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Danneggiamento aggravato: beni pubblici e loro legame con la funzione della struttura

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Tribunale Potenza, 27/05/2024, n.407

Il reato di danneggiamento aggravato si configura quando l’azione lesiva si realizza su beni appartenenti a uffici o stabilimenti pubblici, con rilevanza anche solo parziale dell'inservibilità dei beni. Tale aggravante è giustificata dal legame tra i beni e la funzione pubblica della struttura in cui sono collocati.

Danneggiamento doloso: elementi costitutivi, analisi probatoria e incidenza delle attenuanti

Danneggiamento aggravato: esclusione della pubblica fede per beni protetti da barriere fisiche"

Danneggiamento aggravato e insussistenza del reato di minaccia per mancanza di prova certa sull’uso di arma

Danneggiamento e particolare tenuità del fatto: requisiti e applicazione ai sensi dell’art. 131 bis c.p.

Danneggiamento seguito da incendio: configurabilità e rischio di propagazione

Danneggiamento seguito da incendio: differenze con il reato di danneggiamento e applicabilità dell’art. 131-bis c.p.

Danneggiamento e esclusione della particolare tenuità del fatto: violenza e mancato risarcimento del danno

Danneggiamento con fuoco e configurabilità dell’art. 424 c.p.: limiti, aggravanti e attenuanti

Reato di danneggiamento seguito da incendio e valutazione del pericolo concreto ex art. 424 c.p.

Danneggiamento: rilevanza degli indizi e dolo nel reato ex art. 635 c.p.

La sentenza integrale

Svolgimento del processo
Con decreto di citazione a giudizio emesso dal P.M. in data 02.08.2022, l'odierno imputato veniva chiamato a rispondere dell'imputazione in atti dinanzi al Giudice monocratico del Tribunale di Potenza.

Alla prima udienza tenutasi in data 30.11.2022, constata la regolarità della notifica dell'atto introduttivo nei confronti dell'imputato, se ne dichiarava l'assenza. L'udienza del 29.03.2023 veniva differita su istanza della difesa, sospeso il termine di prescrizione per tutto il periodo.

All'udienza del 24.05.2023, data l'assenza di questioni preliminari, si disponeva l'apertura del dibattimento con invito alle parti ad articolare le rispettive richieste istruttorie che, venivano ammesse.

L'udienza del 04.10.2023 veniva differita in ragione dell'assenza dei testi. All'udienza del 24.01.2024, venivano escussi i testi qualificati Lo.An., Ri.St. e De.Gi.

All'udienza odierna del 27.03.2024, si dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale. Le parti, invitate a concludere, rassegnavano le proprie conclusioni come da verbale in atti e, all'esito della camera di consiglio, il Giudice si pronunciava come da dispositivo in atti.

Motivi della decisione
Le evidenze probatorie in atti hanno consentito di addivenire all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato.

Gi.An. è accusato del delitto di cui agli art. 635 co.2 c.p. poiché in qualità di ospite del Centro di Accoglienza Permanente per il rimpatrio, ubicato nel comune di Palazzo San Gervasio, danneggiava infissi e arredi presenti nel modulo n. 12 nel quale era ospitato.

Nello specifico: rimuoveva i lavandini con la relativa tubatura e rubinetteria, deteriorava gradini di marmo, rimuoveva la porta del bagno, rompeva i vetri delle finestre e manometteva la serratura della porta di ingresso.

Inoltre, il Gi. è accusato anche del reato di cui all'art. 336 c.p. perché, servendosi del materiale derivante dai danneggiamenti, usava minaccia nei confronti degli agenti intervenuti per fermarlo, brandendo tale materiale (un pezzo di cemento armato 9x12 cm, da cui fuoriescono due tondini di ferro di 10 cm, 1 fischer cerniera in metallo lungo 17 cm, 1 copertura di sostegno vetro finestra sempre in metallo lunga 58 cm, di cui al verbale di sequestro del 21.11.2021, in atti).

La prova oltre ogni ragionevole dubbio dei fatti, nonché della loro attribuzione all'imputato, deriva principalmente dall'assunzione delle testimonianze rese dai testi di p.g., peraltro confortate dal suddetto verbale di sequestro, nonché dal fascicolo fotografico acquisito al fascicolo del dibattimento in data 24.01.2024 all'esito dell'escussione degli operanti.

