RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 8.04.2021, la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma del giudizio reso in primo grado dal tribunale di Lodi in data 26.10.2018, ha rideterminato il trattamento sanzionatorio inflitto all'attuale ricorrente V.G. in 5 mesi e 10 giorni di reclusione e 300 Euro di multa, confermando, nel resto, la statuizione di condanna impugnata, che aveva riconosciuto il V. colpevole del reato di cui all'art. 349 c.p., (violazione di sigilli) in particolare per avere il medesimo, in qualità di legale rappresentante della (OMISSIS) (così indicata per errore e corretta in sentenza in (OMISSIS)), violato i sigilli posti sui terminali adibiti all'accettazione delle scommesse apposti dai Carabinieri di (OMISSIS) a seguito di apposita ordinanza emessa dal Questore di Milano, in relazione a fatto accertato in data 4.01.2014.
2. Giova precisare, per migliore intelligibilità dell'impugnazione, che, all'esito del giudizio di prime cure, il Tribunale di Lodi, valorizzando il quadro probatorio emerso in sede dibattimentale, aveva preliminarmente precisato come l'odierno prevenuto, in qualità di legale rappresentante della (OMISSIS), avesse richiesto il rilascio di un'autorizzazione per lo svolgimento dell'attività di trasmissione dati inerenti a scommesse a quota fissa su eventi sportivi. Il Questore di Milano, dopo aver previamente emesso un preavviso di rigetto, aveva dichiarato tale istanza irricevibile ed aveva, conseguentemente, ordinato la cessazione immediata dell'attività non autorizzata di accettazione di scommesse svolta dall'attuale ricorrente. Al riguardo, il provvedimento di rigetto poggiava sul rilievo per il quale la licenza per l'esercizio di scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da un Ministero ovvero da altri enti ai quali la legge espressamente riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché ai soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare dell'autorizzazione in virtù della stessa concessione o autorizzazione. In ogni caso, il principio di personalità delle autorizzazioni di polizia impone che il titolare della licenza sia in grado di garantire una costante direzione e sorveglianza sull'attività. Al contrario, l'attuale ricorrente non rientrava in alcuna delle categorie che avrebbero potuto ottenere il rilascio di una simile autorizzazione o concessione, non rivestendo la qualifica di legale rappresentante della (OMISSIS) né essendo, in ogni caso, quest'ultima concessionaria autorizzata ai sensi di legge.
In conformità con quanto statuito dal Questore di Milano, nel novembre del 2013, i Carabinieri di (OMISSIS) avevano apposto sui terminali adibiti allo svolgimento dell'attività inibita un cartello recante la seguente dicitura: "CHIUSO SU DISPOSIZIONE DEL QUESTORE DI MILANO". Nel mese seguente, la Polizia Locale di (OMISSIS) aveva effettuato un sopralluogo presso i locali della società dell'odierno ricorrente, rilevando come i terminali adibiti allo svolgimento delle operazioni di gioco fossero privi del cartello apposto in precedenza dai Carabinieri di (OMISSIS).
Nell'ambito di un secondo sopralluogo eseguito nel gennaio del 2014, gli ufficiali di polizia avevano nuovamente constatato l'assenza dei sigilli apposti dai Carabinieri, nonché il persistente svolgimento dell'attività di gioco e scommessa precedentemente inibita.
Ebbene, valorizzando l'inequivoco tenore del provvedimento del Questore di Milano e gli esiti delle attività svolte dalla polizia locale, il giudice di prime cure aveva ritenuto pienamente comprovata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità del V. in ordine al reato in contestazione. Nel ritenere infondate le deduzioni difensive, il Tribunale di Lodi aveva evidenziato come la fattispecie ascritta all'attuale prevenuto avesse ad oggetto la violazione dei sigilli la cui apposizione era stata ordinata dal Questore di Milano con provvedimento tempestivamente notificato. Al riguardo, l'autorità giudiziaria aveva precisato come l'eventuale inefficacia o illegittimità del provvedimento di apposizione di sigilli non avrebbe in alcun modo escluso la configurabilità del reato di cui all'art. 349 c.p., atteso che la norma incriminatrice in esame richiede esclusivamente che l'apposizione dei sigilli derivi da una disposizione di legge ovvero da un ordine dell'autorità. Nel delineare la complessa vicenda amministrativa che ha riguardato l'attività dell'attuale ricorrente, il giudice di prime cure aveva altresì evidenziato l'insus.si-stenza di elementi idonei a fondare una pronuncia assolutoria ai sensi dell'art. 131 bis c.p.. Ed infatti, l'atteggiamento di spregiudicatezza ed insensibilità ai precetti ed agli obblighi imposti dall'autorità amministrativa dimostrato dal V. era stato ritenuto una circostanza di per sé idonea ad escludere la particolare tenuità della condotta.
