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Condanna per tentata rapina aggravata: uso del coltello e intervento di terzi a interrompere l’azione criminosa (Collegio - Di Petti presidente)

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Tribunale Nola, 14/01/2022, (ud. 02/12/2021, dep. 14/01/2022), n.2346

Integra il reato di tentata rapina aggravata l’azione di chi, armato di coltello, minaccia una persona con l’intenzione di ottenere una somma di denaro, anche se l’evento non si consuma per l’intervento di terzi. Il dolo generico richiesto dalla fattispecie è compatibile con la concessione di attenuanti generiche qualora il comportamento successivo dell’imputato dimostri elementi valutabili positivamente.

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La distinzione tra il reato di furto con strappo e quello di rapina risiede nella direzione della violenza esercitata

La sentenza integrale

Dott.ssa Giovanna Rosa Immacolata Di Petti Presidente
Dott.ssa Giusi Piscitelli Giudice est.
Dott. Francesco Saverio Martucci di Scarfizzi Giudice

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto che dispone il giudizio dell'11.11.2020, il GUP del Tribunale di Nola, AM. Vi. era chiamato a rispondere del reato a lui ascritto in rubrica.

All'udienza 4.2.2021, dichiarata l'assenza dell'imputato era disposta la rinotifica nei confronti della p.o.. Alla successiva udienza del 15.4.2021, in assenza di questioni preliminari, veniva dichiarato aperto il dibattimento ed, ammesse le prove, si procedeva all'esame dei testi PI. Em., in servizio presso la Stazione dei CC. di (omissis), e CE. Ch., persona offesa.

In data 27.5.2021, erano escussi i testi Mar. PE. Gi., in servizio presso i CC. di (omissis) e CI. Fr..

All'udienza del 14.10.2021 si procedeva all'escussione del teste VI. Gi. ed era altresì acquisito il verbale di individuazione fotografica; su richiesta del difensore l'esame dell'imputato era rinviato al 2.12.2021.

In tale data, l'imputato si sottoponeva ad esame ed, essendo così terminata l'istruttoria dibattimentale, veniva dichiarato chiuso il dibattimento, le parti rassegnavano le proprie conclusioni ed il Tribunale, ritiratosi in camera di consiglio, decideva di seguito come da dispositivo letto e pubblicato in udienza.

***

Ritiene il Tribunale che l'esame degli atti utilizzabili ai fini della decisione confermi l'assunto accusatorio e conduca alla pronuncia di sentenza di condanna nei confronti dell'imputato per il reato a lui ascritto. All'AM. è contestata un tentata rapina ai danni di CE. Ch., in (omissis) in data 30.4.2015, commessa mentre la p.o. rientrava all'interno del pub "Fo. Fr.", non consumata grazie all'intervento di VI. Gi. e CI. Fr., ivi presenti, che mettevano in fuga l'imputato.

Dalla deposizione resa dalla persona offesa, CE. Ch., è emerso che, in data 30.4.2015 ella si trovava nel pub "Fo. Fr.", sito in (omissis), ove si era recata dopo mezzanotte per trascorrere del tempo con il suo amico CI. Fr., proprietario del locale, ed ivi si era trattenuta fino all'orario di chiusura.

Quando all'interno del pub si apprestavano a chiudere, l'addetta alla cucina VI. Gi. chiedeva alla Ce. di aiutarla, andando a buttare l'immondizia sul retro del locale. Nel frattempo entrava un uomo, di corporatura normale e con capelli corti, il quale chiedeva di consumare una birra; poi si accomodava ad un tavolo posto nella veranda per consumarla. Il locale invero era composto da due zone, quella antistante a veranda chiusa con tendoni trasparenti e poi la sala vera e propria al chiuso. La CE. usciva dal locale, attraversando la veranda e, dopo aver buttato la spazzatura, si apprestava ad entrare; mentre rientrava, dai teloni trasparenti notava che l'avventore si alzava dirigendosi verso l'uscita, come per andarle incontro. La donna si trovava quell'uomo proprio di fronte a sé che le ostruiva il passaggio, all'entrata della veranda, lasciandola all'esterno; l'uomo impugnava un coltello puntandolo contro di lei tenendo il braccio disteso, a distanza di circa un metro dalla donna. Poi le chiedeva ripetutamente di consegnargli i soldi, pronunciando le seguenti parole "DAMMI I SOLDI, DAMMI I SOLDI"; in preda all'agitazione la donna iniziava a gridare ed a bussare sul tendone del locale per richiamare l'attenzione di Vi. Gi., avvertendo che l'uomo era armato di un coltello.

