RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La corte di appello di Cagliari, con sentenza del 23 febbraio 2021, confermava la sentenza del tribunale di Cagliari del 7 giugno 2019, con la quale C.G. era stato condannato in relazione al reato di cui all'art. 349 c.p., comma 2.
2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso C.G., mediante il proprio difensore, prospettando tre motivi di impugnazione.
3. Deduce con il primo il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all'art. 349 c.p. e art. 47 c.p.. Si osserva come prima della condotta ascritta al ricorrente il pubblico ministero avesse adottato un provvedimento di rimozione temporanea dei sigilli, per consentire la demolizione del bene abusivo sequestrato. Pertanto, era assente il presupposto del reato, costituito dalla strumentalità dei sigilli in ordine alla assicurazione della conservazione dell'identità e consistenza del bene in sequestro. Conseguirebbe che, assunta in tal caso la possibilità di modificare il bene nella sua consistenza, il reato di violazione di sigilli non potrebbe sussistere in presenza di una modifica del bene, ossia non potrebbe dipendere dalla intensità o direzione della modifica, ormai consentita. Pertanto la mancanza di offensività della condotta del ricorrente sarebbe idonea ad escludere il reato. Mancherebbe inoltre l'elemento soggettivo del reato posto che il provvedimento del P.M. autorizzava una condotta modificativa del bene sequestrato, per cui vi sarebbe stato un errore sul fatto della modifica del bene in vinculis nel senso che l'imputato non avrebbe percepito il divieto di modifica del bene conseguente alla autorizzazione alla rimozione dei sigilli finalizzata alla demolizione.
4. Con il secondo motivo deduce i vizi ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e, attesa la contraddittorietà tra l'affermazione per cui qualsiasi modifica del bene sequestrato integra il reato, e quella per cui la demolizione integrale del bene non avrebbe integrato il reato.
5. Con il terzo motivo rappresenta il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione agli artt. 132 e 133 c.p., con riguardo alla pena irrogata in concreto. I giudici avrebbero dovuto applicare il minimo della pena per la non particolare gravità del fatto, l'assenza di precedenti penali e la prognosi negativa circa la futura commissione di reati. Essendo stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena.
6. I primi due motivi, siccome omogenei quanto alla ricostruzione della sussistenza del sequestro e alla tematica della consapevolezza dello stesso, devono essere esaminati congiuntamente, e ritenuti inammissibili.
7. Con l'art. 349 c.p., il legislatore ha inteso tutelare non l'astratta integrità dei segni apposti, onde rendere manifesta l'avvenuta sottrazione del bene sigillato alla disponibilità di chi in precedenza lo possedeva, ma la integrità ed immodificabilità del bene. Si tratta, pertanto, di una tutela di carattere funzionale e non meramente formale; di ciò costituisce indicazione sia la stessa lettera della legge, laddove, nel testo dell'art. 349 c.p., ci si riferisce ai sigilli apposti "al fine di assicurare la conservazione o la identità della cosa", sia la radicata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale - a dimostrazione del fatto che il reato si realizza non tanto attraverso la materiale rimozione dei sigilli quanto attraverso la immutatio loci - integra la violazione della disposizione sopra richiamata qualsiasi condotta idonea ad eludere l'obbligo di immodificabilità del bene, pur in assenza di sigilli o segni esteriori dell'avvenuto sequestro, sempre che si tratti di soggetto comunque edotto del vincolo posto sul bene (Sez. 3 - n. 44288 del 12/05/2019 Rv. 277181 - 01; sez. 3, 1 ottobre 2018, n. 43169).
7.1. Ben si correla al suesposto concetto - per cui la violazione della fattispecie ex art. 349 citato, ricorre in presenza di ogni sostanziale elisione dell'obbligo di immodificabilità del bene in vinculis, anche in assenza di una concreta modifica dei sigilli, sino al caso in cui gli stessi non risultino apposti pur in presenza del vincolo apposto - l'istituto del cd. "dissequestro temporaneo" ovvero della "rimozione dei sigilli" finalizzata ad una determinata attività: quale fattispecie che non incide negativamente sulla persistenza della misura reale bensì attiene, nella prassi, alle modalità di esecuzione del sequestro preventivo. Cosicché la figura del "dissequestro temporaneo" della "rimozione dei sigilli" temporanea, al di là del nome, ha lo scopo, così come l'autorizzazione al temporaneo accesso ai luoghi in sequestro sotto il diretto controllo della polizia giudiziaria ed altre similari procedure, tra cui rientra quella in esame, diretta alla integrale demolizione dell'opera abusiva, di consentire soltanto il momentaneo accesso alle cose comunque in persistente sequestro, per le finalità di volta in volta prospettate ed oggetto di valutazione da parte di chi riceve l'istanza. Così che un eventuale accoglimento non può risolversi nella revoca del sequestro e nel consentire la ripresa dell'attività illecita interrotta dall'apposizione del vincolo e senza conseguenze correlate alla sussistenza di un vincolo giuridico sulla res (Sez. 3, n. 39275 del 12/06/2018 (dep. 30/08/2018) Rv. 273753 - 01).
7.2. Di tali principi ha fatto corretta applicazione la corte di appello, traendo anche tutte le necessarie conseguenze nel motivare arche sulla infondatezza della censura relativa alla assenza dell'elemento psicologico del reato, cui osta sia la vicenda fattuale - in cui, come illustrato dai giudici, il ricorrente ebbe perfetta cognizione della limitata portata del provvedimento del P.M., di rimozione temporanea dei sigilli per la sola demolizione dell'opera abusiva - sia la predetta ricostruzione giuridica, distante da ogni ipotetica considerazione della intervenuta cessazione del sequestro, corre tale inquadrabile solo nel contesto di una rappresentata ignoranza della legge, che come tale non può scusare.
8. Anche l'ultimo motivo è inammissibile, a fronte di una pena stabilita in misura di poco superiore al minimo edittale e indicata espressamente come adeguata alla gravità del fatto, nel quadro di un giudizio negativo di personalità formulato alla luce della pervicacia manifestata nel portare a termine un scopo illecito. In linea con l'indirizzo per cui la determinazione della pena rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili nei quali sono gli elementi di cui all'art. 133 c.p. (cfr. Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013 Ud. (dep. 17/05/2013) Rv. 256197 - 01 Serratore).
9. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
PQM
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 1 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2022