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Violazione degli obblighi familiari: la decadenza dalla responsabilità genitoriale non estingue l’obbligo di mantenimento

Violazione obblighi assistenza familiare

Cassazione penale sez. VI, 28/09/2023, n.43311

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la dichiarazione giudiziale di decadenza dalla responsabilità genitoriale non elide l'obbligo del genitore di provvedere al mantenimento della prole, il quale è collegato esclusivamente al perdurare dello "status" di figlio, sicché il reato per l'omissione delle dovute prestazioni patrimoniali si consuma nel momento in cui cessa l'inadempimento, dal quale ha inizio il decorso del termine di prescrizione.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Imputata del delitto "p. e p. dall'art. 570 c.p., per avere serbato una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, sottraendosi agli obblighi di assistenza inerenti la potestà di genitore ed alla qualità di coniuge; allontanandosi dai tre figli minori, senza aver accertato le loro condizioni morali e materiali", D.G. è stata dichiarata colpevole dal Tribunale di Palermo: il quale ha osservato che ella "si è resa responsabile di quanto contestato, non adempiendo l'obbligo di assicurare il sostentamento ai propri figli minori, avendo pertanto fatto mancare i mezzi di sussistenza, ossia tutto ciò che è indispensabile a soddisfare fondamentali esigenze di vita e disinteressandosi completamente della loro crescita, addirittura allontanandosi coscientemente da loro". La Corte d'appello di Palermo, con la sentenza impugnata, ha confermato la condanna, tuttavia riqualificando il fatto come violazione degli obblighi di assistenza familiare a norma dell'art. 570-bis c.p., e conseguentemente rideterminando la pena. 2. Impugna tale decisione l'imputata, con atto del proprio difensore, rassegnando quattro doglianze. 2.1. La prima riguarda la violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., per difetto di correlazione tra imputazione e fatto oggetto di condanna. Con l'atto d'appello, era stato dedotto che, a fronte di un addebito di abbandono dei figli minori e di inadempimento dei doveri di assistenza morale nei loro confronti, riconducibile alla fattispecie incriminatrice di cui al citato art. 570 c.p., comma 1, l'imputata era stata condannata per un fatto - l'inosservanza, cioè, degli obblighi patrimoniali e la conseguente privazione dei mezzi di sussistenza - invece sussumibile nella distinta fattispecie di cui al comma 2 della stessa norma. Investita della questione, la Corte d'appello l'ha disattesa, rilevando che la riqualificazione del fatto, tenuto conto dello sviluppo dell'attività istruttoria, fosse prevedibile per l'imputata, sì che non si sarebbe verificato alcun pregiudizio per il suo diritto di difesa. Obietta il ricorso che tale risposta non sia conferente, non discutendosi nello specifico della riqualificazione giuridica di un fatto rimasto identico nei suoi aspetti materiali, bensì della trasformazione radicale di questi ultimi. Osserva, inoltre, che gli obblighi di assistenza inerenti alle potestà genitoriali, cui fa riferimento il citato art. 570 c.p., comma 1, non comprendono anche quelli di natura patrimoniale, risultando altrimenti superflua la disposizione di cui al comma successivo; ed aggiunge che tutta l'attività probatoria difensiva è stata diretta a contestare l'ipotizzato allontanamento dai figli, non anche l'inadempimento degli obblighi patrimoniali verso costoro, essendo perciò rimasto inesplorato il tema della relativa capacità di costei di farvi fronte. In conclusione, lamenta dunque che la riqualificazione operata dai giudici d'appello ha avuto ad oggetto non il fatto contestato ma una diversa condotta, in ipotesi emersa in istruttoria, con l'effetto di allontanarsi ulteriormente dall'addebito originario. 2.2. Il secondo motivo denuncia l'omessa motivazione sulle censure sollevate con l'atto d'appello in ordine alla sussistenza del fatto sì come contestato. Ritenendo sufficiente per la sussistenza del reato l'inadempimento degli obblighi patrimoniali, la Corte d'appello ha completamente omesso di esaminare le argomentazioni difensive tese, invece, a dimostrare l'insussistenza dell'ipotizzato abbandono dei figli: il quale, in realtà, non si sarebbe mai verificato, in quanto - come risulterebbe dalle dichiarazioni di tutti gli interessati, riportate per stralcio in ricorso - l'allontanamento dell'imputata da costoro sarebbe stato il prodotto esclusivo della ferma volontà degli stessi di non incontrarla, nonostante i suoi ripetuti tentativi in tal senso. 2.3. Il terzo motivo di ricorso consiste nell'illogicità della motivazione con la quale è stata esclusa l'intervenuta prescrizione del reato, dovendo calcolarsi il decorso del relativo termine dalla data - 21 ottobre 2014 - in cui il Tribunale civile ha dichiarato la decadenza dell'imputata dalla potestà genitoriale, inibendole ogni contatto con i figli. La risposta negativa dei giudici d'appello è viziata, anche in questo caso, dalla trasformazione dell'addebito, avendo essi tenuto conto dell'inadempimento degli obblighi patrimoniali e non, invece, dell'ipotetico abbandono. 2.4. L'ultima censura attiene all'illogicità della motivazione in punto di diniego della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. La sentenza impugnata l'avrebbe esclusa soltanto in ragione della natura permanente del delitto contestato, in tal modo, però, implicitamente affermando un'inesistente incompatibilità di principio tra tale beneficio ed i reati permanenti. 3. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l'inammissibilità del ricorso. 4. Ha depositato conclusioni scritte la difesa dell'imputata, ribadendo i motivi di ricorso ed insistendo per l'accoglimento dello stesso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso. 2. Il primo è manifestamente infondato. Già che si consideri il dato testuale, la contestazione mossa all'imputata non può intendersi limitata all'abbandono del domicilio domestico, contenendo un generale riferimento espresso anche ad una sua condotta di sottrazione agli obblighi assistenziali verso la prole. In ogni caso, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. L'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto, pertanto, non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza, perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619). Nello specifico, allora, è sufficiente osservare che la questione dell'inadempimento da parte dell'imputata - anche - degli obblighi patrimoniali verso i figli è emersa in istruttoria ed è stata esaminata: tanto, infatti, si legge in sentenza e la relativa affermazione non è smentita dal ricorso. Corretta, inoltre, è la qualificazione giuridica dei fatti operata dai giudici del gravame. In generale, la violazione dei doveri di assistenza materiale di genitore previsti dalle norme del codice civile integra, ricorrendo tutti gli altri elementi costitutivi della fattispecie, il reato previsto e punito dall'art. 570 c.p., comma 1, (Sez. U, n. 23866 del 31/01/2013, S., Rv. 255271). Più specificamente, poi, allorché la violazione consista nella mancata corresponsione delle somme stabilite dal giudice civile per il mantenimento dei figli economicamente non autosufficienti, ricorre il reato di cui all'art. 570-bis c.p., per la cui sussistenza è dunque sufficiente tale inadempimento, purché - come nel caso specifico è indiscusso esso si presenti serio e sufficientemente protratto, o destinato a protrarsi, per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla entità dei mezzi economici che il soggetto obbligato deve fornire (Sez. 6, n. 47158 del 20/10/2022, M., Rv. 284023); con la conseguenza che, in presenza di tali presupposti, non è necessario verificare altresì se, per tal via, si sia prodotta o meno la mancanza di mezzi di sussistenza (Sez. 6, n. 4677 del 19/01/2021, M. Rv. 280396). 3. Non sussistendo il denunciato difetto di correlazione tra accusa e decisione ed essendo corretta la qualificazione giuridica dei fatti, il secondo motivo di ricorso, con il quale si lamenta il difetto di motivazione sulla specifica condotta di abbandono del domicilio e sulle ragioni della stessa, deve intendersi superato ed assorbito, poiché attinente ad un aspetto non decisivo ai fini del giudizio, essendo il reato integrato a prescindere da tale condotta. 4. E' manifestamente infondato anche il terzo motivo, in tema di prescrizione. Considerando che, come correttamente osservato dai giudici d'appello, in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la responsabilità per l'omissione delle dovute prestazioni patrimoniali in favore dei figli non è esclusa dall'intervenuta decadenza dalla responsabilità genitoriale, poiché l'obbligo del genitore di provvedere al mantenimento della prole è collegato esclusivamente al perdurare dello status di figlio (vds. Sez. 1 civ., ord. n. 17578 del 20/06/2023, Rv. 668297), ne deriva che il reato non può intendersi consumato finché tale inadempimento permanga. Situazione, questa, che, nel caso di specie, risultava ancora in atto durante la pendenza del giudizio di merito e che, comunque, si è protratta anche in epoca successiva al provvedimento di decadenza dell'imputata dalla potestà genitoriale. 5. Manifestamente infondato, infine, è pure il quarto motivo, relativo al diniego, da parte della sentenza impugnata, della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, a norma dell'art. 175 c.p.. A differenza di quanto dedotto dalla ricorrente, tale beneficio non le è stato negato in ragione della natura permanente del reato, ma piuttosto per la protrazione dell'inadempimento nel tempo: la quale non è necessaria ai fini della sussistenza del reato, potendo quest'ultimo configurarsi anche in presenza di una sola condotta inosservante degli obblighi e non essendo, perciò, un reato necessariamente permanente, ma semmai "a consumazione eventualmente prolungata" (sul punto, Sez. 6, n. 11780 del 21/01/2020, P., Rv. 278722). Ne deriva che risulta congruamente e logicamente motivata, perciò sottraendosi a censura in questa sede, la valutazione compiuta dalla Corte distrettuale, che da tale perdurare della condotta per un lungo tempo ha dedotto una particolare intensità del dolo dell'imputata e la conseguente necessità della pubblicità della sentenza quale strumento perché ella possa prendere atto della gravità del suo contegno. 6. L'inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente - ai sensi dell'art. 616 c.p.p. - la condanna della proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d'inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Si dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza. Così deciso in Roma, il 28 settembre 2023. Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2023
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