Corte appello Napoli sez. III, 15/04/2024, (ud. 23/02/2024, dep. 15/04/2024), n.1943
Il reato di estorsione si configura quando, mediante minaccia di rivelazioni personali, l’agente coarta la libertà della vittima, costringendola a una dazione patrimoniale ingiusta. La sussistenza del reato si basa sull’idoneità della minaccia a coartare la volontà della vittima e sulla realizzazione di un profitto ingiusto con danno altrui (art. 629 c.p.). La tentata estorsione è configurabile qualora gli atti minacciosi siano idonei e diretti a costringere la vittima, ma l’esito non si verifichi per cause indipendenti dalla volontà dell’agente (art. 56 c.p.). Non rileva, ai fini della qualificazione giuridica, che la minaccia sia connotata da petulanza o insistenza ossessiva, purché diretta al conseguimento di un profitto illecito.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con sentenza emessa in data 27/11/20 il G.M. del Tribunale di S.M. Capua Vetere ha dichiarato Pi.Ma. responsabile dei reati indicati in epigrafe e, riconosciute le attenuanti generiche, unificate le condotte sotto il vincolo della continuazione, la ha condannata alla pena di anni tre mesi otto di reclusione ed euro 800 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
2. Avverso detta sentenza ha proposto appello il difensore dell'imputata ed ha chiesto:
l'assoluzione della propria assistita da entrambi i reati a lei ascritti perché il fatto non sussiste o perché non costituisce reato;
la derubricazione del reato sub capo B) in quello di molestie col mezzo del telefono ex art. 660 c.p.;
il riconoscimento, in relazione al reato sub A), della circostanza attenuante prevista dall'art. 62 n. 4 c.p.;
la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ex art. 603 c.p.p., mediante l'escussione dei testi Co.Gi. e Me.Pi.;
il riconoscimento delle attenuanti generiche, la riduzione della pena nel minimo edittale, la riduzione della frazione di pena in aumento per la continuazione, la concessione dei benefici di legge.
3. All'odierna udienza, celebratasi con trattazione orale su richiesta del difensore, all'esito della relazione del consigliere delegato, il Procuratore Generale ha chiesto la conferma della sentenza impugnata mentre l'appellante si è riportato ai motivi di gravame e ne ha chiesto l'integrale accoglimento.
4. All'esito della Camera di Consiglio, la Corte ritiene che i motivi di gravame siano infondati e che la sentenza impugnata debba essere confermata.
5. Deve preliminarmente esaminarsi la richiesta formulata dall'appellante di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mediante nuova escussione della persona offesa Co.Gi. e del teste Me.Pi.
Il difensore assume che le deposizioni del Co. e del Me. sarebbero "complessivamente caratterizzate da una evidente incertezza e reticenza argomentativa" che lascerebbe campo "a consistenti dubbi circa una ricostruzione precisa e dettagliata degli episodi contestati".
La richiesta non può essere accolta.
Nel giudizio d'appello la disposizione di cui all'art. 603 c.p.p. è fondata sulla presunzione di completezza dell'indagine probatoria di primo grado e subordina la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale da una parte alla condizione di una sua necessità che il legislatore qualifica come assoluta per sottolinearne l'oggettività e la insuperabilità con il ricorso agli ordinari espedienti processuali e, dall'altra, alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti, ovvero alla condizione che il giudice la percepisca e la valuti come un ostacolo all'accertamento della verità del caso concreto, insormontabile senza il ricorso alla rinnovazione totale o parziale dell'istruzione istruttoria {v. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 48093 del 10/10/2018 Ud., dep. 22/10/2018, Rv. 274230).
Nella fattispecie concreta in verifica, rileva la Corte che sia la persona offesa Co.Gi. che il teste Me.Pi. sono stati escussi in modo esaustivo nel corso del giudizio di primo grado, in ordine a tutti i profili rilevanti per la completa ricostruzione della vicenda processuale, sicché non sussiste la necessità di rinnovare detta attività istruttoria che si presenta completa ed idonea alla decisione.
6. Venendo al merito del gravame, con il primo e con il secondo motivo l'appellante chiede l'assoluzione della propria assistita dai reati a lei ascritti per insussistenza del fatto o perché lo stesso non costituisce reato. Il difensore afferma che le concrete modalità di svolgimento dei fatti, così come emergenti dalle dichiarazioni dei testi Co.Gi. e Me.Pi., non consentirebbero di configurare il delitto di estorsione sub capo A), con riferimento ad entrambi gli episodi del 09/10/18 e del 10/10/18.
