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Configurabilità del reato di rapina e qualificazione delle scale condominiali come luogo di privata dimora

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Corte appello Taranto, 24/09/2024, n.434

Il reato di rapina si configura quando la violenza è esercitata direttamente sulla persona per vincerne la resistenza durante la sottrazione del bene, mentre il furto con strappo ricorre quando la violenza è rivolta solo verso la cosa, con eventuali ripercussioni indirette sulla vittima. Inoltre, costituisce "luogo di privata dimora" anche la scala condominiale, quale pertinenza funzionale alle abitazioni ivi situate, integrando così le aggravanti previste dall'art. 628 c.p.

Tentata estorsione e rapina aggravata: violenza per impedire l'esercizio del diritto di credito (Giudice Alessandro Cananzi)

Recidiva specifica e responsabilità aggravata: condanna per rapine multiple con unico disegno criminoso (Giudice Napolitano Tafuri)

Rapina aggravata e rito abbreviato: valore della confessione e attenuante del risarcimento del danno (Giudice Paola Scandone)

Rapina impropria aggravata: condanna per violenza post-sottrazione con arma impropria (Collegio - Di Petti presidente)

Condanna per tentata rapina aggravata: uso del coltello e intervento di terzi a interrompere l’azione criminosa (Collegio - Di Petti presidente)

Condanna per rapina aggravata: cinque anni di reclusione e revoca della sospensione condizionale (Collegio - Cristiano presidente)

Rapina aggravata e attendibilità delle dichiarazioni della vittima: accertamento di responsabilità nel rito abbreviato (Giudice Paola Scandone)

Tentata rapina: l'intimidazione a minori come strumento di coercizione (Giudice Diego Vargas)

Condanna per rapina pluri-aggravata e ricettazione: uso di arma e collegamento teleologico tra i reati (Collegio - Di Petti presidente)

La distinzione tra il reato di furto con strappo e quello di rapina risiede nella direzione della violenza esercitata

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza del 21.2.2024, all'esito di giudizio abbreviato, il G.U.P. presso il Tribunale di Taranto ha ritenuto la penale responsabilità di SI.Va. per il reato di rapina pluriaggravata e lo ha condannato, riconosciute le circostanze generiche ed applicata la diminuente del rito, alla pena di anni tre, mesi uno e giorni dieci di reclusione ed Euro 2.500,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali; ha disposto la confisca e la distruzione di quanto in sequestro e dichiarato l'imputato interdetto dai pubblici uffici, per la durata di cinque anni.

Il G.U.P. sulla base degli atti utilizzabili in ragione del rito prescelto ha ricostruito così i fatti: in data 1.12.2023, personale della Squadra Falchi della Squadra Mobile della Questura di Taranto interveniva in via (...), a seguito di segnalazione per una rapina ai danni di una persona anziana; gli operanti identificavano la persona offesa, Ru.Mi. che, nell'immediatezza, riferiva di essere rimasta vittima di ima rapina ad opera di un giovane, con il volto travisato da una fascia collo, il quale lo aveva seguito all'interno dell'androne del palazzo e, raggiuntolo sulle scale, gli aveva sfilato il portafogli al cui interno custodiva la somma di circa 1.920,00 euro. Nel corso della colluttazione che ne era seguita, l'uomo aveva fatto cadere a terra la vittima. In quell'occasione egli era riuscito ad abbassare lo scaldacollo che copriva il viso dell'aggressore, riconoscendolo nel giovane banconista del bar "Diamante", ubicato nelle vicinanze, in via (...), descrivendone puntualmente le fattezze e gli indumenti che indossava. Presso gli uffici della Questura, l'uomo effettuava individuazione fotografica, riconoscendo l'imputato nel soggetto raffigurato nella foto nr. 4 dell'album esibito.

Gli operanti riuscivano a rintracciare il SI. che, prontamente, li conduceva, dapprima, presso un cassonetto di rifiuti, ubicato nelle vicinanze della sua abitazione, ove faceva recuperare gli indumenti corrispondenti a quelli da lui indicati come indossati al momento del fatto (coincidenti con quelli descritti dalla vittima) e, poi, a casa di un amico, tale Lu.Gi., ove riferiva di aver lasciato la refurtiva, effettivamente ivi rinvenuta.

Il SI. veniva, quindi, tratto in arresto. Nel corso dell'udienza di convalida l'imputato ammetteva l'addebito, negando, tuttavia, di aver volontariamente determinato la caduta per terra del Ru., affermando che entrambi erano caduti mentre stava tentando di sfilare il portafogli dall'anziana vittima.

