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Danneggiamento e particolare tenuità del fatto: il limite dell’abitualità del comportamento

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Corte appello Lecce, 16/02/2024, n.111

Inapplicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) in caso di comportamento abituale.
Il reato di danneggiamento ex art. 635, comma 2, c.p. non può beneficiare dell'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto qualora il comportamento dell'imputato risulti abituale. La condizione ostativa di abitualità ricorre in presenza di una pluralità di reati della stessa indole o di condotte reiterate, anche se i singoli episodi, valutati isolatamente, risultino di lieve entità.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
In data 12.02.2021 il Tribunale di Lecce condannava Al.Gi., previo riconoscimento della circostanza attenuante del vizio parziale di mente in misura equivalente alla contestata recidiva, alla pena di mesi sei di reclusione per il delitto di cui all'art. 635 co. 2 c.p., oltre al pagamento delle spese processuali. Disponeva, altresì, l'applicazione nei confronti dell'imputato della misura di sicurezza dell'assegnazione a una casa cura e custodia per la durata di mesi sei.

Dalle risultanze processuali emergeva che in data 16.12.2017 Al.Gi. distruggeva il lavandino e il water presenti presso la propria cella, a seguito del diniego di una stecca di sigarette richiesta dallo stesso all'addetto alla vigilanza ed osservazione della sezione.

Avverso la citata sentenza proponeva tempestiva impugnazione il difensore dell'imputato articolando i seguenti motivi:

- Assoluzione dell'imputato per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131 bis c.p.

Il difensore eccepisce l'assenza di pericolo alcuno, il danneggiamento di arredi di scarsissimo valore e la particolare condizione patologica dell'imputato.

- Concessione delle circostanze attenuanti generiche alla luce della particolare tenuità del danno e della situazione psicologica dell'Al.

- Riconoscimento della circostanza attenuante ex art. 89 c.p. con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante e contenimento della pena nel minimo edittale ai fini di un adeguamento al fatto.

L'appello è infondato e deve essere respinto per le ragioni di seguito indicate.

Lamenta, in prima istanza, la difesa la mancata applicazione dell'istituto disciplinato dall'art. 131 bis c.p. tenuto conto della lieve entità della condotta posta in essere dall'imputato.

Ritiene, al contrario, la Corte la non operatività nel caso di specie dell'art. 131 bis c.p. alla luce del disposto normativo secondo cui: "la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale".