Le persone presenti nel locale, dapprima Gi. Vi. e poi Ci. Fr., vedendo la scena si mettevano a gridare e poi si avvicinavano all'uomo, ponendosi dietro di lui, chiedendogli di abbassare l'arma dicendo "COSA STAI FACENDO, CHIUDI IL COLTELLO, CHIUDI IL COLTELLO".

La teste riferiva che l'uomo dopo aver udito le grida sembrava avesse acquisito lucidità per cui, abbassava l'arma e cominciava a correre all'esterno del locale, dicendo di chiamarsi Am. Vi. ed essere di (omissis).

La p.o. impaurita si chiudeva nel locale e chiamava i Carabinieri, mentre i suoi amici seguivano l'uomo che si allontanava a bordo di un motorino, parcheggiato a circa 2-3 metri dal locale.

La denunciante precisava di aver visto che l'uomo aveva estratto il coltello mentre lei stava rientrando in veranda e che poi l'uomo le era andato incontro trovandoselo proprio di fronte a sé che brandiva l'arma indirizzandola verso di lei.

Quanto alla richiesta di danaro, dapprima riferiva che l'uomo le aveva chiesto "qualcosa di soldi" affermando di non ricordare con precisione l'espressione utilizzata dall'uomo; in seguito a contestazione, confermava che l'Am. le avesse intimato più volte "DAMMI I SOLDI, DAMMI I SOLDI".

Altresì la denunciante in dibattimento riferiva che quella stessa sera presso la Stazione dei Carabinieri, nell'album fotografico sottopostole dalla PG, aveva riconosciuto il responsabile della tentata rapina in una foto, in particolare nell'effige n. 5 dell'album, corrispondente appunto a quella dell'odierno imputato.

La deposizione della persona offesa, CE. Ch. trovava riscontro in altre testimonianze, in particolare nelle dichiarazioni rese da VI. Gi. e CI. Fr..

La teste VI. Gi. confermava che quella sera, all'orario di chiusura, aveva chiesto alla sua amica CE. Ch. di andare a buttare la spazzatura sul retro del locale; nel frattempo era entrato un uomo che aveva chiesto una birra e, dopo averla pagata, si era seduto ad un tavolo situato in veranda; mentre la Ce. stava rientrando, all'ingresso della veranda era stata minacciata con un coltello dal predetto uomo, poi identificato in Am. Vi., e pertanto aveva iniziato a gridare.

La teste riferiva di essere subito accorsa verso la veranda dove aveva potuto constatare che l'uomo impugnava un coltello con la mano sinistra, dicendo alla donna "Dammi i soldi, dammi i soldi"; ricordava che la Ce. avesse con sé la borsa.

Subito dopo di lei era accorso anche Ci. Fr. ed insieme avevano cercato di far desistere l'uomo dal suo proposito. L'Am. allora richiudeva il coltello e poi scappava a bordo di un motorino parcheggiato all'esterno del locale, dopo aver dato le proprie generalità dicendo "sono Am. Vi., abito a (omissis) e lavoro a (omissis)".

La donna precisava che a suo avviso l'uomo quella sera era alterato, non sembrava in sé. Ciò lo aveva desunto dalla circostanza che, entrato, nel locale egli si guardava intorno spaesato.

Altresì precisava che l'Am. impugnava il coltello ma nel momento in cui lo aveva visto, la punta dell'arma era rivolta all'indietro, evidentemente perché la sua amica aveva gridato.

Confermava poi che, la notte stessa, aveva riconosciuto l'autore della tentata rapina nell'album fotografico sottopostole dalla P.G, precisamente nell'effige n.5, corrispondente appunto a quella

dell'odierno imputato. Altresì era acquisito il verbale di individuazione fotografica.

L'altro teste del PM CI. Fr. confermava che la sera del 30.4.2015 all'orario di chiusura era entrato nel pub "Fo. Fr.", di cui era titolare, un uomo poi resisi responsabile di una tentata rapina.

Dapprima l'uomo aveva ordinato una birra e, dopo averla pagata, aveva chiesto se poteva trattenersi per consumarla. Pertanto si era seduto ad un tavolo situato nella veranda antistante.

In quel frangente, Gi. Vi., dipendente dell'esercizio commerciale, aveva chiesto alla sua amica Ch. Ce. di buttare la spazzatura all'esterno, dove appunto la donna si era recata.

