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Violazione degli obblighi familiari: stato detentivo non esclude il dolo se l’inadempimento è colposo

Violazione obblighi assistenza familiare

Cassazione penale sez. VI, 01/03/2022, n.13144

In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, lo stato di detenzione dell'obbligato non può considerarsi causa di forza maggiore giustificativa dell'inadempimento, in quanto la responsabilità per l'omessa prestazione non è esclusa dall'indisponibilità dei mezzi necessari, quando questa sia dovuta, anche parzialmente, a colpa dell'obbligato, ma può rilevare ai fini della verifica della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente il dolo, non avendo l'imputato dato prova di aver fatto quanto possibile per fruire, in regime detentivo, di fonti di reddito lavorativo, presentando domanda di lavoro, ed avendo lo stesso la disponibilità di un cespite immobiliare, pur formalmente intestato ad una società estera, di cui non era stata neppure tentata la vendita).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 12/3/2021 la Corte di appello di Torino ha confermato quella del Tribunale di Asti in data 27/11/2018, con cui è stata riconosciuta la penale responsabilità di R.F.M. in ordine al delitto di cui all'art. 570 c.p., comma 2, n. 2 in danno dei figli minori, e ha nel contempo respinto l'appello della parte civile, G.M., esercente la potestà sui minori, volta alla riforma della liquidazione in suo favore delle spese processuali, operata dal primo giudice. 2. Ha presentato ricorso R. tramite il suo difensore. Con due motivi deduce violazione degli artt. 45 e 43, nonché dell'art. 570 c.p., e vizio di motivazione. Sulla base di una valutazione puramente astratta la Corte aveva ritenuto insussistente la forza maggiore addotta dal ricorrente, ristretto in carcere, a fronte della disponibilità di un immobile di valore, intestato ad una società svizzera ma a lui riconducibile. In realtà erano state prospettate ragioni tali da far comprendere l'impossibilità di procedere alla vendita dell'immobile, ragioni che tuttavia non erano state considerate, sebbene menzionate anche dalla parte civile che risultava beneficiaria di una procura a vendere. Alla condizione di impossibilità si correlava anche la mancanza del dolo, non essendo stato chiarito come le difficoltà prospettate fossero compatibili con la configurabilità dell'elemento psicologico del reato in capo a soggetto detenuto che aveva peraltro rilasciato procura al coniuge. 3. Il nuovo difensore del ricorrente ha depositato un motivo nuovo, chiedendo che possa essere acquisita la testimonianza della persona offesa, resa in diverso procedimento, dalla quale si evince che originariamente la separazione era stata prospettata come fittizia e che altrettanto avrebbe dovuto dirsi per le condizioni relative all'affidamento e al mantenimento dei figli, fermo restando l'accordo per utilizzare altri mezzi rispetto al contributo in denaro. 4. Ha proposto ricorso la parte civile G.M. tramite il suo difensore. Deduce violazione di legge e vizio di motivazione. La Corte aveva reputato inammissibile l'appello con riguardo alla liquidazione delle spese, facendo riferimento alla disciplina prevista in materia di gratuito patrocinio, in realtà non applicabile in quanto la parte civile non era ammessa al beneficio. Di qui la necessità di una valutazione delle deduzioni difensive sul punto, che erano state pretermesse dalla Corte. 5. Il Procuratore generale ha inviato requisitoria scritta, concludendo per l'inammissibilità del ricorso di R. e per l'annullamento con rinvio in accoglimento del ricorso della parte civile. 6. Il difensore della parte civile ha inviato memoria di conclusioni e nota spese. 7. Il ricorso è stato trattato senza l'intervento delle parti, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, commi 8 e 9, la cui operatività è stata successivamente prorogata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso presentato nell'interesse di R.F.M. è inammissibile. 