3. Nel riformare la sentenza appellata limitatamente al trattamento sanzionatorio irrogato, la Corte di Appello di Milano ha ritenuto oggettivamente integrata la fattispecie delittuosa in contestazione.
Ed invero, ha rilevato come il reato di cui all'art. 349 c.p., possiede natura istantanea e può perfezionarsi sia con la materiale violazione dei sigilli, sia con ogni altra condotta idonea a frustrare il vincolo di immodificabilità imposto per ordine dell'autorità o per violazione di legge. Nel caso oggetto del presente giudizio, non vi era mai stato alcun dubbio in ordine alla circostanza che l'odierno ricorrente avesse rimosso il cartello apposto dai Carabinieri di (OMISSIS), così come ripetutamente accertato dalla Polizia Locale nell'ambito dei plurimi sopralluoghi svoltisi presso i locali della società del V.. In particolare, i giudici di seconde cure hanno evidenziato come la fattispecie delittuosa di cui all'art. 349 c.p., risulti configurabile anche nel caso in cui i sigilli siano stati apposti - come nel caso in esame - esclusivamente al fine di impedire l'uso illegittimo del bene, attesa la sussumibilità di tale scopo nell'ambito della più generale finalità di assicurare la conservazione o l'identità della cosa (Cass. pen., Sez. Un., 10.02.2010, sent. n. 5385; Cass. pen., 30.08.2012, sent. n. 43884; Cass. pen., 15.01.2015, sent. n. 7407). Nel condividere le argomentazioni del primo giudice sul punto, il Collegio ha altresì precisato come l'inefficacia o l'illegittimità del provvedimento di apposizione di sigilli non esclude il delitto oggetto di contestazione, in quanto, una volta instauratosi il vincolo di indisponibilità, esso non può essere violato fin quando non venga formalmente rimosso dall'autorità competente. Quanto all'elemento soggettivo del reato ascritto all'attuale ricorrente, la Corte territoriale ha precisato come a tal fine sia sufficiente la mera rappresentazione e volizione della condotta di asportazione dei sigilli, senza che sia necessaria la sussistenza della specifica finalità di recare un vulnus al bene sottoposto al vincolo di indisponibilità. Peraltro, alla luce degli atti di indagine ritualmente acquisiti, i giudici di seconde cure hanno ritenuto incontroverso che il V. abbia agito con la piena consapevolezza di violare i sigilli, manifestando, così, un pervicace intento di non adempiere alla prescrizione del Questore.
4. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il difensore fiduciario ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di seguito sinteticamente indicati.
4.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge sotto il profilo dell'erronea applicazione dell'art. 349 c.p., in ordine all'accertamento della penale responsabilità dell'attuale imputato ed il correlato vizio di omessa motivazione.
Ai fini di una migliore intellegibilità della deduzione difensiva ivi prospettata, il ricorrente evidenzia talune peculiarità della vicenda in contestazione, attesa la loro asserita rilevanza ai fini del decisum. Preliminarmente, la difesa precisa come il provvedimento del Questore emesso nell'ottobre del 2013 contenesse due distinte disposizioni: l'una concernente il diniego della richiesta di licenza ex art. 88 TULPS avanzata illo tempore dal V., l'altra avente ad oggetto la cessazione immediata dell'attività di raccolta di scommesse, con contestuale affissione di un cartello inibitorio sui relativi terminali. Ebbene, entrambe le suindicate statuizioni si fondavano sul presupposto per il quale la società (OMISSIS) - per conto della quale l'odierno prevenuto era solito svolgere l'attività di raccolta di scommesse - al momento dei fatti operasse in Italia in assenza del dovuto titolo concessorio. Ed infatti, da tale circostanza era derivata l'instaurazione di un ulteriore procedimento penale a carico del V. avente ad oggetto l'accusa di esercizio abusivo di raccolta scommesse di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 4. Peraltro, la pronuncia assolutoria con la quale si era favorevolmente conclusa tale vicenda processuale assumerebbe carattere dirimente nel presente giudizio, attesa la sua idoneità a dimostrare l'ine-quivoca illegittimità del provvedimento di diniego (e di apposizione dei sigilli) pronunciato dal Questore di Milano. In particolare, dalla lettura di tale sentenza emergerebbe chiaramente come il mancato rilascio della prescritta licenza di polizia nei confronti dell'attuale ricorrente non sia dipeso dalla carenza di requisiti soggettivi, bensì unicamente dalla circostanza che il bookmaker a cui lo stesso era affiliato non abbia potuto partecipare al bando di gara per violazione delle prescrizioni comunitarie vigenti in materia. Al riguardo, giova precisare come le irregolarità commesse nell'ambito di una procedura volta al rilascio di una concessione cagionino l'irregolarità anche delle susseguenti autorizzazioni di polizia, la cui mancanza, dunque, non potrebbe essere addebitata ai soggetti che non ne abbiano potuto beneficiare