Così ricostruiti i fatti, il G.U.P. ha ritenuto integrato il delitto di rapina pluriaggravata ai danni di Ru. Mi., poiché il SI., "travisato da uno scaldacollo s'impossessava, sfilandoglielo di dosso, di un portafogli contenente una elevata somma di denaro ammontante a circa 2.000,00 euro, sorprendendo l'anziano Ru.Mi. sulle scale dell'edificio ove quest'ultimo abitava; per vincere la resistenza della persona offesa - che era riuscita anche ad abbassargli lo scaldacollo e a vederlo in viso - l'imputato, riuscito a sottrarre il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni indossati dalla persona offesa, spintonava l'anziano sig. Ru., facendogli perdere l'equilibrio e determinandone la caduta dai gradini della scala condominiale. "Il giudice ha, quindi, ritenuto sussistenti le circostanze aggravanti ai sensi dell'art. 628 c. 3 n. 1, 3 bis e 3 quinques c.p., essendo la rapina stata commessa da persona con volto travisato, in luogo di privata dimora - tale dovendosi ritenere le scale condominiali, beni pertinenziali a servizio e protezione delle private dimore - e nei confronti di persona ultrasessantacinquenne.

Per quanto concerne il trattamento sanzionatorio, il Tribunale, valutati i parametri di cui all'art. 133 c.p., riconosciute le attenuanti generiche - per il comportamento dell'imputato che aveva consentito il rinvenimento della refurtiva e di prove a suo carico - ha ritenuto equa la pena di anni tre, mesi uno e giorni dieci di reclusione ed Euro 2.500,00 di multa (p.b. sette anni di reclusione e 2.500,00 di multa, ridotta ad anni quattro e mesi otto di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa per le circostanze attenuanti generiche, ulteriormente ridotta per il rito alla pena finale); interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni; confisca e distruzione di quanto in sequestro.

Ricorre in appello la difesa, chiedendo, con il primo motivo, di voler configurare il fatto nella fattispecie di furto con strappo, invece che rapina, non avendo l'imputato commesso atti di violenza nei confronti della vittima, ma in via immediata sulla refurtiva, essendo stata la caduta della vittima - e dell'imputato - conseguenza indiretta e involontaria dell'apprensione della res, verso cui solamente era stata diretta la violenza e, con il secondo, di escludere l'aggravante di cui all'art. 628 co. 3 n. 3 bis c.p. ritenendo doversi escludere che il pianerottolo, ove il fatto era stato commesso, possa qualificarsi come luogo di privata dimora in quanto destinato all'uso di un numero indeterminato di soggetti, con conseguente riduzione della pena inflitta. L'appello è infondato.

Ritiene, infatti, la Corte che la sentenza debba essere confermata.

Non appare infatti possibile la richiesta configurazione del fatto nella fattispecie di furto con strappo di cui all'art. 624 bis comma 2 c.p., invece che rapina.

L'esame del motivo di appello non può prescindere dalla valutazione del contributo dichiarativo della persona offesa, Ru.Mi., compendiato nella querela sporta, in data 1.12.2023, nella quasi immediatezza dei fatti.

In proposito e, preliminarmente, tenuto conto dei rilievi formulati nell'atto di gravame, va richiamato il costante orientamento della Suprema Corte, secondo cui le "dichiarazioni della parte offesa possono essere legittimamente poste da sole a base dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell'attendibilità intrinseca del racconto" (Cass. S.U. 41461/2012, la quale afferma anche "essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile"; così pure: Cass. 2224/2019, 20936/2017, 43278/2015 e 1666/2014).

La valutazione della testimonianza della vittima di un reato non è soggetta ai parametri individuati dall'art. 192, commi 3 e 4 c.p.p.; i giudici di legittimità raccomandano, infatti, che la suddetta deposizione, per l'evidente contrapposizione, eventualmente anche economica, esistente tra le parti processuali private, debba soltanto essere sottoposta a un più attento esame sull'attendibilità intrinseca ed estrinseca.