Alla suddetta udienza del 24.01.2024, veniva innanzitutto escusso il teste qualificato Lo.An., in qualità di responsabile del servizio di ordine pubblico presso il C.P.R. di Palazzo San Gervasio. Quest'ultimo riferiva che in data 19.11.2021, al momento in cui sia accingeva ad iniziare il turno di lavoro compreso tra le 07.00 alle 13.00, apprendeva dal collega uscente che vi erano stati attriti tra il Gi.An. ed altri ospiti della struttura e per tale motivo, il Gi. era stato da questi allontanato e isolato in un altro modulo. Successivamente, nel corso della mattinata, mentre il Lo. era in servizio, il Gi. si era reso responsabile del danneggiamento di alcuni oggetti presenti all'interno del modulo abitativo 12. Al fine di specificare le condotte distruttive dell'imputato, poste in essere, si ribadisce, durante il turno del Lo. e dunque effettivamente viste dallo stesso, il teste visionava la relazione a sua firma, e riferiva a carico dell'imputato le seguenti azioni: "sradicava degli arredi fissi, tra cui i lavandini e la relativa tubazione e rubinetteria, e riusciva finanche a danneggiare dei gradini di marmo che si trovavano nella scala che dava accesso al modulo dove lui alloggiava. Tutte queste suppellettili, venivano dallo stesso ammucchiate nell'atrio antistante, oppure lui le disperdeva con l'intento di spaventarci, quindi cercando di evitare un nostro ingresso all'interno del modulo" (cfr. pag.10 del verbale di udienza del 24.01.24), precisando, in chiusura, che al momento dell'accesso del Gi. nel modulo Io stesso era perfettamente agibile.

Durante l'escussione, il teste veniva invitato a spiegare in cosa consiste il concetto di "modulo", quale unità facente parte dell'organizzazione dei centri di accoglienza per il rimpatrio e al riguardo riferiva che per modulo si intende un'area nella quale vengono generalmente ricompresi otto ospiti, e per rappresentarne la grandezza prendeva come riferimento l'aula di udienza, descrivendo, rispetto a tale parametro, un'area molto ristretta. Secondo la deposizione offerta dal Lo., il Gi. - come gli altri ospiti del CPR - era libero di muoversi all'interno del predetto modulo, non aveva tuttavia la libertà di uscire fuori dal CPR sebbene lo status giuridico degli ospiti del CPR non sia quello di reclusione. Nulla sapeva riferire il teste in merito ad eventuale assistenza medica o psichiatrica ricevuta dal Gi.

Alla medesima udienza veniva escusso anche il teste Ri.St., all'epoca dei fatti funzionario di turno per i servizi di ordine pubblico a Palazzo San Gervasio. Il teste riferiva che in data 19.11.2021 e nelle giornate seguenti fino al 22 novembre era in servizio presso il CPR di Palazzo S. Gervasio dalle ore 07.00 alle 13.00, ed in altre giornate dalle 13:00 alle 19:00, come responsabile (di grado più alto) per il servizio di ordine pubblico. II teste al momento in cui prendeva servizio veniva prontamente avvertito da un collega che, il Gi., già da alcuni giorni, era entrato in contrasto con altri ospiti all'interno di un altro modulo e per tale ragione era stato collocato, da solo, in un altro modulo. Durante il corso della giornata, tali disordini continuavano e sfociavano nella distruzione di arredi e infissi presenti nel modulo in cui era stato isolato. Durante l'escussione, veniva posto all'attenzione del Ri. un fascicolo fotografico (poi acquisito agli atti), contenente immagini che ritraevano i danneggiamenti realizzati all'interno del modulo. A tal proposito, il teste specificava che quelle fotografie erano dei fermo - immagine ricavati dai video fatti con i telefonini. Osservando il fascicolo, il Ri. faceva riferimento ad una foto in particolare - la n. 8 - nella quale si vedeva un manufatto in cemento armato, spiegando che tale detrito era frutto dell'azione violenta praticata sulla porta del bagno. Proseguendo nell'escussione, il Ri. riferiva di aver deciso di entrare con dieci uomini dei carabinieri in tenuta da ordine pubblico presso il modulo 12 dopo aver appreso di quanto stava accadendo; tuttavia, precisava - su domanda della difesa - che inizialmente non riusciva a farvi ingresso poiché il Gi. aveva appositamente bloccato il cancelletto di ingresso otturandolo da dietro. Il Ri. proseguiva riferendo che, una volta entrato nel modulo, constatava quanto era stato posto in essere dall'imputato, il quale brandiva alcuni materiali ricavati dal danneggiamento, in segno di minaccia, affinché nessuno degli operanti accorsi gli si avvicinasse. A tal proposito, il teste chiariva che, nella sostanza, la minaccia posta in essere dal Gi. consisteva nel brandire i corpi contundenti ricavati dal danneggiamento contro gli operanti, al fine di non farli avvicinare (cfr. pag. 21 del verbale di udienza del 24.01.24). Iniziava, dunque, un'opera di mediazione con l'imputato finché questi non deponeva gli attrezzi.