a causa di una violazione del diritto comunitario (Cass. pen., Sez. III, 20.09.2012, sent. n. 40865). Di conseguenza, anche il suindicato provvedimento del Questore dovrebbe ritenersi illegittimo ab origine, in quanto emesso in violazione dei principi propri del diritto dell'Unione. Su tale fondamentale circostanza la Corte di Appello avrebbe omesso di motivare, ritenendo aprioristicamente irrilevante qualunque causa di inefficacia o di illegittimità del provvedimento di apposizione dei sigilli ai fini dell'integrazione della fattispecie delittuosa in contestazione. Tuttavia, la difesa rileva come, nel caso in esame, il provvedimento del Questore non risulti illegittimo meramente in ordine al suo contenuto, bensì in riferimento alla sua stessa esistenza. Pertanto, non potrebbe esigersi il rispetto di un provvedimento di un'autorità - e, conseguentemente, la punibilità dei comportamenti che lo violano - laddove quest'ultimo risulti affetto da un grave vizio di legittimità originaria. A sostegno di tali argomentazioni, il ricorrente rievoca l'orientamento giurisprudenziale consolidatosi in merito alla fattispecie di cui all'art. 650 c.p., il cui principio di diritto si ritiene oltremodo estensibile anche all'ipotesi delittuosa oggetto del presente giudizio. Laddove non si intendesse aderire alla suesposta interpretazione, ed attesa la rilevanza della questione nel caso di specie, la difesa insiste per la formulazione di una questione di legittimità di costituzionale per violazione dei principi di cui all'art. 3 Cost., avente ad oggetto l'art. 349 c.p., nella parte in cui non esclude - a differenza della diversa fattispecie prevista dall'art. 650 c.p. - la penale responsabilità dell'imputato qualora i sigilli violati promanino da ordini dell'autorità emessi in violazione di legge.
4.2. Deduce, con il secondo motivo, l'intervenuta prescrizione del reato oggetto del presente giudizio.
Ed invero, ai fini dell'individuazione del dies a quo del termine di prescrizione occorrerebbe avere riguardo all'accertamento svolto dalla Polizia Locale di (OMISSIS) nel gennaio del 2014. Sulla base delle considerazioni che precedono, l'odierno ricorrente richiede l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del delitto in contestazione.
4.3. Deduce, con il terzo ed ultimo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione alla causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., per essere stata erroneamente esclusa la particolare tenuità del fatto sulla base di condotte post delictum del reo non utilizzabili ai fini del diniego.
Sul punto, la difesa evidenzia come, ai fini dell'applicabilità dell'invocata causa di esclusione della punibilità, il giudizio sulla particolare tenuità dell'offesa debba essere condotto alla luce dei criteri di cui all'art. 133 c.p., comma 1. Peraltro, non risulta necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione ivi previsti, essendo sufficiente l'indicazione dei soli elementi ritenuti rilevanti.
Ciononostante, entrambi i giudici di merito si sarebbero limitati a fare assurgere, quali elementi decisivi ai fini del diniego del beneficio in questione, l'atteggiamento di spregiudicatezza ed insensibilità ai precetti ed agli obblighi imposti dall'autorità amministrativa dimostrato dall'odierno imputato. Tuttavia, il ricorrente rileva come, nell'ambito dei parametri indicati nell'art. 133 c.p., comma 1, ed ai quali occorre improntare la valutazione della particolare tenuità del fatto, non vi sia alcun riferimento alla condotta "post delictum".
Pertanto, la "prosecuzione dell'attività" indebitamente posta in essere dal V. in un momento successivo alla consapevole rimozione dei sigilli non avrebbe dovuto essere in alcun modo valorizzata ai fini dell'esclusione del beneficio invocato.
5. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta depositata telematicamente presso la cancelleria di questa Sezione in data 19 febbraio 2022, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.
In particolare, rileva il PG come, in punto di responsabilità, la sentenza impugnata ha correttamente rilevato che l'illegittimità del provvedimento di apposizione di sigilli sostenuta dalla difesa non esclude il reato di cui all'art. 349 c.p., dal momento che la norma incriminatrice richiede solo che l'apposizione dei sigilli derivi da una disposizione di legge o da un ordine dell'autorità. Infine, ha aggiunto che non può farsi riferimento, come sostenuto in ricorso, alla sentenza n. 11563/2018 del Tribunale di Milano, in quanto tale pronuncia riguardava un reato diverso, quello di cui all'art. 650 c.p.. Tali conclusioni sono state parzialmente rettificate dal PG nel corso dell'udienza di discussione; in particolare, pur confermando le conclusioni in ordine al primo motivo, il Procuratore Generale ha ritenuto non manifestamente infondato il ricorso, con conseguente declaratoria di annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza, per essere il reato estinto per prescrizione.