Tuttavia, mentre egli era all'interno del locale per sbrigare le operazioni di chiusura, sentiva Ch. urlare "ha un coltello, ha un coltello" e immediatamente Gi. accorreva all'esterno, dove provenivano le urla. La Vi. chiedeva all'uomo cosa stesse facendo. Egli sopraggiungeva poco dopo e, vedendo che l'avventore aveva un coltello in mano, insieme a Vi. Gi., invitava l'uomo a desistere.

L'uomo messo alle strette correva verso l'esterno del locale, si nascondeva dietro una Panda e alzava le mani in alto, mostrando il coltello; poi gridava il proprio nome e cognome nonché il luogo in cui viveva dicendo "Sono Am. Vi., di (omissis) e lavoro a (omissis)".

Il teste ricordava poi che l'uomo con una mano impugnava il coltello e mentre con l'altra teneva la birra.

Il teste confermava che, la notte stessa, aveva riconosciuto l'autore della tentata rapina nell'album fotografico sottopostogli dalla P.G, in particolare nell'effige n.5, corrispondente appunto a quella dell'odierno imputato (cfr. verbale di individuazione fotografica).

Il teste di P.G. PE. Gi., in servizio presso il nucleo investigativo di (omissis), riferiva che quella sera mentre era di turno con l'app. Fa. Lu., poco dopo la mezzanotte, era transitato dinanzi al pub Fo. Fr., in via (omissis), dove aveva notato un tizio seduto su un motorino Piaggio, modello (omissis), che fumava un sigaretta.

Alle successive ore 1.40 venivano avvisati che nel predetto pub vi era stata una tentata rapina; tuttavia non si recavano sul posto in quanto nel frattempo l'autore del reato si era allontanato, a bordo di un motorino.

Intanto in caserma giungevano le persone che avevano assistito alla tentata rapina ed avendo le stesse riferito le generalità dell'imputato, gli agenti si recavano presso l'abitazione dell'Am. Vi., ove tuttavia trovavano soltanto i suoi genitori. Fino alle sei del mattino l'Am. non faceva ritorno.

Il teste di PG PI. Em. invece riferiva che aveva proceduto a sentire a sommarie informazioni i soggetti presenti; di poi, formato un fascicolo fotografico, si era proceduto alla individuazione fotografica. Riferiva che sia la persona offesa, sia gli altri due soggetti VI. Gi. e CI. Fr. avevano riconosciuto senza ombra di dubbio nell'Am. l'autore della tentata rapina.

Invero, come già evidenziato l'individuazione di persona effettuata nel corso delle indagini era confermata in udienza sia dalla persona offesa CE. Ch., sia dai testi VI. Gi. e CI. Fr..

L'imputato, sottopostosi ad esame, negava gli addebiti. Riferiva che al momento del fatto viveva un periodo di profonda difficoltà familiare, in quanto il padre era gravemente malato ed altresì egli faceva abuso di sostanze alcoliche. Anche quella sera aveva bevuto molte birre prima di recarsi al pub, dove aveva ordinato un'altra birra.

Non ricordava molto di quella sera ma riferiva che si era trattato di un malinteso. Mentre lui era seduto per consumare la birra, per un momento non aveva più visto la sua vespa dove poco prima l'aveva parcheggiata, per cui alzatosi aveva istintivamente estratto il coltello che aveva con sé e che usava per il lavoro. Nel frattempo si era avvicinata a lui la persona offesa che, vedendolo con il coltello in mano aveva iniziato ad urlare.

Negava di aver chiesto soldi alla p.o., dicendo che non aveva bisogno di delinquere per guadagnare danaro, atteso che dal 2006 come operaio alla Fiat di (omissis).

Forse aveva detto "non voglio soldi" ma non ricordava bene quella sera cosa fosse successo.

Quando si era reso conto che la ragazza si era spaventata, l'aveva fatta passare e se ne era andato. Prima di andare via aveva detto chi era, dove lavorava per far capire che non voleva fare nulla di male.

Ebbene, tali essendo le risultanze istruttorie, appare evidente come la fonte principale di prova, in merito al reato di tentata rapina contestato all'imputato, sia rappresentata dalle dichiarazioni rese dalla

persona offesa, CE. Ch., nel corso del dibattimento.