Il primo si caratterizzerebbe per l'intervento del Me.Pi., un conoscente del Co.Gi., il quale, su richiesta della persona offesa, avrebbe acconsentito ad incontrare la Pi.Ma. per cercare di porre termine ai "petulanti atteggiamenti" della donna.
Tale intervento, prosegue l'appellante, si sarebbe realizzato attraverso un ambiguo tentativo di intermediazione e Me.Pi. avrebbe autonomamente assunto l'iniziativa di corrispondere una somma di denaro all'imputata, in assenza di una effettiva, chiara e specifica richiesta da parte di quest'ultima. L'incontro, stando alle dichiarazioni della Pi., si sarebbe svolto in un contesto molto equivoco il che Influirebbe negativamente sulla complessiva attendibilità della testimonianza di Me.Pi.
Lo stesso Co.Gi. avrebbe contribuito ad avvalorare le incertezze in ordine alla ricostruzione dell'episodio affermando che la corresponsione del denaro alla Pi. non era stata concordata con il Me. il quale avrebbe assunto tale iniziativa autonomamente.
Anche il secondo episodio, quello del 10/10/18, non sarebbe sussumibile nella fattispecie dell'estorsione, non essendovi prova di una dazione di denaro dell'importo di euro 50 in favore della Pi. e realizzandosi lo stesso "in un più generale quadro di incertezza e di incoerenze fattuali".
La prova documentale attestante le richieste economiche della Pi. coprirebbe richieste successive al 10/10/18.
Osserva il difensore che il reato contestato non sarebbe ravvisabile nè sotto il profilo oggettivo, per la insussistenza di un comportamento effettivamente volto a coartare la libertà di determinazione della vittima, né da un punto di vista probatorio, per difetto di prova documentale.
Quanto, poi, al reato sub capo B), l'appellante evidenzia che dall'istruttoria dibattimentale sarebbe emerso che l'imputata nutriva nei confronti del Co. un atteggiamento assillante, non riconducibile al paradigma normativo dell'estorsione;
ad un'attenta lettura degli atti di causa, le richieste economiche della Pi. nei confronti della persona offesa avrebbero assunto "un tono più marcatamente provocatorio", mai volto all'attuazione di finalità estorsive. Entrambi i motivi non hanno pregio.
In merito alla ricostruzione dei fatti la Corte ritiene in tutto condivisibile il completo percorso motivazionale della sentenza impugnata alla quale può quindi farsi correttamente rinvio.
Il primo giudice ha posto a fondamento della propria decisione, in primo luogo, la deposizione del denunciante Co.Gi.
Costui ha riferito che nel 2016 una sua conoscente lo mise in contatto con una donna disposta a concedersi sessualmente a pagamento in quanto si trovava in una condizione economica familiare precaria, a causa dello stato di disoccupazione del marito.
Fu così che il Co. conobbe la Pi.Ma. con la quale intraprese una relazione di tipo sessuale, con esclusione di qualsiasi coinvolgimento sentimentale, corrispondendole per ogni incontro la somma di 20 euro.
Dopo circa due anni, nel settembre - ottobre del 2018, l'imputata, venuta a conoscenza della buona condizione economica del Co., iniziò ad avanzare delle richieste economiche ulteriori rispetto alla retribuzione delle prestazioni sessuali, minacciando il denunciante che, in caso di suo rifiuto, ella avrebbe rivelato tutto a sua moglie.
Co.Gi. chiese allora ad un suo amico, Me.Pi., di parlare con la donna e quest'ultimo la incontrò il 09/10/18.
In quella circostanza Me. chiese alla Pi. cosa volesse per chiudere definitivamente il rapporto con il Co., si rese disponibile ad un regalo per conto di quest'ultimo e diede alla donna 150 euro, che poi la persona offesa gli restituì. Il giorno seguente la Pi. volle però incontrare Co.; quest'ultimo si recò all'appuntamento, nei pressi del cimitero di Santa Maria Capua Vetere, accompagnato dalla figlia della signora che gli aveva fatto conoscere l'imputata, nel frattempo deceduta, e diede alla Pi. altri 50 euro per permetterle di pagare una bolletta ma la prevenuta non fu soddisfatta ed andando via disse che in serata avrebbe chiamato la moglie del Co. per rivelarle tutto.