6. Con memoria difensiva depositata il 5 marzo 2022, l'odierno ricorrente ha confutato le argomentazioni poste a fondamento della requisitoria del Procuratore Generale.
Quanto al primo motivo di censura, si rileva la totale inconsistenza delle conclusioni della Procura, come tali inidonee a disattendere l'articolato ragionamento difensivo. In particolare, l'attuale prevenuto ribadisce ulteriormente l'evidente irragionevolezza - a livello sistematico - dell'interpretazione offerta dalla Corte territoriale in merito all'ambito applicativo della fattispecie delittuosa in contestazione. Ebbene, ad avviso della difesa, sarebbe del tutto ingiustificato ritenere che l'illegittimità del provvedimento per "violazione di legge" escluda la punibilità per il reato di cui all'art. 650 c.p., e non anche per il delitto di cui all'art. 349 c.p..
Sulla base di queste premesse, l'attuale ricorrente conclude insistendo, in via subordinata, nella formulazione di una questione di legittimità costituzionale per violazione dei principi sanciti dall'art. 3 Cost., avente ad oggetto l'art. 349 c.p., nella parte in cui non esclude la responsabilità dell'imputato nel caso di ordine dell'Autorità emesso in violazione di legge. Tali conclusioni sono state reiterate all'udienza, in sede di discussione orale.
7. In data 27.01.2022, la difesa del ricorrente ha depositato telematica-mente presso la cancelleria di questa Sezione istanza, accolta, di trattazione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato in relazione al primo ed al terzo motivo, ciò comportando l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essersi il reato estinto per prescrizione.
2. Con il primo motivo di censura, come dianzi illustrato, la difesa eccepisce l'inconfigurabilità della fattispecie in contestazione, attesa l'illegittimità originaria del provvedimento del Questore per contrasto con la normativa comunitaria.
Ai fini di una migliore risoluzione della questione prospettata, giova delineare gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 349 c.p. e, conseguentemente, verificare se tra essi possa annoverarsi anche la legittimità del provvedimento di sequestro o di apposizione dei sigilli.
Ebbene, il delitto di violazione di sigilli, nella sua attuale formulazione, tutela il buon andamento della Pubblica Amministrazione e, in particolare, l'interesse a che sia mantenuto il vincolo giuridico di indisponibilità da quest'ultima apposto sulla res. Mediante l'apposizione di sigilli, infatti, si manifesta la volontà dello Stato, o di altro ente pubblico, di assicurare i beni da ogni atto di disposizione o di manomissione da parte di persone non autorizzate. La funzione tutelata dalla legge, dunque, non è quella di apporre un "vincolo materiale" sulla cosa, bensì quella di manifestare erga omnes la presenza del "vincolo giuridico" di indisponibilità derivante dall'atto amministrativo.
Quanto alla condotta penalmente rilevante, essa si estrinseca generalmente mediante la rimozione, la rottura ovvero la distruzione del mezzo sigillante.
L'illecito, tuttavia, può materialmente realizzarsi - indipendentemente dalla effettiva rimozione dei sigilli - anche mediante qualsiasi atto od attività che valga ad eludere il vincolo cautelare apposto: la forma libera impressa dal legislatore alla condotta del delitto fa sì che siano sussumibili nella fattispecie astratta tutti i comportamenti comunque diretti a frustrare la volontà della p.a. di rendere, attraverso l'apposizione del sigillo, indisponibile ed immodificabile la res (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 13147, 12 aprile 2005).
3. Per quanto rileva in questa sede, occorre precisare come il presupposto della condotta penalmente rilevante sia costituito dalla materiale apposizione dei sigilli, disposta ed attuata per disposizione di legge ovvero per ordine della competente Autorità giudiziaria o amministrativa.
Il controllo in punto di operatività del vincolo cautelare va, tuttavia, limitato alla sola identificazione dell'Autorità ed all'esistenza del relativo potere, in quanto la carenza in astratto ne inficerebbe radicalmente il relativo provvedimento, impedendo l'integrazione del suindicato elemento normativo della fattispecie (Cass. pen., Sez. VI, 26.6.1992, sent. n. 9797).
Per quanto attiene alla competenza dell'organo apponente, è opportuno precisare che gli eventuali vizi di legittimità dell'atto o del procedimento, laddove non comportino l'inesistenza del titolo dispositivo dei sigilli (ad esempio, per incompetenza assoluta), sono stati ritenuti dalla giurisprudenza prevalente irrilevanti per la configurabilità del delitto, con conseguente permanere del vincolo d'intangibilità della cosa. Ed invero, gli eventuali vizi dell'atto o del procedimento generalmente non comportano l'adozione di provvedimenti di revoca in autotutela che si sostanzino anche nella diretta rimozione o in altra forma di alterazione dei sigilli. Di conseguenza, i vizi dell'atto amministrativo di apposizione dei sigilli dovranno essere fatti valere con i normali rimedi e nei modi di legge, diretti all'annullamento ovvero alla revoca del provvedimento, con consequenziale elisione del vincolo cautelare sulla res mediante pubblica rimozione dei sigilli.