Il teste non sapeva riferire con precisione, in quanto non di stretta sua competenza, se il Gi. avesse titolo di stare presso il centro di accoglienza, in quanto suo compito era esclusivamente quello di garantire l'ordine all'interno della struttura. Tale verifica compete all'ufficio immigrazione. Proseguendo nella spiegazione, il teste specificava che allorquando vi siano soggetti che lamentano l'assenza di titolo per permanere nella struttura, viene redatta una relazione di servizio che viene inoltrata al responsabile del c.p.r. e all'ufficio immigrazione che, si occupa di effettuare le verifiche del caso e di adottare i relativi provvedimenti. Non sapeva riferire se l'imputato fosse stato o meno sottoposto a visita medica o avesse ricevuto supporto psicologico. Sempre alla medesima udienza del 24.01.2024, veniva infine escusso il teste qualificato De.Gi., all'epoca dei fatti in servizio presso la Polizia di stato, quale dirigente dell'ordine pubblico presso il Comune di Palazzo S. Gervasio. Il De. riferiva di essere arrivato presso il CPR di Palazzo S. Gervasio solo in data 20 novembre, in aiuto agli operanti già presenti poiché il Gi. aveva bloccato l'ingresso del modulo, infilando pezzi di detriti all'interno della serratura che impedivano di entrare. Successivamente, veniva convinto a rimuovere i detriti che aveva inserito e si riusciva ad intervenire. Il De. non assisteva alla commissione di ulteriore atto di danneggiamento, limitandosi a constatare lo stato dei luoghi, dichiarando di essere intervenuto anche il giorno precedente, per accompagnare il personale della Engel all'interno del modulo per rimuovere i detriti già derivati da danneggiamento. Così ricostruiti i fatti, valutando il compendio probatorio, ai fini dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputato, sono apparse dirimenti le prove dichiarative assunte attraverso l'escussione dei testi, corroborate dal fascicolo fotografico e dal verbale di sequestro in atti.

Per quanto concerne le prove dichiarative, questa A.G. ritiene di uniformarsi al principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità (ribadito da Cass. Sez. 116 dicembre 199914 aprile 2000) in base al quale "se deve ritenersi esclusa la possibilità di recepire acriticamente una testimonianza senza un vaglio critico dell'attendibilità della stessa, svolto assumendo a riscontro tutti gli elementi della vicenda, la prova deve ritenersi sussistente e raggiunta quando la testimonianza risulti logicamente e armonicamente inserita nel contesto dell'intera vicenda".

Risultano attendibili le deposizioni rese dagli operanti, pubblici ufficiali che, deponendo sotto il vincolo del giuramento di verità, rendevano deposizioni lineari e concordi.

Applicando al caso di specie la esposta regola di giudizio, si ritiene infatti che la vicenda in atti così come ricostruita per mezzo del contributo offerto dagli operanti di p.g., appaia univoca, priva di congruenze e salti logici.