Nei giorni seguenti la Pi. contattò più volte Co.Gi. al quale chiese 5.000 euro per non rivelare alla moglie di quest'ultimo il loro rapporto clandestino ed a fronte di questa richiesta il Co. si decise infine a presentare la denuncia da cui ha tratto origine ii presente procedimento penale.
Con motivazione logicamente coerente e dunque condivisibile il giudice di prime cure ha ritenuto affidabile il contributo dichiarativo del Co.Gi., nel rispetto dei consolidati canoni interpretativi di validazione della testimonianza della persona offesa.
Il Co. non nutriva ragioni di astio nei confronti dell'imputata né aveva interesse a rendere nota la sua relazione con quest'ultima.
La denuncia fu presentata quando le pressioni della Pi. si fecero insostenibili arrivando la prevenuta a richiedere al Co. ben 5.000 per non rivelare la relazione alla moglie di quest'ultimo.
La persona offesa non si è neppure costituita parte civile nel processo. Le dichiarazioni del Co. sono precise, dettagliate e connotate, complessivamente, da una adeguata struttura narrativa, caratteri sintomatici di attendibilità oggettiva. Plurimi gli elementi di riscontro.
In primo luogo, la testimonianza di Me.Pi., il quale ha riferito di aver incontrato l'imputata su richiesta del suo amico Co. il quale gli aveva rappresentato di essere tormentato da una donna, con la quale aveva avuto rapporti sessuali, che lo chiamava anche 40 - 50 volte al giorno e gli chiedeva soldi. Me. si incontrò con la Pi. per cercare di porre termine a quella situazione e la donna gli disse che non stava lavorando ed aveva dei problemi; il teste le chiese allora se avesse bisogno di qualcosa e l'imputata rispose affermativamente ("sì, se mi puoi dare qualcosa"), al che Me. le diede 50 euro (v. verbale stenotipico dell'08/11/19, p. 6); non soddisfatta, l'imputata disse al suo interlocutore che doveva pagare il bollo dell'auto che era in scadenza e Me. le consegnò altri 100 euro ottenendo la contestuale promessa che per il futuro non avrebbe più contattato Co.Gi., impegno non mantenuto in quanto, come detto, la donna quello stesso giorno chiamò nuovamente il denunciante.
Ulteriore riscontro alle dichiarazioni della persona offesa è costituito dalle dichiarazioni di Re.Pa., moglie del Co., la quale ha riferito di essere stata contattata via Facebook da una donna, la quale le rivelò di intrattenere da quattro anni una relazione con suo marito.
Ancora, vengono in rilievo i messaggi, anche vocali, inviati dalla Pi. alla persona offesa il 10/10/18 ed il contenuto di una conversazione telefonica tra il Co. e l'imputata, registrata dal primo con il proprio telefono cellulare, riversata su supporto informatico e da questi consegnato ai Carabinieri, il tutto riportato integralmente alle pagg. da 4 a 9 della sentenza impugnata, nei quali esplicito è il riferimento a richieste di somme di denaro ed alla moglie del Co., Pa.: l'imputata minacciava il suo interlocutore lasciando chiaramente intendere che se entro lunedì quest'ultimo non avesse provveduto a soddisfare le sue richieste di denaro ella avrebbe riferito tutto a sua moglie ed alla fine quantificava la sua richiesta nella somma di 5.000 euro, come prezzo dei proprio silenzio. I rilievi dell'appellante non colgono nel segno.
Le dichiarazioni di Me.Pi. sono sufficientemente chiare, precise e puntuali. La consegna da parte del Me. dei 150 euro alla Pi.Ma. non costituì certo una libera iniziativa dell'amico del Co. bensì il tentativo di placare le pressioni divenute ormai intollerabili della prevenuta che minacciava di rivelare alla moglie del denunciante la relazione clandestina, tant'è che quest'ultima non si accontentò della prima dazione di 50 euro, da lei comunque sollecitata, ma si fece immediatamente consegnare altri 100 euro ed il giorno seguente altri 50 euro dallo stesso Co.
D'altra parte, le richieste della Pi. non si esaurirono ma proseguirono ancora con maggiore insistenza nei giorni successivi, fino a quando l'imputata non avanzò l'ultima esosa richiesta di 5.000 euro.
7. Con il terzo motivo di gravame l'appellante chiede la derubricazione del reato indicato al capo B) della rubrica in quello di molestie con l'uso del telefono, ex art. 660 c.p.