4. Pertanto, il reato di violazione dei sigilli risulta impermeabile alle vicende che riguardano il titolo della loro apposizione.
Ed infatti, alla luce dell'orientamento consolidatosi in sede di legittimità, l'inefficacia o l'illegittimità del provvedimento di sequestro o di apposizione di sigilli non esclude il delitto di cui all'art. 349 c.p., atteso che la norma richiede soltanto che l'apposizione dei sigilli derivi da una disposizione di legge o da un ordine dell'autorità, così che, una volta che il vincolo sia stato apposto a tutela della identità e della conservazione della cosa, esso non può essere violato dal privato sino a che non venga formalmente rimosso dall'autorità competente (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 2241 del 18/10/2016, Lucarelli, Rv. 269359; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 47443 del 06/11/2003, Stellitano, Rv. 227068; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 8643 del 02/06/1998, Capolongo, Rv. 211674; Cass. pen., Sez. III, sent. n. 3954 del 19/03/1997, Russo, Rv. 207770).
Tale affermazione, peraltro, appare altresì coerente, avuto riguardo alle finalità perseguite dalla norma in esame, atteso che l'esigenza di assicurare la conservazione e l'identità di una cosa va intesa come tutela della intangibilità del bene da ogni intervento di disposizione o manomissione assicurata dai sigilli per ordine dell'autorità o per disposizione di legge, con conseguente configurabilità del reato anche in caso di inefficacia o illegittimità del provvedimento di sequestro o di apposizione dei sigilli.
5. Sul punto, occorre ribadire come il giudice penale abbia il potere di sindacare la legittimità dell'atto amministrativo che costituisce elemento di una fattispecie soltanto nei casi in cui tale potere trovi fondamento e giustificazione in un'esplicita previsione legislativa ovvero qualora l'interpretazione finalistica della norma penale conduca a ritenere che la legittimità dell'atto amministrativo si presenti essa stessa come elemento essenziale della fattispecie criminosa (Cass. pen., Sez. Un., sent. n. 3 del 31/01/1987, Giordano, Rv. 176304).
Nel caso di specie, entrambe le pronunce dei giudici di merito risultano conformi alle suindicate coordinate ermeneutiche.
In particolare, i giudici di seconde cure hanno opportunamente precisato come la fattispecie delittuosa ascritta all'odierno imputato deve ritenersi integrata anche nel caso in cui i sigilli siano stati apposti, come nel caso in esame, esclusivamente al fine di impedire l'uso illegittimo del bene.
Al riguardo, giova privilegiare un'interpretazione non rigidamente formalistica e letterale della finalità di conservazione della cosa indicata dalla norma incriminatrice, attesa l'idoneità dei sigilli ad impedire anche l'utilizzo delle cose sequestrate (Cass. pen., Sez. Un., 10.02.2010, sent. n. 5385; Cass. pen., 30.08.2012, sent. n. 43884; Cass. pen., 15.01.2015, sent. n. 7407).
La norma incriminatrice, dunque, tutela il vincolo di indisponibilità previsto ex lege al fine di garantire l'immodificabilità della res per finalità pubbliche. Conseguentemente, gli eventuali vizi del provvedimento appositivo dei sigilli idonei ad inficiarne la validità o l'efficacia consentono all'autorità amministrativa di agire in autotutela, ma devono essere fatti valere nei modi di legge e, in ogni caso, non consentono di escludere la configurabilità del delitto di cui all'art. 349 c.p..
6. Con la doglianza difensiva in esame, l'odierno ricorrente ha eccepito altresì l'incostituzionalità della disposizione di cui all'art. 349 c.p., per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui non esclude - a differenza della fattispecie con-travvenzionale prevista dall'art. 650 c.p. - la penale responsabilità dell'imputato laddove i sigilli violati promanino da ordini dell'Autorità emessi in violazione di legge.
Al riguardo, giova precisare come la Corte costituzionale ritenga che i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità, possano dirsi violati solo qualora il legislatore, senza alcuna plausibile e ragionevole giustificazione, tratti in maniera sensibilmente diversa una fattispecie rispetto ad un'altra, la quale, per le sue similitudini ed analogie con la prima, sia idonea a fungere da tertium compa-rationis (Corte Cost. ordinanza n. 240 del 2011).