Invero, come emerge dalla sentenza di primo grado, l'impianto accusatorio si fonda essenzialmente (ma non solo, avendo l'imputato ammesso, seppur parzialmente, l'addebito) sul narrato della vittima, il giudizio sulla cui attendibilità, a parere della Corte, è certamente positivo, tenuto conto che la stessa, neppure costituita parte civile nel presente processo, ha reso dichiarazioni la cui credibilità è confortata:

dall'aver riferito i fatti, nella quasi immediatezza dell'accaduto, in maniera lineare, sobria e coerente, senza incorrere in aporie logiche o di rilievo;

dall'assenza di intenti calunniatori o di vendetta (ha descritto i fatti in modo sempre pacato, senza mai voler aggravare la posizione dell'imputato, limitandosi a riferire che questi lo avesse spintonato, dopo essere riuscito a sfilare il suo portafoglio, facendogli perdere l'equilibrio, non lamentando di aver neppure subito ripercussioni fisiche in conseguenza del fatto);

- dalle dichiarazioni dello stesso imputato che ha, in parte, confermato l'addebito, in termini sovrapponibili al narrato della p.o., seppur negando di aver usato volontariamente violenza nei confronti della vittima e fornito i sopra descritti elementi di prova a suo carico.

A tale proposito, ritenuto il Ru. soggetto pienamente attendibile, avendo reso dichiarazioni intrinsecamente ed estrinsecamente coerenti, rileva la Corte che, quanto al frammento della sequenza delittuosa involgente la violenza esercitata sulla persona offesa - unico profilo divergente rispetto alla versione offerta dall'imputato - deve certamente apprezzarsi la spontaneità della denuncia del Ru., persona ottantaquattrenne, avvenuta nella quasi immediatezza dei fatti, a seguito di intervento dei militari sul luogo ove era stato perpetrato il delitto. Né, in assenza di intenti calunniosi (non emersi nel corso del giudizio e neppure prospettati nel gravame), vi sono plausibili ragioni per le quali l'anziano signore avrebbe dovuto offrire una versione dei fatti e della loro dinamica, parzialmente, difforme dal vero, anche tenuto conto del fatto che egli ha riferito dell'accaduto poche ore dopo l'aggressione, allorquando il ricordo poteva ritenersi ancora nitido (né sono emerse aporie rispetto ad altri particolari dei fatti, avendo la p.o. puntualmente descritto non solo le fattezze fisiche dell'imputato, ma anche il suo abbigliamento). Del resto, considerata la differenza di età tra l'imputato e la vittima - e, verosimilmente, anche di complessione fisica - è certamente più plausibile la versione offerta dalla p.o. (l'imputato, dopo essere stato riconosciuto dalla vittima, lo spintona per assicurarsi il possesso della refurtiva e guadagnare, rapidamente, la fuga), rispetto a quella parzialmente alternativa del SI., secondo cui "la forza esercitata sul portafogli aveva determinato la caduta di entrambi sulle scale". Caduta (quella dell'imputato) sulla quale la persona offesa non fa alcun cenno nella denuncia.

Non convincente è, quindi, la tesi secondo cui, mentre il SI. tentava di sottrarre il portafogli, l'imputato e la vittima erano caduti. Del resto, neppure è verosimile, come si sostiene nell'appello, che la caduta di entrambi fosse stata causata dalla forza che l'imputato avrebbe esercitato per sfilare il portafogli dalla vittima, persona di oltre ottant'anni all'epoca dei fatti e tenuto conto della circostanza che il bene era custodito nella tasca posteriore dei pantaloni; né si deduce che l'aggressore abbia avuto particolari difficoltà nel sottrarre il portafoglio all'anziano signore o che quest'ultimo avesse opposto una qualche resistenza per impedirne la sottrazione, risultando dalle dichiarazioni della vittima che, mentre l'imputato sfilava il portafogli, questa riusciva ad abbassare il copricapo dell'imputato e che, solo dopo la sottrazione della res, il SI. lo aveva spintonato (v. denuncia querela, in atti), per poi fuggire.

Conformemente al dichiarato della persona offesa e come accertato dal primo giudice, deve, quindi, ritenersi che il SI., abbia conseguito la disponibilità del portafogli contenente una cospicua somma di denaro, esercitando violenza sulla vittima, spintonandola, fino a farla cadere in terra, in modo da impedirgli di esercitare una valida difesa, così garantendosi il possesso della refurtiva ed anche l'impunità, essendo in tal modo riuscito a fuggire immediatamente, subito dopo la fase dell'impossessamento del bene.

L'azione va, invero, considerata nel suo insieme e non limitatamente allo scopo, pacifico anche per la difesa, dell'impossessamento del denaro.