Ai fini della esclusione della punibilità, pertanto, non è sufficiente la tenuità dell'offesa, ma occorre, come precisato nella relazione illustrativa del decreto legislativo n. 28 del 2015, che il reato oggetto del giudizio non si inserisca "in un rapporto di seriazione con uno o più altri episodi criminosi". L'indice-criterio della non abitualità del comportamento, che ha superato, sotto il profilo della ragionevolezza, il vaglio di compatibilità costituzionale del Giudice delle leggi con la sentenza n. 279 del 2017, è nozione diversa da quella di mera "occasionalità" del fatto e il terzo comma della richiamata disposizione individua tre ipotesi di comportamento abituale che sono state ritenute tassative dalle Sezioni Unite n. 13681 del 25.2.2016 Tushaj "anche in considerazione del fatto che il legislatore non fornisce una definizione positiva di comportamento non abituale a cui ricondurre ulteriori casi di comportamento abituale". In particolare, affinché la condotta possa essere qualificata come abituale e, quindi, ostativa all'applicazione della causa di esclusione della punibilità, occorre, secondo una sequenza lessicale tracciata dal legislatore con riferimento a tre diverse situazioni progressivamente elencate in via alternativa: a) che l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza; b) ovvero che siano stati commessi più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità; c) o, infine, che si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate. Il dato normativo, come affermato dalla Corte a sezioni Unite nella sentenza Tushaj, mira ad escludere dall'ambito della particolare tenuità del fatto i "comportamenti seriali"; il riferimento, poi, ai "reati" e non alle "condanne" comporta che la pluralità di reati è configurabile non solo in presenza di condanne irrevocabili, ma anche quando l'accertamento del reato non sia ancora definitivo o si tratti di reati da giudicare nel medesimo procedimento o, ancora, quando sia stata in precedenza riconosciuta la causa di esclusione della punibilità in esame. Mentre il primo dei tre parametri presi in considerazione dall'art, 131-bis, terzo comma, cit., ossia quello relativo alla dichiarazione di abitualità, professionalità e tendenza a delinquere, non solleva particolari problemi interpretativi, essendo già definito dal legislatore con le disposizioni di cui agli artt. 102,103,105,108 cod. pen., non altrettanto precisa appare la formulazione lessicale utilizzata per descrivere le altre due ipotesi che connotano in termini di abitualità il comportamento del reo, escludendo l'applicabilità della causa di non punibilità: l'aver commesso più reati della stessa indole o l'aver commesso reati aventi ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Con riferimento alla locuzione "più reati della stessa indole", la menzionata decisione, dopo aver precisato che "non si parla di condanne ma di reati", ha affermato che "il tenore letterale lascia intendere che l'abitualità si concretizza in presenza di una pluralità di illeciti della stessa indole (dunque almeno due) diversi da quello oggetto del procedimento nel quale si pone la questione dell'applicabilità dell'art. 131-bis" e che "i reati possono ben essere successivi a quello in esame", vertendosi in un ambito differente da quello della recidiva. Sotto tale profilo, inoltre, la Corte ha precisato che "la pluralità dei reati può concretarsi non solo in presenza di condanne irrevocabili, ma anche nel caso in cui gli illeciti si trovino al cospetto del giudice che, dunque, è in grado di valutarne l'esistenza; come ad esempio nel caso in cui il procedimento riguardi distinti reati della stessa indole, anche se tenui". La successiva locuzione "condotte abituali e reiterate" viene presa in esame dalle Sezioni Unite osservando che il legislatore fa riferimento ai reati "che presentano l'abitualità come tratto tipico" (ad es. i maltrattamenti in famiglia) ed ai reati "che presentano nel tipo condotte reiterate" (ad es., gli atti persecutori): in tali situazioni, infatti, "la serialità è un elemento della fattispecie ed è quindi sufficiente a - configurare l'abitualità che esclude l'applicazione della disciplina; senza che occorra verificare la presenza di distinti reati". Infine, con riguardo al concetto di "condotte plurime" la Corte, una volta escluso che tale locuzione possa essere ridotta ad una mera ripetizione di ciò che è stato denominato abituale o reiterato, ha affermato che "l'unica praticabile soluzione interpretativa è quella di ritenere che si sia fatto riferimento a fattispecie concrete nelle quali si sia in presenza di ripetute, distinte condotte implicate nello sviluppo degli accadimenti" (ad es., nel caso di un reato di lesioni colpose commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro e generato dalla mancata adozione di distinte misure di prevenzione). Dall'analisi del tenore letterale e del contenuto complessivo della disposizione in esame non è desumibile alcuna indicazione preclusiva di ordine temporale all'efficacia della condizione ostativa dell'abitualità del comportamento, con il logico corollario che il reato o i reati "precedenti" possono essere anche assai risalenti nel tempo rispetto a quello oggetto del giudizio. Come è stato precisato dalla successiva sentenza Sezioni unite n. 18891 del 27.1.2022 Ubaldi, la nozione di abitualità si riferisce ad una qualità che progressivamente si delinea e consolida nel tempo in conseguenza della realizzazione di plurime condotte omogenee, intesa come "disposizione acquisita con il costante e periodico ripetersi di determinati atti", e non può essere pertanto sovrapposta ad una situazione connotata dalla mera reiterazione di azioni. L'applicazione della causa di esclusione della punibilità deve ritenersi preclusa nelle sole ipotesi in cui il dato obiettivo della pluralità delle violazioni possa essere interpretato come espressivo di un carattere di serialità dei comportamenti. La nozione di reati della stessa indole, peraltro, fa riferimento a un duplice ambito di valutazione, sia oggettivo ("la natura dei fatti") che soggettivo ("i motivi che li determinarono"), da cui desumere la ricorrenza di quei "caratteri fondamentali comuni" che, ai sensi dell'art. 101 cod. pen., qualificano l'indole criminale di un soggetto. Tale categoria di reati, pertanto, si estende con un raggio d'azione più ampio rispetto a quello coperto dal medesimo disegno criminoso, includendovi anche i reati colposi (ontologicamente incompatibili con il reato continuato) e quelli commessi per effetto degli stessi impulsi o motivi a delinquere, ossia di quelle "singole causali" che, ai fini dell'accertamento della unicità del disegno criminoso, costituiscono, di contro, solo uno dei molteplici indici rivelatori che il giudice deve in concreto valorizzare nell'ambito di un'approfondita e generale verifica del caso (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, cit.). E si è anche affermato che non è automaticamente ravvisabile alcuna identità fra il reato continuato e l'abitualità, né alcuna sovrapposizione tra la continuazione e tutte quelle situazioni in cui sia riconoscibile una pluralità di reati della stessa indole, nel senso che la prima non necessariamente si compone dei secondi. E si è giunti alla conclusione che "La pluralità di reati unificati nel vincolo della continuazione non è di per sè ostativa alla configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto la quale può essere riconosciuta dal giudice all'esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta, che - salve le condizioni ostative tassativamente previste dall'art. 131-bis cod. pen. per escludere la particolare tenuità dell'offesa o per qualificare il comportamento come abituale - tenga conto di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall'entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall'intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti".