Venendo al caso di specie, le dichiarazioni offerte, sono apparse attendibili innanzitutto sotto il profilo oggettivo. Significativo è il dato per cui tutti i testi hanno riferito che, il Gi. fosse l'unico ospite del modulo n.12 poiché era stato ivi appositamente collocato, da solo, posto che precedentemente si era reso responsabile di disordini con altri ospiti. Sono state altresì confermate a mezzo testi le medesime circostanze di tempo e di luogo nelle quali si è dipanata la condotta dell'imputato. I fatti si sono consumati inizialmente nella mattinata del 19.11.2021, durante il turno di lavoro del Lo. - che vi assisteva personalmente essendo in servizio il 19 dalle 7.00 alle 13.00 - e del Ri. - che specificamente accedeva al modulo in data 22.11.2021, ma dichiarava di essere stato in servizio anche nei giorni precedenti - e sono proseguiti fino alla giornata del 22.11.2021 - su cui sempre riferiva il Ri., mentre il De., dichiarava di essere intervenuto già in data 20.11.2021 poiché il Gi., dopo l'episodio del 19, stava danneggiando ulteriormente il modulo e già in quella sede, pur trovando il Gi. tranquillo, questi aveva messo dei pezzi di detriti all'interno della serratura. Anche sotto il profilo soggettivo le dichiarazioni dei testi appaiono credibili e scevre da interessi estranei al processo. Al riguardo appare valorizzabile il dato per cui, tutti hanno confermato di aver tentato un approccio di tipo diplomatico nei confronti del Gi., senza ricorrere a costrizioni fisiche di alcun genere. In particolare, il Ri.St. ha specificato altresì che nonostante la minaccia l'imputato non si è avvicinato a loro, e comunque poi, ha osservato un comportamento collaborativo, consentendo agli agenti di poter fare ingresso nel modulo che in precedenza aveva loro precluso. Con riguardo al caso di specie la condotta materiale di cui alla fattispecie astratta dell'art. 635 c.p. appare pienamente integrata, in quanto come precedentemente detto, risulta provato dalla deposizione dei testi, e riscontrato dalle foto in atti che ritraggono il modulo devastato, nonché dal verbale di sequestro che dà contezza dei corpi contundenti derivanti da tale devastazione, che il Gi. si sia reso responsabile del predetto delitto, a lui imputabile anche sotto il profilo soggettivo poiché era l'unico presente nel modulo 12, nel quale si sono consumati i danneggiamenti, in quanto isolato dagli altri ospiti del Centro proprio in virtù di ulteriori, precedenti intemperanze.

Perché si configuri il reato di danneggiamento è sufficiente che l'oggetto sia reso anche solo in parte inservibile. Dal fascicolo fotografico si evince senza ombra di dubbio che i danneggiamenti posti in essere dell'imputato appaiono di rilevante gravità. A pag. 20 si può notare l'assenza della porta bagno che, palesemente è stata rimossa con la forza, per la presenza di parti di muratura mancante. A pag. 9 si vede la sola presenza dei telai contenitivi del lavabo che, tuttavia, mancano.

Il reato di danneggiamento con violenza o minaccia alla persona può ritenersi sussistente allorquando l'azione violenta si consumi contestualmente alla minaccia alla persona. Con riferimento al caso in esame, il Gi. alla presenza degli operanti brandiva il materiale derivante dalla devastazione da lui posta in essere per allontanarli, minacciando di colpirli se solo si fossero avvicinati.

È evidente la sussistenza dell'elemento soggettivo consistente nel dolo generico ossia nella consapevolezza di realizzare azioni distruttive, data la tipologia, la quantità di danni arrecati, in quanto arredi e infissi presenti nel modulo, appaiono palesemente distrutti grazie anche al ricorso ad una forza fisica rilevante. Trattandosi di beni appartenenti ad una struttura pubblica, si ritiene altresì integrata l'aggravante di cui all'625 n. 7 c.p. che fa riferimento alle cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici che, mira a realizzare ima forma di tutela sugli stessi in ragione del legame sussistente con la struttura pubblica. Nel caso di specie, trattasi di beni allocati in una struttura pubblica e funzionali al corretto funzionamento della stessa.