Come noto, deve, invero, ritenersi integrato il reato di rapina, e non di furto con strappo, quando la violenza sia diretta nei confronti della persona e sulla cosa simultaneamente per vincere la resistenza opposta dalla vittima e protesa a difendere e trattenere la cosa restando, invece, integrato il secondo reato quando la violenza sia perpetrata nei confronti solo dell'oggetto.

Non è infatti possibile considerare la condotta dell'imputato disgiuntamente dagli atti di violenza che costituiscono il delitto di rapina.

Quanto alla qualificazione giuridica del fatto, quindi, si riafferma il principio più volte ribadito dalla S.C. - e richiamato correttamente anche dal primo giudice - che "ricorre il delitto di rapina quando la condotta violenta sia stata esercitata per vincere la resistenza della persona offesa, anche ove la "res" sia particolarmente aderente al corpo del possessore e la violenza si estenda necessariamente alla persona, dovendo il soggetto attivo superarne la resistenza e non solo la forza di coesione inerente alla normale relazione fisica tra possessore e cosa sottratta, giacché in tal caso è la violenza stessa - e non lo strappo - a costituire il mezzo attraverso il quale si realizza la sottrazione; si configura, invece, il delitto di furto con strappo quando la violenza sia immediatamente rivolta verso la cosa, seppur possa avere ricadute sulla persona che la detiene" (v. da ultimo, Cass. Sez. II, 22/11/2022, (ud. 22/11/2022, dep. 24/02/2023), n. 8372.

Infatti, secondo consolidato orientamento della Corte di legittimità, il reato di furto con strappo ricorre nell'ipotesi in cui "la violenza esercitata dall'agente sia immediatamente rivolta contro la cosa e solo indirettamente contro la persona, anche se, a causa della relazione fisica intercorrete tra cosa sottratta e possessore, può derivare una ripercussione indiretta e involontaria sulla vittima; in caso di violenza rivolta direttamente contro la persona (o comunque, nell'ipotesi in cui lo strappo, per la stretta aderenza della cosa alla persona, determini comunque un 'aggressione a quest'ultima), infatti, ricorrerebbe il delitto di rapina di cui all'art 628 c.p." (Cass. Sez. II, 23.11.2020 n. 41464). E, in particolare, la fattispecie delittuosa della c.d. rapina impropria si caratterizza perché la violenza o la minaccia non sono modalità della condotta di impossessamento, ma seguono immediatamente la sottrazione della cosa, allo scopo di assicurare l'avvenuto impossessamento o di procurare l'immunità al reo (Cass, sez. II, 22.11.2004, n. 45160, Cass. Sez. V, 15.3.2017, n. 26977). Peraltro, la nozione di violenza deve farsi rientrare nella ampia accezione tecnico-giuridica, riconducibile alla ipotesi criminosa di cui all'art. 610 c.p., e quindi in qualsiasi atto o fatto posto in essere dall'agente che si risolva comunque nella coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo che viene, così, indotto, contro la sua volontà, a fare, tollerare o omettere qualche cosa indipendentemente dall'esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico (Cass, sez. II, 26.11.2002, n. 39941; Cass. Sez. II, 8.6.2017, n. 28389).

Si reputa, invero, sufficiente, a tal fine, anche l'esplicazione di una minima energia fisica, come lo strattone, lo scansamento, la spinta o il lancio di oggetti contro il derubato o terzi che tentino di impedirne la fuga (Cass. Sez. II, 7.12.1985), purché l'esplicazione della violenza segua immediatamente, l'impossessamento - come avvenuto nel caso di specie.

A tal proposito la giurisprudenza ha individuato nella condotta complessiva incriminata due azioni (una di sottrazione e l'altra di violenza), la seconda delle quali deve essere commessa, in alternativa, per assicurare l'evento patrimoniale cui è diretta la prima, o per procurare l'impunità di quanto già commesso; in particolare, si è osservato che la consecuzione di immediatezza dell'azione violenta è connessa all'azione sottrattiva per se stessa, non all'evento patrimoniale da essa cagionato dell'impossessamento, che ne è in alternativa un fine (Cass. Sez. V, 29.8.2001, n. 32445). Quanto all'impunità che costituisce il fine dell'esplicazione della violenza o minaccia nella rapina impropria, essa comprende tutte le conseguenze penali, quali la denuncia, il fermo, l'arresto, il semplice riconoscimento (Cass. Sez. I, 20.6.1977).