Nella valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, questo Collegio segue l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale e dalla Corte di Cassazione, che, ormai da tempo ed in mode consolidato, hanno fissato i parametri di riferimento che il giudicante deve adottare quando la prova sia rappresentata, anche in via esclusiva, dalle dichiarazioni della parte lesa dal reato.

Sul punto è necessario premettere che la persona offesa, pur essendo considerata dal legislatore, anche quando si costituisce parte civile, alla stregua di un qualunque testimone, viene collocata, dalla giurisprudenza, in una posizione diversa rispetto a quella del teste - e ciò proprio per il ruolo che assume nell'ambito del processo, sia quando si costituisce parte civile nel processo penale, sia quando non eserciti tale facoltà.

Se, infatti, il testimone è per definizione una persona estranea agli interessi in gioco del processo, che si limita a rendere una deposizione su fatti a cui ha assistito personalmente, senza altre o diverse implicazioni, la persona offesa è per definizione in posizione di antagonismo nei confronti dell'imputato, per la semplice istanza di ottenere giustizia con la condanna di questi.

Ne deriva che, a differenza che per la deposizione resa dal semplice testimone, con riferimento alla deposizione resa dalla persona offesa occorre svolgere un esame più rigido e rigoroso dell'attendibilità intrinseca della deposizione, e, qualora la piattaforma probatoria lo consenta, occorre valutare - pur senza la necessità di riscontri esterni - anche gli altri elementi probatori, verificando se gli stessi confortino o meno detta deposizione (cfr., tra le altre, Cass. Pen. sez. . pen. sez. III n. 43339/08).

Pertanto, quando la persona offesa rappresenta il principale (se non il solo) testimone che abbia avuto la percezione diretta del fatto da provare e sia, quindi, sostanzialmente, l'unico soggetto processuale in grado di introdurre tale elemento valutativo nel processo, affinché la sua deposizione possa essere posta a fondamento del giudizio di colpevolezza dell'imputato, occorre sottoporla ad una puntuale analisi critica, mediante la comparazione con il rimanente materiale probatorio acquisito (laddove ciò sia possibile) utilizzabile per corroborare la sua dichiarazione, ovvero, laddove una verifica ab estrinseco non sia possibile, attraverso un esame attento e penetrante della testimonianza.

Orbene, vagliati i dati forniti da CE. Ch. - ed in applicazione dell'enunciato principio giurisprudenziale - ritiene questo Collegio che l'esperita istruzione dibattimentale consenta la formulazione di un giudizio di sicura credibilità della persona offese in ordine alle circostanze riferite in occasione delle sue dichiarazioni.

Sotto il profilo infatti della credibilità, e con riferimento alla personalità del propalatore, va evidenziato che dall'istruttoria dibattimentale non sono emersi elementi che lascino anche solo velatamente suggerire, motivi di astio e di rancore nei confronti degli imputati né pregressi rapporti di conoscenza, che esulassero dai fatti di cui all'imputazione, e ciò porta fondatamente ad escludere che le dichiarazioni accusatorie siano state rese per dirimere altre e/o diverse (e sottese) questioni tra le parti, ma lascia ritenere, con tranquillizzante certezza, che la genesi remota e prossima di tali dichiarazioni, sia stata quella di ottenere giustizia senza alcun accanimento nei confronti dell'imputato.

Si evidenzia altresì che non potrebbe neppure ipotizzarsi un intento strumentale al risarcimento del danno considerato che la p.o. non si è costituita parte civile.

Come già evidenziato, le dichiarazioni della persona offesa sono apparse del tutto lineari, prive di profili di illogicità o di contraddittorietà, oltre che omogenee.

Nel caso in questione deve osservarsi che il narrato esposto dalla persona offesa nel corso dell'esame dibattimentale è apparso preciso, privo di profili di illogicità o di contraddittorietà, e, per altro verso, ha confermato il nucleo centrale delle accuse e anche alcuni aspetti di contorno delle stesse, che sono rimasti inalterati.

Peraltro, si evidenza la spontaneità delle dichiarazioni, e le rare contestazioni in aiuto alla memoria delle circostanze più dettagliatamente raccontate nella denuncia querela che sono, a parere di questo Tribunale, sintomatici dello stato psicologico di tensione in cui versava al momento del suo esame la persona offesa e non intaccano in alcun modo, ma anzi rendono ancora più genuino, il narrato complessivamente proposto.