Nella vicenda in esame, ad essere individuato quale tertium comparationis è il reato di inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità previsto e punito ai sensi dell'art. 650 c.p.. Ebbene, tale fattispecie si configura in caso di inadempimento di uno specifico provvedimento, adottato per contingenti ragioni a tutela di interessi collettivi afferenti a scopi di giustizia, sicurezza, ordine pubblico ed igiene.
In tal caso, al giudice penale è consentito sindacare e rilevare la legittimità dell'atto (Cass. pen., Sez. I, sent. n. 54841 del 17/01/2018, Sciara, Rv. 27455501), atteso che è la stessa norma incriminatrice a richiedere che esso sia conforme a legge, e cioè "legalmente dato".
Sulla base di queste premesse, la questione di legittimità costituzionale, nei termini prospettati, pur risultando rilevante, appare manifestamente infondata. In particolare, essa risulta rilevante in quanto dal suo accoglimento ne deriverebbe l'inapplicabilità dell'ipotesi delittuosa di cui all'art. 349 c.p., al caso oggetto del presente giudizio, atteso che l'ordine dell'Autorità dal quale è scaturita l'apposizione dei sigilli è stato emesso in violazione della normativa comunitaria.
Tuttavia, nei termini in cui è impostata, la questione di costituzionalità è manifestamente infondata. Ed invero, essa si incentra sull'ambito applicativo del reato oggetto di contestazione, laddove l'elaborazione della fattispecie astratta risulta affidata alla discrezionalità del legislatore in quanto involge valutazioni ed aspetti tipicamente politici, con il limite che l'anzidetta discrezionalità non si traduca in arbitrio.
Le scelte assunte nell'individuazione delle condotte penalmente rilevanti sono, infatti, censurabili esclusivamente nei casi in cui trasmodino nella manifesta irragionevolezza. E' quanto si verifica, ad esempio, al cospetto di sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee, non sorrette da una giustificazione razionale (Corte Cost., sent. 161 del 2009; Corte Cost., sent. n. 324 del 2008; Corte Cost., sent. n. 22 del 2007; Corte Cost., sent. n. 394 del 2006).
Ebbene, il richiamo all'art. 650 c.p., come tertium comparationis non assume valore dirimente, non palesandosi, dal confronto tra norme, la determinazione di un trattamento sanzionatorio sperequato e definito irrazionalmente tra fattispecie tendenzialmente omogenee. Alla luce del raffronto strutturale tra le due fattispecie, non appare dunque irragionevole la scelta legislativa di differenziare il rispettivo ambito applicativo delle suddette norme incriminatrici in considerazione della diversità delle condotte tipiche dalle stesse sanzionate.
7. Deve essere esaminato, invertendo l'ordine sistematico dei motivi come proposti dal ricorrente, il terzo motivo, relativo all'erronea esclusione della particolare tenuità del fatto sulla base di mere condotte post delictum del reo, in relazione al quale si impone una breve premessa.
Ai sensi dell'art. 131-bis c.p., comma 1, la particolare tenuità dell'offesa deve essere desunta sulla base dei due requisiti consistenti nella modalità della condotta e nell'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi alla luce dei parametri indicati nell'art. 133 c.p., comma 1. La disposizione appena invocata, a sua volta, fa riferimento: alla natura, alla specie, ai mezzi, all'oggetto, al tempo, al luogo e ad ogni altra modalità dell'azione, alla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato e, infine, all'intensità del dolo o al grado della colpa.
Conseguentemente, tenuto conto dell'eccezione difensiva, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità ivi invocata, occorre verificare la rilevanza della mera condotta "post delictum".
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato non integra di per sé una lieve entità dell'offesa, atteso che l'esiguità del disvalore deriva da una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno ed alla colpevolezza (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 893 del 12/01/2018, Rv. 272249). In altri termini, ai fini dell'apprezzamento della condizione di non abitualità della condotta non assumono rilievo i comportamenti del reo successivi alla commissione del reato (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 2216 del 22/11/2019 - dep. 2020, Anzaldi, Riv. 278391-01; Cass. pen., Sez. V, sent. n. 660 del 02/12/2019 - dep. 10/01/2020, Rv. 278555-01).
Tale criterio ermeneutico risulta coerente con lo stesso tenore testuale dell'art. 131-bis c.p., ai sensi del quale, per vagliare la sussistenza della particolare tenuità del fatto, occorre avere riguardo esclusivamente ai parametri indicati nell'art. 133 c.p., comma 1, e non anche agli elementi delineati nel secondo capoverso della medesima disposizione che, come è noto, fa riferimento alla condotta susseguente al reato (art. 133c.p., comma 2 n. 3).
Sul punto, giova rievocare quanto affermato dalle Sezioni Unite Tushaj, le quali hanno chiarito come il fatto particolarmente tenue va così qualificato alla stregua di caratteri riconducibili a tre indici: le modalità della condotta, l'esiguità del danno o del pericolo ed il grado della colpevolezza.
