura allorchè la ripresa dell'attività edilizia sia avvenuta prima della rimozione dei sigilli, ma successivamente alla revoca del sequestro da parte dell'autorità giudiziaria, atteso che il fine di assicurare la conservazione ed identità della cosa risulta superato dalla nuova statuizione del giudice (Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 marzo 2007, n. 8668), avendo, in altra occasione, altresì precisato che il dissequestro, determinando la cessazione del vincolo cautelare, priva i sigilli di rilevanza giuridica ed impedisce la configurabilità stessa del reato ove il privato li rimuova senza attendere l'intervento degli organi esecutivi all'uopo delegati (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 30 maggio 1994, n. 6342).
Ritiene il Collegio che tale secondo orientamento sia più conforme allo spirito ed alla finalità della disposizione che si assume violata; con essa, infatti, il legislatore ha inteso tutelare non l'astratta integrità dei segni apposti onde rendere manifesta l'avvenuta sottrazione del bene sigillato alla disponibilità di chi in precedenza lo possedeva, ma, appunto, la integrità ed immodificabilità del bene.
Si tratta, pertanto, di una tutela di carattere funzionale e non meramente formale; di ciò costituisce indicazione sia la stessa lettera della legge, laddove, nel testo dell'art. 349 c.p. ci si riferisce ai sigilli apposti "al fine di assicurare la conservazione o la identità della cosa", essendo in tal modo posto in luce che la violazione dei sigilli è penalmente sanzionata in quanto attraverso di essa è posta a repentaglio la conservazione o la identità di una cosa che, invece, l'ordinamento ha interesse che rimanga invariata, sia la radicata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale - a dimostrazione del fatto che il reato si realizza non tanto attraverso la materiale rimozione dei sigilli quanto attraverso la immutatio soci - integra la violazione della disposizione sopra richiamata qualsiasi condotta idonea ad eludere l'obbligo di immodificabilità del bene, pur in assenza di sigilli o segni esteriori dell'avvenuto sequestro (che, pertanto, non essendoci neppure possono essere materialmente infranti oppure concretamente violati), sempre che si tratti di soggetto comunque edotto del vincolo posto sul bene (Corte di cassazione, Sezione III penale 1 ottobre 2018, n. 43169).
Ritiene, pertanto, il Collegio che, laddove il provvedimento di sequestro, al cui rispetto sia stata preordinata la apposizione dei sigilli sia stato revocato, essendo in tal modo evidenziato il venir meno dell'interesse dell'ordinamento al mantenimento dello status quo, l'eventuale violazione dei sigilli diventerebbe un fatto materiale privo del requisito della offensività, e, perciò, penalmente insignificante, in quanto non sussisterebbe più il bene-interesse, id est la necessità di immutabilità dei luoghi, che la norma formalmente violata era destinata a tutelare.
Nè pare condivisibile la tesi a suo tempo sviluppata da questa Corte con la sentenza n. 5430 del 2017, citata dalla Corte messinese a sostegno della propria decisione, secondo la quale benchè il provvedimento di dissequestro determini il venir meno del vincolo sui beni sui quali era stato imposto, esso richiede pur sempre di essere eseguito mediante la rimozione dei segni esteriori del vincolo e la reimmissione dell'avente diritto alla restituzione nella disponibilità del bene; operazione questa cui tale soggetto non può provvedere direttamente, dovendo essere eseguito il provvedimento di dissequestro e restituzione dagli organi preposti alla sua esecuzione, che hanno anche il compito di individuare l'avente diritto cui materialmente restituire i beni.
Infatti da tale profilo meramente esecutivo, che in nulla incide sulla ratio della permanenza del vincolo, ne viene fatto discendere il corollario che fino a quando non sia eseguito il dissequestro, con la restituzione del bene all'avente diritto previa rimozione dei sigilli da parte degli organi competenti, permane il vincolo di indisponibilità materiale sul bene e con esso anche l'efficacia dei sigilli che lo rendono manifesto.
Tale conclusione fa, in sostanza, discendere la efficacia del provvedimento di dissequestro, e pertanto la concreta attuazione della volontà dell'ordinamento di rimuovere un vincolo su di un bene, da un adempimento meramente esecutivo la cui tempistica può dipendere da fattori del tutto contingenti quali la disponibilità materiale di chi possa andare materialmente a rimuovere il vincolo ovvero la maggiore o minore difficoltà nell'individuare il soggetto avente diritto alla restituzione del bene in questione - con la possibile derivante protrazione della privazione del bene in capo a chi lo deteneva da una parte e proroga delle responsabilità connesse, ad esempio, alla qualità di custode del bene sequestrato - in assenza di una qualsiasi causa che giustifichi la protrazione del vincolo, essendo questo stato ritenuto non più necessario dalla autorità che ha provveduto alla revoca del sequestro.