In definitiva, dalla ricostruzione dei fatti operata nella sentenza di primo grado - e come correttamente ritenuto dal primo giudice - la violenza è stata esercitata, in via prioritaria, sulla persona della vittima e non direttamente sul bene che costituiva l'oggetto del reato.

Per completezza, deve rilevarsi anche la sussistenza del dolo, consistendo, come noto, l'elemento psicologico del reato nella coscienza e volontà, indiscussa nel caso di specie, di impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola al detentore, con la consapevolezza di usare a tale scopo violenza o minaccia, con lo specifico fine - non smentito nell'atto di appello - di trarre, per sé o altri, un ingiusto profitto (o di assicurare a sé o altri il possesso della cosa o l'impunità).

È configurata pure l'aggravante di cui al comma 3 n. 3 bis dell'art. 629 c.p., prevedendo il richiamato art. 624 bis c.p. espressamente l'estensione della tutela penale alle pertinenze dei luoghi di privata dimora, così determinando l'ambito applicativo dell'incriminazione.

Come pure correttamente rilevato dal primo giudice, ricorre la contestata aggravante, per essere stato il fatto commesso sulle scale condominiali che, trattandosi di beni pertinenziali a servizio e protezione delle private dimore in esso ubicate e posti in un luogo di appartenenza di queste ultime, rientrano pienamente nella categoria dei beni oggetto di tutela rafforzata, alla luce della ratio dell'incriminazione e del suo aggravamento: "integra il reato di furto in abitazione la sottrazione illecita di beni mobili posti all'interno di aree condominiali, anche quando le stesse non siano nella disponibilità esclusiva dei singoli condomini" (Cass. Sez. V., 9.10.2020, n.,36017) Come di recente ribadito dalla Corte di Cassazione " le esigenze di tutela della sicurezza individuale che il legislatore ha voluto tutelare unitamente a quelle patrimoniali ben ricorrono anche nelle ipotesi di beni pertinenziali all'abitazione o ad una privata dimora poiché le pertinenze, anche avendo riguardo alla disposizione espressa dall'art. 817 cod. civ., sono luoghi strumentali del bene principale volte a soddisfare anch'esse esigenze di vita domestica del proprietario (Sez. 5, n. 8421 del 16/12/2019, dep. 2020, Leonvino, Rv. 278311 - 01). In sostanza, come questa Corte ha più volte sottolineato, l'esigenza di punire con maggiore severità la particolare pericolosità manifestata da chi, al fine di commettere un furto, non esita ad introdursi in un luogo di abitazione, con la concreta possibilità di trovarsi innanzi al soggetto passivo - sussiste anche quando il reato sia commesso in una immediata pertinenza dell'abitazione: come tale destinata allo svolgimento di attività strettamente complementari e strumentalmente connesse a quelle abitative (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 50105 del 05/12/2023. Santin, Rv. 285470 - 01; Sez. 5, n. 27326 del 28/04/2021, Colucci, n.m.)". (Cass. Sez. 5-, Sentenza n. 17038 del 04/04/2024, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 624 bis, cod. pen., in relazione all'art. 3 Cost., per l'omessa previsione di una attenuante specifica per il caso in cui il furto sia avvenuto su beni di pertinenza dell'abitazione, la Corte ha precisato che le esigenze di protezione della sicurezza individuale, che il legislatore ha inteso tutelare unitamente a quelle patrimoniali, ben ricorrono anche in relazione alle pertinenze di una abitazione o di un luogo di privata dimora, che sono beni strumentali a quello principale, volti a soddisfare esigenze di vita domestica del proprietario). Non vi sono, pertanto, elementi per una rideterminazione in melius del trattamento sanzionatorio avendo il giudice di primo grado applicato il minimo edittale previsto per la fattispecie di rapina aggravata, ai sensi del comma due dell'art. 629 c.p., riducendolo, poi, di un terzo, per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

La sentenza impugnata deve essere, quindi, integralmente, confermata, con condanna dell'appellante al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio in favore dello Stato. Motivazione da depositarsi in giorni 30 in ragione del carico di lavoro concomitante, ai sensi dell'art. 544, comma 3 c.p.p.

P.Q.M.
La Corte,

visti gli articoli 605 e 592 c.p.p.,

conferma la sentenza emessa dal G.U.P. de Tribunale di Taranto, in data 21.2.2024, nei confronti di SI.Va. che condanna al pagamento delle spese processuali del grado in favore dello Stato.

Indica in giorni 30 il termine per il deposito.

Così deciso in Taranto il 10 settembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 24 settembre 2024.

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