Quanto al primo aspetto, si richiede una valutazione complessa alla luce di un'equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, e non solo di quelle che attengono all'entità dell'aggressione del bene giuridico protetto.
Nel pervenire a tale conclusione, le Sezioni Unite hanno ritenuto decisivo il riferimento testuale, contenuto nell'art. 131-bis c.p., alle modalità della condotta, segno che la nuova normativa non si interessa tanto della condotta tipica, bensì ha riguardo piuttosto alle modalità del comportamento, anche in considerazione delle sue componenti soggettive, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l'entità del contrasto rispetto alla legge e la conseguente necessità dell'ordinamento di reagire mediante l'irrogazione di una pena.
In altri termini, ai fini dell'applicazione della causa di non punibilità, occorre avere riguardo al fatto storico, alla situazione reale ed irripetibile costituita da tutti gli elementi di fatto concretamente realizzati dall'agente, in quanto ad essere in dubbio non è la conformità del fatto concreto alla fattispecie astratta, bensì l'entità del suo complessivo disvalore.
Pertanto, il giudice di merito dovrà condurre un apprezzamento di tutte le rilevanti contingenze che caratterizzano ciascuna vicenda concreta, con conseguente possibilità della presenza di una pluralità di elementi di giudizio di segno opposto da soppesare e bilanciare prudentemente.
8. E' tuttavia altrettanto indubbio che, se da un lato, per la maggioritaria giurisprudenza di questa Corte, la condotta susseguente al reato ex se non rileva agli effetti dell'art. 131-bis c.p., tuttavia, dall'altro, in alcuni casi, secondo un minoritario orientamento, la condotta del reo potrebbe assumere un significato oggetto di ridimensionamento della gravità dell'offesa. Questa stessa Sezione ha affermato, ad esempio, che ai fini dell'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., ai fini dell'apprezzamento della condizione della non abitualità della condotta, assumono rilievo anche i comportamenti successivi alla commissione del reato (Fattispecie in tema di reati edilizi in cui la S.C. ha ritenuto immune da vizi la decisione del giudice di merito che ha desunto la non abitualità del comportamento dell'imputato dalla successiva attività di demolizione, rimozione e sanatoria delle opere realizzate: Sez. 3, n. 4123 del 11/07/2017 - dep. 29/01/2018, Rv. 272039 - 01).
In ogni caso, tenuto conto della particolarità del caso in esame, se va escluso che l'illegittimità del provvedimento del Questore, acclarata nella sentenza che ha assolto l'imputato dal reato di cui alla L. n. 401 del 1989, possa riverberare i suoi effetti sulla configurabilità del delitto di violazione dei sigilli per le ragioni dianzi evidenziate, è tuttavia indubbio che l'accertata, successiva, illegittimità del provvedimento questorile riverbera indubbiamente i suoi effetti sulla complessiva offensività del fatto per cui si procede. Ne discende, pertanto, che la motivazione della sentenza impugnata, laddove definisce come di non trascurabile gravità la condotta, senza tener conto dei riflessi della successiva illegittimità del provvedimento del Questore sul fatto oggetto di esame, avrebbe meritato sul punto una rivisitazione da parte del collegio di merito, essendo indubbio che l'acclarata illegittimità del provvedimento attenua la gravità oggettiva della violazione di sigilli commessa.
9. Tanto premesso, giova però rilevare come nel caso in esame l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione, pur a fronte della non manifesta infondatezza del terzo motivo, non determina alcuna conseguenza nel presente giudizio, non essendo più ravvisabile alcun interesse del ricorrente al suo accoglimento, attesa l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione, come si dirà meglio nel paragrafo che segue.
Ed invero, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sulla causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p., in quanto essa, estinguendo il reato, rappresenta un esito più favorevole per l'imputato, mentre la seconda lascia inalterato l'illecito penale nella sua materialità storica e giuridica (Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 11040 del 27/01/2016, Calabrese, Rv. 266505).
In particolare, la sentenza dichiarativa della causa di non punibilità presuppone un accertamento cui l'art. 651-bis c.p.p., ricollega efficacia di giudicato in ordine all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni o per il risarcimento del danno (Cass. pen., Sez. V, sent. n. 44118 del 10/10/2019 Rv. 277847 - 01) ed a cui consegue l'annotazione della decisione nel casellario giudiziario (Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 44627 del 03/10/2019 Rv. 277215 - 01).
10. Quanto, infine, alla seconda doglianza difensiva, con cui il ricorrente eccepisce l'intervenuta prescrizione del reato oggetto di contestazione, la stessa può essere accolta, per la infondatezza del primo e la non manifesta infondatezza del terzo motivo.