Ebbene, sotto tale profilo, non può che sottolinearsi come la reiterazione e la costanza delle accuse costituisca senza dubbio una ulteriore conferma della veridicità del narrato, costituendo una massima di esperienza giudiziaria (ribadita in varie pronunce della Suprema Corte, tra le altre dalle Sezioni Unite con sentenza del 23.2.1993) quella secondo cui, a contrario, il mutamento delle versioni prospettate inficia la credibilità del propalatore.

Orbene la teste riferiva, confermando le dichiarazioni già rese in sede di indagini, che l'Am. avesse tentato nei suoi confronti una rapina: l'uomo mentre era seduto in veranda, vedendola arrivare dal retro del locale, le era andato incontro con un coltello in mano e, indirizzandolo verso di lei, le aveva rivolto più volte la richiesta di danaro "dammi i soldi, dammi i soldi". Le grida di aiuto della donna avevano però allertato le persone presenti all'interno del locale; dapprima Vi. Gi. e poi Ci. Fr. si erano portati all'esterno cercando di far abbassare l'arma all'uomo che poi si dava alla fuga.

Alla luce di tutte queste considerazioni può dunque formularsi un giudizio di sicura credibilità di CE. Ch. nonché di attendibilità intrinseca delle dichiarazioni rese innanzi a questo collegio.

Altresì va sottolineato come la deposizione resa dalla persona offesa ha trovato significativi elementi di conforto nella deposizione resa dagli altri testimoni oculari VI. Gi. e CI. Fr..

Orbene, soprattutto la teste Vi. Gi., la prima accorsa in aiuto della persona offesa, ha riferito di aver visto l'Am. che impugnava il coltello di fronte alla Ce. e di aver anche udito la richiesta di danaro rivolta alla stessa "Dammi i soldi, dammi i soldi").

La teste precisava un particolare non trascurabile dato dal fatto che la Ce. avesse con sé la borsa mentre era andata a buttare l'immondizia.

Il Ci. confermava di aver visto Am. con il coltello in mano e di aver tentato insieme alla Vi. di far desistere l'uomo che, messo alle strette, si dava alla fuga sul suo motorino.

In merito all'individuazione dell'imputato deve evidenziarsi che l'individuazione di persona effettuata dalla persona offesa e dai testi in sede di indagini preliminari ha dato esito positivo in quanto i predetti soggetti individuavano senza ombra di dubbio AM. Vi. come il rapinatore. L'individuazione era confermata in dibattimento.

Ad avviso della giurisprudenza di legittimità, l'affidabilità deriva non dal riconoscimento in sé, bensì dall'attendibilità di chi, deponendo ed esaminando la foto, si dica certo dell'individuazione che sta

compiendo (cfr. Cass. V, n. 22612/2009; Cass. I, n. 47937/2012: "Il riconoscimento fotografico operato in sedi di indagini di polizia giudiziaria non è regolato dal codice di rito e costituisce un accertamento di fatto utilizzabile in giudizio in base ai principi di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice; la certezza della prova non discende dal riconoscimento come strumento probatorio, ma dall'attendibilità accordata alla deposizione di chi sì dica certo dell'individuazione").

Orbene, i testi hanno riferito di aver riconosciuto con assoluta certezza l'imputato.

Ciò premesso, deve dirsi che non può essere posta in dubbio la sussistenza del fatto contestato nell'imputazione nei confronti dell'imputato.

Invero, l'Am. da suo canto non ha fornito alcun elemento probatorio idoneo a smentire l'impostazione accusatoria, comprovata invece dalle plurime fonti di prova, innanzi valutate.

Appare corretta la qualificazione dei fatti come rapina, nella forma tentata. Del reato contestato difatti sussistono gli elementi oggettivi e soggettivi, in quanto l'imputato poneva in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco ad impossessarsi della cosa mobile altrui (nella specie il rapinatore tentava di impossessarsi del danaro che la p.o. custodiva nella sua borsa) con minaccia (consistita nel puntare all'indirizzo della p.o. un coltello, intimandole di consegnare i soldi "dammi i soldi, dammi i soldi"), al fine di conseguire un ingiusto profitto in danno altrui.

In punto di coefficiente psichico, va poi detto, che il contegno tenuto dall'imputato in occasione della commissione dei fatti lascia ritenere con assoluta certezza che si sia trattato di azioni commesse con il dolo richiesto dalla norma incriminatrice contestata, quale il dolo generico, costituito dalla previsione e volontà dell'agente di procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno, accompagnato dalla coscienza e volontà di adoperare la minaccia o la violenza a tale scopo.