2. Deve in primo luogo segnalarsi l'irritualità della richiesta, formulata nel motivo aggiunto, di produzione e valutazione di dichiarazioni rese dalla persona offesa in separato procedimento, che postulano un giudizio di merito in ordine alla loro concludenza e pertinenza, non consentito in questa sede. 3. Per il resto deve rimarcarsi come il delitto di mancata prestazione di mezzi di sussistenza in favore dei figli minori prescinda dalla circostanza che vi provveda altro soggetto obbligato o coobbligato (Sez. 6, n. 17766 del 27/2/2019, V., Rv. 275726) e come il mancato adempimento sia penalmente rilevante, ove non dipenda da uno stato di impossibilità economica persistente, assoluta ed incolpevole (Sez. 6, n. 49979 del 9/19/2019, G., Rv. 277626). Nel caso di specie, è stato difensivamente prospettato che il ricorrente versava in una condizione di impossibilità per forza maggiore connessa al suo stato detentivo o comunque che egli non era assistito dal dolo. E' stato peraltro, al riguardo, osservato che lo stato detentivo prolungato non costituisce causa giustificativa dell'inadempimento, che, come detto, deve essere incolpevole, ma può tuttavia rilevare nella verifica della sussistenza del coefficiente psicologico (Sez. 6, n. 4960 del 21/10/2014, dep. 2015, S., Rv. 262157). E' stato, inoltre, rilevato che il detenuto deve comunque dimostrare di aver fatto quanto possibile per disporre in carcere, nei limiti del consentito, di fonti di reddito lavorativo, presentando domanda di lavoro interno o esterno (Sez. 6, n. 2381 del 15/12/2017, L., Rv. 272024), fermo restando che è comunque possibile fornire prova contraria in ordine all'effettiva indisponibilità di introiti. In tale quadro si rileva che la deduzione difensiva, oltre che risultare silente in ordine alla possibilità di fruire di fonti di reddito all'interno del carcere, è stata comunque validamente contrastata dal dato certo della riconducibilità al ricorrente di un cospicuo cespite immobiliare, pur intestato a società svizzera, di cui non è stata neppure tentata la vendita. E' stato prospettato che la persona offesa disponeva di procura e che comunque la vendita era resa difficoltosa dalla natura del bene e dalle pretese che avrebbe potuto avanzare il fisco in relazione alle vicende che avevano riguardato il ricorrente: ma con riguardo al primo profilo i Giudici di merito hanno sottolineato come la persona offesa non avesse originariamente contezza della procura, peraltro non menzionata in sede di separazione, dovendosi inoltre rilevare come non risulti in concreto esperito alcun tentativo di vendita o comunque dimostrata l'effettiva impossibilità di addivenire ad una liquidazione, essendo stato, peraltro, sottolineato come, pur in stato restrittivo, il ricorrente potesse comunque dare le opportune disposizioni. Alla resa dei conti il duplice motivo di ricorso si risolve nella prospettazione di elementi volti a sollecitare una diversa lettura del quadro probatorio, non consentita in questa sede, a fronte di quanto rilevato dai Giudici di merito in ordine all'insussistenza di una condizione di impossibilità assoluta e incolpevole e in ordine alla volontà di non dar corso alla vendita, espressiva della coscienza e volontà di omettere conseguentemente il versamento delle somme dovute nell'interesse del figlio minore. 4. In conclusione il ricorso di R. deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla causa dell'inammissibilità, a quello della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. 5. E' per contro fondato il ricorso della parte civile. La Corte territoriale ha erroneamente omesso di valutare il motivo di appello proposto in ordine alla quantificazione delle spese liquidabili in favore della parte civile, rilevando che era applicabile la procedura speciale prevista in materia di gratuito patrocinio, e ha dunque dichiarato inammissibile quell'appello e compensato le spese tra le parti. Alla resa dei conti la quantificazione delle spese avrebbe dovuto essere globalmente riformulata all'esito del giudizio di appello alla luce del principio della soccombenza, valutando anche le specifiche deduzioni esposte nel motivo di appello della parte civile, ciò che non è avvenuto in ragione dell'erroneo giudizio di inammissibilità delle doglianze. Si impone dunque l'annullamento della sentenza impugnata in ordine alla mancata liquidazione in favore della parte civile delle spese del giudizio di appello, tale da assorbire anche quelle del giudizio di primo grado, dovendosi sul punto rinviare le parti al giudice civile competente per valore in grado di appello, che provvederà altresì alla liquidazione delle spese relative al presente grado di giudizio. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso di R.F.M. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla mancata liquidazione delle spese del giudizio di appello in favore della parte civile G.M. e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello anche al fine della liquidazione delle spese del presente grado di giudizio. Così deciso in Roma, il 1 marzo 2022. Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2022
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