Ed invero, il delitto di cui all'art. 349 c.p., costituisce un reato istantaneo di lesione, che si consuma nel momento in cui si verifica la materiale manomissione, rimozione o distruzione dei sigilli ovvero una qualsiasi altra condotta diretta a violare il vincolo di intangibilità sotteso alla loro apposizione.
E' irrilevante, affinché il reato si perfezioni, ogni evento ulteriore, ad esempio che la cosa sia stata effettivamente manomessa ovvero che si sia prodotto un danno materiale agli stessi sigilli. Nell'ipotesi in cui l'evento ulteriore sia costituito da una nuova infrazione dei divieti imposti dai sigilli, tale successiva condotta integra un autonomo reato eventualmente unificabile con le violazioni precedenti mediante il vincolo della continuazione di cui all'art. 81 cpv. c.p., (Cass. pen., Sez. III, 31.5.2002, sent. n. 21405). Pertanto, il momento consumativo del reato di violazione di sigilli può ritenersi coincidente con quello dell'accertamento - sulla base di elementi indiziari, di considerazioni logiche ovvero di fatti notori e massime di esperienza - salvo che venga rigorosamente provata l'esistenza di situazioni particolari o anomale, idonee a confutare la valutazione presuntiva ed a rendere almeno dubbia l'epoca di commissione del fatto.
11. Tanto premesso, nel caso di specie, il termine prescrizionale deve ritenersi decorrente quantomeno a far data dall'accertamento svolto dalla Polizia Locale di (OMISSIS) il 4 gennaio 2014 (così come testualmente riportato nel capo di imputazione), con la conseguenza che, ad oggi, il suddetto termine risulta interamente spirato, in quanto maturato il 4.07.2021, in assenza di sospensioni valutabili.
Escluso che l'estinzione del reato per prescrizione potesse essere dichiarata nell'ambito del giudizio di merito (la sentenza di appello è intervenuta in data 8.04.2021), la possibilità di rilevarla in sede di legittimità deve ritenersi preclusa esclusivamente in caso di inammissibilità del ricorso.
Ed invero, alla luce del consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, solo l'inammissibilità del ricorso per Cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità ai sensi dell'art. 129 del codice di rito (Cass. pen., Sez. Un., sent. n. 32 del 22 novembre 2000, De Luca: nella specie, l'inammissibilità del ricorso era dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, e la prescrizione del reato era maturata successivamente alla data della sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Cass. pen., Sez. Un., sent. n. 33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531; Cass. pen., Sez. Un., sent. n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; Cass. pen., Sez. Un., sent. n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239400).
Tuttavia, nell'ambito del presente giudizio, ricorrono le condizioni per dichiarare l'intervenuta causa estintiva del reato per cui si procede, essendo spirato il relativo termine massimo di prescrizione e non presentando l'impugnazione profili d'inammissibilità suscettibili d'incidere sulla valida instaurazione del rapporto di impugnazione, anzi dovendosi ravvisare la fondatezza del terzo motivo.
Al riguardo, occorre precisare come, qualora già risulti una causa di estinzione del reato, non rilevi la sussistenza di eventuali nullità, anche di ordine generale, in quanto l'inevitabile rinvio al giudice di merito risulta incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva (Cass. pen., Sez. Un., sent. n. 1021 del 28 novembre 2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220511).
Infine, giova ulteriormente considerare come non sussistano le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito ai sensi dell'art. 129 comma 2 c.p.p., non potendosi constatare, all'evidenza, l'insussistenza del fatto di reato e la estraneità ad esso dell'odierno imputato (Cass. pen., Sez. Un., sent. n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275 - 01).
12. Conclusivamente, non presentando il ricorso profili di inammissibilità, sussistono i presupposti - discendenti dall'intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione - per rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. maturate successivamente alla sentenza impugnata, non ricorrendo, come anticipato, le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ai sensi dell'art. 129, comma 2, del codice di rito, non potendosi rilevare con evidenza dagli atti di causa l'insussistenza del fatto accertato da entrambi i giudici di merito.
Il limite all'applicazione della disposizione appena invocata, infatti, è strettamente correlato alla natura del giudizio di legittimità, per cui risulta possibile adottare la decisione più favorevole solo nel caso in cui il mero controllo sulla motivazione del provvedimento impugnato determini la presa d'atto della totale carenza di elementi a carico dell'imputato (Cass. pen., Sez. I, sent. n. 35627 del 18/4/2012, Amurri, Rv. 253458), circostanza non sussistente nel caso di specie.
13. L'impugnata sentenza dev'essere, pertanto, annullata senza rinvio, pei-essere il reato estinto per prescrizione, maturata in data successiva alla decisione della sentenza impugnata (8.04.2021), ma in data antecedente alla ricezione dell'atto di impugnazione da parte della cancelleria di questa Corte (14.09.2021).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 29 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2022