Nel caso in esame, invero, manca uno dei presupposti indefettibili per il riconoscimento dell'istituto, ossia la non abitualità del comportamento. Al.Gi., difatti, risulta gravato da numerosi precedenti specifici, avendo riportato plurime condanne per reati contro il patrimonio e, specificamente, anche numerose condanne proprio perii reato di danneggiamento (negli anni 2011, 2014, 2015 e 2016, 2017, 2018, 2019, 2020, 2021, 2022 e 2023). Il fatto per cui si procede, dunque, si inserisce in una pluralità di reati della stessa indole e non può assolutamente essere ritenuto non abituale.

Passando, poi, al trattamento sanzionatorio ritiene la Corte di dover disattendere le richieste difensive relative alla concessione delle circostanze attenuanti generiche e al riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 89 c.p. in regime di prevalenza sulla recidiva contestata.

La Corte, condividendo pienamente le argomentazioni addotte dal primo giudice, che in questa sede si ritengono integralmente richiamate, reputa non concedibili le circostanze attenuanti generiche, non essendo emersi elementi positivi in tal senso, né alcun segno di resipiscenza dell'imputato. Egli, invero, poneva in essere la condotta di danneggiamento per futili motivi, e cioè a seguito dell'impossibilità dell'addetto alla vigilanza, Ass. Capo De., di consegnargli un'intera stecca di sigarette nell'immediatezza, come preteso dall'Al., e a fronte, peraltro, del tentativo di consegna di tre pacchetti singoli che questi rifiutava.

Ancora, i numerosi precedenti penali sussistenti in capo all'imputato connotano una personalità fortemente pericolosa e dedita ad azioni criminose, risultando pertanto corretto il diniego delle circostanze generiche e proporzionato in relazione alla personalità dell'imputato il trattamento sanzionatorio.

Corretto appare anche il regime di equivalenza ravvisato dal primo giudice tra la circostanza attenuante di cui all'art. 89 c.p. e la recidiva contestata e correttamente ritenuta in sentenza, risultando la ricaduta nella commissione di altro delitto della stessa specie di quelli precedentemente commessi, espressione di una maggiore pericolosità sociale e di una radicata e forte abitudine a delinquere. Pur se affetto da un disturbo di personalità di tipo borderline che può avere ridotto le capacità di critica e di giudizio, si tratta di un dato che, scemando grandemente la capacità di volere e di controllo degli impulsi, in una valutazione comparativa rispetto al peso della aggravante della recidiva può, al più, essere posta sullo stesso piano, dando luogo ad un giudizio di equivalenza, come ritenuto dal giudice di primo grado, ma non può prevalere rispetto alla recidiva, a fronte del dato relativo al numero di precedenti condanne, oltre settanta, e al fatto che la gran parte sono per reati della stessa specie e sono stati commessi anche in epoca precedente assai prossima al reato per cui si procede, nonché alla considerazione che la circostanza aggravante della recidiva avrebbe dato luogo, ex art. 99 co. 4 c.p. ad un aumento di due terzi della pena base.

Congrua appare, in conclusione, la pena irrogata dal primo giudice, previo giudizio di equivalenza tra vizio parziale di mente e recidiva reiterata specifica e infraquinquennale, peraltro corrispondente al minimo edittale previsto dall'art. 635 c.p.

Per tali considerazioni l'impugnata sentenza va integralmente confermata, con condanna dell'imputato al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

Il complessivo carico di lavoro giustifica la riserva del deposito della motivazione nel termine di cui al dispositivo.

P.Q.M.
Letti gli artt. 605 e 592 c.p.p. conferma la sentenza del Tribunale di Lecce in data 12.2.2021 appellata da Al.Gi., che condanna al pagamento delle spese di questo grado di giudizio.

Termine di giorni 30 per il deposito della motivazione.

Così deciso in Lecce il 22 gennaio 2024.

Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2024.

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