Si ritiene altresì integrato anche il reato di cui all'art. 336 c.p. che punisce la condotta di chi con violenza o minaccia voglia costringere il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio a non adempiere ad un compito del proprio servizio od a commetterne uno diverso. In tema di rapporti tra fattispecie di reato, la Suprema corte ritiene che: "quando la violenza o la minaccia dell'agente nei confronti del pubblico ufficiale è posta in essere durante il compimento dell'atto d'ufficio, per impedirlo sì ha resistenza ai sensi dell'art. 337 cod. pen. mentre si versa nell'ipotesi di cui all'art. 336 cod. pen. è portata contro il pubblico ufficiale per costringerlo a omettere un atto del suo ufficio anteriormente all'inizio dell'esecuzione". (Sez. 6 Sent. 51961 del 02.10.2018). Invero, per il delitto di cui all'art. 336 c.p. l'efficacia intimidatoria della minaccia va valutata attraverso un giudizio ex ante da collocarsi quindi nel momento che precede l'esecuzione dell'attività del p.u. La minaccia, per essere idonea, deve prospettarsi come "potenzialmente costrittiva", non essendo necessario che la stessa sfoci in vere e proprie aggressioni fisiche, essendo sufficiente anche la coazione morale od anche indiretta. Nel caso di specie, la minaccia prospettata dal Gi. è apparsa assolutamente idonea a coartare le azioni degli operanti di p.g. che erano intervenuti per fermare le azioni violente del Gi. il quale, come emerge dalla deposizione del Ri. - coerente nella sostanza, al netto di alcune imprecisioni relative al corpo contundente utilizzato e al contenuto preciso delle parole dette dal Gi., circostanze che però non impediscono di comprendere chiaramente la portata minatoria del comportamento dell'imputato - aveva brandito i detriti derivanti dai danneggiamenti e aveva minacciato di colpire gli operanti se si fossero avvicinati a lui. Gli operanti, infatti, non hanno avvicinato il Gi., procedendo piuttosto per la via della diplomazia. La circostanza per cui l'imputato abbia poi deposto i materiali che brandiva in segno di minaccia, non vale ad escludere l'elemento soggettivo che per questo tipo di delitto si sostanzia nel dolo specifico, indipendentemente dal raggiungimento dello scopo finale.

Pertanto, le risultanze processuali impongono la pronuncia di una sentenza di condanna per entrambi i delitti contestati, i quali appaiono avvinti dal vincolo della continuazione sia interna per i tre comprovati episodi di danneggiamento, sia esterna perché realizzati nel medesimo arco temporale e in relazione al medesimo contesto spaziale. Venendo al trattamento sanzionatorio, vanno di certo riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche, posto che è ben nota alle cronache la condizione degli ospiti dei Centri di Rimpatrio, spesso sovraffollati e in cui i soggetti che ivi si trovano vivono in condizioni disagiate, che, se non possono portare all'assoluzione dai fatti di reato, quanto meno giustificano un'attenuazione della pena (basti pensare alle dimensioni ristrette dei moduli in cui gli ospiti dei CPR sono tenuti a convivere, talvolta per lunghi periodi, in condizioni di sovraffollamento).

Le circostanze attenuanti generiche vanno riconosciute equivalenti alla contestata recidiva, che va applicata in quanto il Gi. vanta precedenti anche specifici, ed i fatti per cui oggi è processo rappresentano dunque una continua ingravescenza dell'inclinazione criminale del reo.

Considerati dunque i criteri tutti dell'art. 133 c.p., considerato reato più grave quello di cui all'art. 336 c.p., si stima congruo applicare il minimo della pena, pari a mesi sei di reclusione, con l'aggiunta di mesi uno per ognuno dei tre episodi di danneggiamento posti in continuazione, per un totale di mesi nove di reclusione.

Non appare possibile concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, atteso che, oltre al fatto che l'imputato ha già usufruito del beneficio, questa A.G. non può addivenire ad un giudizio prognostico favorevole circa la condotta dell'imputato, avendo riguardo alle modalità con le quali si sono consumati i fatti di causa ma anche alla presenza di precedenti penali di medesima indole. Non sussiste, peraltro, incompatibilità tra la concessione delle attenuanti generiche e il diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, posto che si tratta di istituti orientati al raggiungimento di diverse finalità: il primo mira al ravvedimento del colpevole, il secondo attiene alla personalità dell'imputato. (Cfr. Cass. 18.02.2008 n. 6603, Cass. 23.09.2016 n. 39475). Si dispone ex art. 240 co. 1 c.p.p. confisca e distruzione di quanto in sequestro, in quanto cose che servirono a commettere il reato.

Infine, si giustifica il deposito delle motivazioni in giorni 60, per il carico di lavoro che grava particolarmente questo Tribunale.

P.Q.M.
Visti gli articoli 533, 535 c.p.p.

dichiara Gi.An. colpevole dei reati a lui ascritti e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, ritenuta la continuazione, lo condanna alla pena di mesi nove di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Confisca e distruzione di quanto in sequestro. Giorni 60 per il deposito della motivazione.

Così deciso in Potenza il 27 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 27 maggio 2024.

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