Premesso poi che il reato di rapina si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica l'impossessamento, a nulla rilevando la mera temporaneità o momentaneità del possesso conseguito, quando esso si sia concretizzato nell'autonoma disponibilità della refurtiva da parte dell'agente, con correlativo spossessamento del legittimo detentore, non vi sono dubbi sul fatto che nel caso in esame il reato in questione non si è consumato, in quanto la persona offesa affermava di non aver consegnato alcuna somma in quanto il rapinatore si allontanava dopo l'intervento di VI. Gi. e CI. Fr. che, urlandogli contro, lo inducevano ad interrompere l'azione criminosa. Deve dunque affermarsi che si configura nel caso in esame una condotta di rapina tentata.

Il Tribunale non condivide la tesi difensiva secondo cui la condotta posta in essere dall'imputato sarebbe priva del requisito della univocità.

Orbene, la circostanza che l'imputato, prima di darsi alla fuga, avesse riferito le proprie generalità, consentendone l'identificazione, non vale ad escludere la sussistenza dell'elemento psicologico.

Si tratta di fatti di un post factum e dunque di un comportamento posto in essere quando l'imputato aveva depositato l'arma e si stava allontanando.

La circostanza appare singolare ma è verosimile ritenere che l'Am., in un momento di maggiore lucidità, abbia voluto ridimensionare l'accaduto con la speranza di evitare conseguenze pregiudizievoli, quali la denuncia.

Altresì deve essere disattesa la tesi difensiva secondo cui nel caso di specie nella condotta del prevenuto sarebbe ravvisabile un'ipotesi di desistenza volontaria o di recesso attivo.

Invero, nel caso di specie l'imputato, dopo aver minacciato con un coltello la persona offesa ed intimato la corresponsione del danaro, veniva messo in fuga dagli altri soggetti presenti nel locale. Pertanto, va considerata integrata l'ipotesi tentata ed esclusa la desistenza in quanto la consegna della somma di denaro, costituente oggetto di una richiesta effettuata con violenza o minaccia, non ha

avuto luogo non per autonoma volontà dell'imputato, bensì per cause indipendenti, quali l'intervento si soggetto che mettevano in fuga l'imputato.

Né è ravvisabile il recesso attivo, che consiste in un comportamento attivo volto a scongiurare l'evento. Sussistono altresì l'aggravante dell'uso dell'arma, essendo irrilevante a tal fine che l'arma non sia stata materialmente sottoposta a sequestro.

Non sussiste, invece, l'ulteriore aggravante del volto travisato, verosimilmente contestato in virtù di un mero refuso.

Il Collegio ritiene che considerato il comportamento dell'imputato (il quale consentiva la sua identificazione fornendo le sue generalità mentre si allontanava) sussistano elementi positivamente valutabili al fine della concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Le circostanze generiche vanno riconosciuti in misura equivalente rispetto alla contestata aggravante. In merito al trattamento sanzionatorio, tenendo conto dei criteri di cui all'art. 133 c.p., in particolare delle modalità dell'azione, dei mezzi utilizzati per la commissione del reato e della capacità a delinquere del colpevole, concesse le circostanze generiche in misura equivalente rispetto alla contestata aggravante, si stima equa la condanna di AM. Vi. alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 310,00 di multa (pena base calcolata ai sensi dell'art. 628 comma I, nella formulazione ante novella del 2019, che prevedeva il minimo edittale di 4 anni di reclusione, ridotta ex art. 56 c.p.).

Segue, per legge, la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.

Sussistono i presupposti per concedere la sospensione condizionale della pena, atteso che il soggetto non ha mai beneficiato della pena sospesa e l'imputato non ha mai riportato condanna a pena detentiva per delitto (difatti i tre precedenti penali di cui è gravato l'imputato sono reati contravvenzionali).

Ai sensi dell'art. 544 comma 3° c.p.p. è stato fissato in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione della sentenza.

P.Q.M.
Letto l'art. 533 e 535 c.p.p. dichiara AM. Vi. colpevole del reato a lui ascritto in rubrica ed esclusa l'aggravante di aver commesso il fatto con volto travisato, concesse le attenuanti generiche in misura equivalente rispetto alla contestata aggravante di cui all'art. 628 comma III n. 1, lo condanna alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 310,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Pena sospesa.

Visto l'art. 544, comma 3 c.p.p., indica in 90 giorni il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Nola, il 2 dicembre 2021

Depositata in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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