RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Trento, sez. dist. di Bolzano confermava la sentenza del Tribunale di Bolzano del 17 febbraio 2021 con la quale era stato dichiarato l'imputato C.W. responsabile del reato di cui agli artt. 81 c.p., L. n. 54 del 2006, art.3, in relazione alla L. n. 898 del 1970, artt. 12-sexies e 570 c.p., (per aver omesso di versare, dal 1 gennaio 2016 sino al 17 gennaio 2018, l'assegno per il mantenimento dei due figli minori, stabilito con la sentenza di separazione coniugale), condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.
2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Violazione di legge in relazione all'art. 43 c.p..
I giudici di merito hanno erroneamente ritenuto non provata la impossibilità del ricorrente di adempiere agli obblighi di mantenimento: risultava invece documentato in primo luogo che egli era stato ristretto in carcere fino al luglio 2016 e inoltre che egli era afflitto da gravi problemi di salute derivanti da dipendenza da alcool risalenti al 2009 (era pertanto disoccupato e non era in grado nemmeno di provvedere a sé stesso, tanto da dover ricorrere più volte all'aiuto dei servizi sociali).
2.2. Violazione di legge in relazione all'art. 133 c.p..
La Corte di appello e il Tribunale non hanno tenuto conto dei parametri previsti dalla suddetta norma per determinare la pena, ovvero il pericolo cagionato alla persona offesa (nella specie pressoché nullo, avendo la ex moglie ricevuto l'anticipazione del mantenimento da parte dell'ente pubblico), l'intensità del dolo (visto lo stato in cui si era trovato l'imputato descritto al paragrafo che precede, che aveva giustificato tra l'altro l'applicazione in una precedente vicenda analoga della sola pena pecuniaria).
3. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi del D.L. n. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, conv. dalla L. 18 dicembre 2020, e succ. modd., in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale e la difesa hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.
2. Quanto al primo motivo, il ricorrente ripropone la questione già sottoposta con l'appello e ampiamente affrontata dai giudici di merito sin dal primo grado, non correlandosi alla motivazione offerta dalla Corte di appello che ha evidenziato, ai fini del dolo, come l'imputato si fosse sottratto totalmente all'obbligo del mantenimento dei figli sin dalla separazione coniugale, avvenuta nel 2011, e come l'imputato non si fosse mai seriamente impegnato per risolvere i suoi problemi di dipendenza da alcol (non risultando documentate problematiche di natura mentale) e per cercare un'attività lavorativa.
A tal riguardo, la Corte di appello ha richiamato la esperienza lavorativa offertagli dal Dipartimento per Dipendenze nel 2016, conclusasi soltanto di lì a breve.
Quanto al periodo trascorso in carcere, con deduzione "in fatto" il ricorrente chiede alla Corte di cassazione di accertare la effettiva durata del periodo di detenzione dall'esame del certificato penale. Ebbene la questione, in quanto non sottoposta alla Corte di appello con il gravame (nel quale si ribadiva soltanto il dato emergente dalla sentenza di primo grado dell'ingresso in carcere nel 2015 quindi prima del periodo in contestazione - e del successivo collocamento in una struttura per seguire un programma socioriabilitativo), non è deducibile in questa sede.
In ogni caso, questa Corte ha già affermato che, per rilevare lo stato detentivo per la verifica del coefficiente psicologico dell'inadempimento, deve essere, oltre che prolungato in relazione al periodo in contestazione, accompagnato dall'impossibilità di disporre di fonti di reddito lavorativo all'interno o all'esterno del carcere (Sez. 6, n. 2381 del 15/12/2017, dep. 2018, Rv. 272024).
In definitiva, il ragionamento giustificativo della sentenza impugnata ha correttamente ritenuto non provata la impossibilità incolpevole del ricorrente di dar seguito agli obblighi di mantenimento impostigli dal tribunale.
3. Quanto alla pena, è sufficiente osservare che Corte di appello ha rilevato come il relativo motivo di appello fosse sguarnito di elementi a sostegno.
Infatti, il motivo di appello era generico in quanto limitato alla sola richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche, dell'attenuante di cui all'art. 62, n. 6 c.p. e della riduzione della pena.
Pertanto, non è consentito evidenziare in questa sede elementi a sostegno del gravame per sanarne la genericità.
4. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende della somma a titolo di sanzione pecuniaria, che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2023