Tanto più evidente la inadeguatezza di una tale impostazione ove, come nel caso di specie, lo scarto temporale fra la revoca del provvedimento a causa del quale i sigilli sono stati apposti, logicamente determinata dal venir meno della esigenza che aveva giustificato la sua adozione, e la materiale esecuzione del provvedimento, con la rimozione dei sigilli, sia non di breve durata (proprio nel caso che interessa fra l'uno e l'atro adempimento è intercorso quasi un anno), dovendosi ritenere ingiustificata per tutto questo tempo la permanenza del vincolo di indisponibilità materiale sul bene sequestrato.
Si deve, ad avviso del Collegio, pertanto concludere nel senso che, una volta venuto meno il provvedimento in forza del quale i sigilli erano stati apposti, la loro eventuale violazione, senza che abbia un qualche rilievo la circostanza che gli stessi siano stati materialmente rimossi da parte della Autorità competente, non sia condotta tale da integrare gli estremi del reato di cui all'art. 349 c.p..
Con riferimento al caso che interessa, pertanto, anche in considerazione del lasso di tempo, come già rilevato, non trascurabile intercorso fra il momento in cui il provvedimento di dissequestro è stato emesso - cioè, secondo quanto riportato nella sentenza impugnata il 6 maggio 2013 - ed il momento in cui è stata riscontrata la violazione dei sigilli - cioè il 5 aprile 2014 - dovrà essere accertata, anche tenendo conto della entità delle intervenute modificazioni dello stato dei luoghi rispetto a quello esistente allorchè, nel novembre del 2009, il sequestro fu disposto e, pertanto, del ritenuto tempo necessario per la loro realizzazione, l'epoca in cui la violazione riscontrata è intervenuta; in altre parole se la stessa è o meno anteriore all'avvenuto dissequestro dell'immobile.
Tale accertamento è, peraltro, necessario anche in considerazione della natura istantanea del reato in discorso (che in tal senso si distingue dagli altri reati contravvenzionali contestati agli imputati) e della ampiezza della collocazione temporale della condotta incriminata indicata nel capo di imputazione i cui limiti viciniori travalicano considerevolmente la data dell'avvenuto dissequestro dell'immobile.
Tale accertamento, con la conseguente sua ricaduta in termini di rilevanza penale delle condotte ascritte ai prevenuti ed eventualmente in ordine al trattamento sanzionatorio loro applicabile, formerà l'oggetto del giudizio di rinvio, di fronte alla Corte di appello di Reggio Calabria, derivante dall'annullamento della sentenza impugnata.
Inammissibili, sono, invece, le restanti doglianze formulate dai due ricorrenti.
Quanto alla pretesa violazione del principio del divieto di bis in idem, si tratta di censura priva di qualsivoglia pregio, considerato che le opere edilizie, in ordine alle quali non è in discussione la assenza del titolo abilitante per la loro realizzazione, sono del tutto autonome rispetto ad altre per le quali i ricorrenti già avevano riportato una sentenza di condanna ed in considerazione delle quali gli stessi erano stati destinatari di un provvedimento di sospensione dei lavori emesso da Sindaco di Messina in data 10 dicembre 2009.
Tali eventi, cioè la contestazione penale ed il provvedimento amministrativo, costituendo una innegabile cesura fra le opere precedenti e quelle ulteriori, escludono la possibilità di ritenere che quelle per le quali si sta attualmente procedendo debbano, sotto il profilo della loro rilevanza penale, essere considerate un mero sviluppo della precedente condotta e non, come invece correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, un nuovo e diverso fatto costituente autonomo reato.
Relativamente alla censura riguardante la intervenuta prescrizione dei reati contravvenzionali, stante la loro natura permanente, i giudici del merito hanno coerentemente fatto partire la decorrenza del termine relativo alla predetta causa estintiva del reato dal momento in cui i fatti sono stati accertati e, conseguentemente, contestati agli imputati.
Pacificamente da tale data, cioè il 5 aprile 2014, la prescrizione dedotta, considerato il periodo pari a 70 giorni (dal 15 dicembre 2016 al 23 febbraio 2017 stante il differimento della trattazione del giudizio a richiesta del difensore degli imputati) il cui il corso di essa è risultato sospeso, non è ancora maturata.
Conclusivamente la sentenza impugnata deve essere parzialmente annullata, con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria, limitatamente alla dichiarazione della penale responsabilità in ordine alla imputazione di cui al capo a) della rubrica ed alle conseguenti statuizioni in punto di trattamento sanzionatorio, mentre i ricorsi vanno dichiarati inammissibili quanto ai loro restanti motivi e la sentenza impugnata, visto l'art. 624 c.p.p., deve intendersi irrevocabile con riferimento alla affermazione della penale responsabilità degli imputati in ordine ai due restanti reati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui al capo a) e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, alla Corte di appello di Reggio Calabria.
Dichiara inammissibili i ricorsi nel resto.
Dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi b) e c).
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2019