Ribadisce che l'atteggiamento della Pi.Ma. apparirebbe connotato da un'ossessiva petulanza, attraverso l'invio di messaggi al Co. con il quale di fatto aveva instaurato una relazione. Il motivo è infondato.
La qualificazione giuridica della condotta sub capo 2) è corretta in quanto la richiesta di somme di denaro come prezzo per il proprio impegno a non comunicare la relazione extraconiugale alla moglie del Co.Gi. integra evidentemente il delitto di tentata estorsione e non quello di molestie.
8. Con il quarto motivo di gravame il difensore chiede il riconoscimento della circostanza attenuante prevista dall'art. 62 n. 4 c.p.
Rileva l'appellante che ai fini dell'applicabilità delle circostanze del reato al delitto tentato si deve tener conto della loro compatibilità o meno rispetto alla fattispecie tentata, con esclusione, dunque, delle circostanze integrabili solo in ipotesi di consumazione effettiva.
Le uniche circostanze compatibili con il tentativo sarebbero quelle che si realizzano compiutamente nel medesimo contesto dell'azione tentata.
Per tali ragioni, la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c.p. sarebbe strutturalmente incompatibile con il delitto sub capo B) ma potrebbe essere riconosciuta in relazione ai reati sub capo A), alla luce di una valutazione complessiva dei fatti di causa che lascerebbe desumere una tenue entità sia del lucro effettivamente conseguito, che del danno materialmente arrecato alla vittima. Anche questo motivo non è meritevole di accoglimento.
Giova premettere che, nei reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità prevista dall'art. 62 n. 4 c.p. è applicabile anche al delitto tentato quando sia possibile desumere con certezza, dalle modalità del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato riportato al compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima {v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 28243 del 28/03/2013 Ud., dep. 28/06/2013, Rv. 255528; Sez. 5, Sentenza n. 2910 del 07/12/2023 Ud., dep. 23/01/2024, Rv. 285845). Tanto premesso, nella fattispecie concreta scrutinata la circostanza attenuante invocata dall'appellante non può essere in alcun modo riconosciuta in considerazione dell'entità non minimale delle somme di denaro effettivamente estorte dall'imputata e di quella da essa da ultimo richiesta ma non conseguita.
9. Con il sesto motivo di gravame l'appellante chiede il riconoscimento delle attenuanti generiche nella massima estensione e la riduzione della pena nel minimo edittale, con minimo aumento per la continuazione interna.
Evidenzia il difensore che la vicenda per cui è processo si inserisce in un miserevole contesto socioculturale, in cui la condotta dell'imputata, incensurata, si inquadrerebbe in una "criminalità del bisogno", con un minimo disvalore dell'azione. Il motivo non ha pregio.
Il primo giudice ha fissato la pena base per il reato consumato di cui al capo A) della rubrica nel minimo edittale ed ha già riconosciuto all'imputata le attenuanti generiche nella loro massima estensione.
L'aumento per la continuazione per il reato tentato sub B), pari a mesi quattro di reclusione ed euro 330 di multa, è particolarmente contenuto e comunque adeguato, nel rispetto dei parametri dell'art. 133 c.p., alla oggettiva gravità del reato satellite.
10. Sulla base di queste considerazioni la sentenza impugnata deve essere confermata e Pi.Ma. deve essere condannata al pagamento delle spese processuali relative al secondo grado di giudizio.
Il gravoso carico del ruolo giustifica la fissazione di un termine di giorni 60 per la redazione della motivazione della presente sentenza.
P.Q.M.
Letto l'art. 605 c.p.p., conferma la sentenza emessa dal GM del Tribunale di S.M. Capua Vetere in data 27/11/20 appellata da PI.MA. che condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Letto l'art. 544, comma 3, c.p.p., fissa in giorni 60 il termine per il deposito della motivazione.
IMPUTATA
A) Per il reato p. e p, dagli artt. Si cpv., 629 co. 1 c.p. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, anche in tempi diversi, mediante minaccia consistita nel prospettare a CO.Gi., con cui da alcuni anni aveva rapporti sessuali dietro il corrispettivo di euro: 20,00, che avrebbe riferito tutto alla moglie, lo costringeva a consegnarle diverse somme di denaro per un totale di euro 200,00, così procurandosi un ingiusto profitto con corrispondente danno per la vittima. In particolare, dopo avergli detto "ho scoperto che sei di Sant'Agata dei Goti tua moglie si chiama Pa., sei un grande imprenditore, mio marito non lavora sono in serie difficoltà economiche e mi devi dare qualcosa di soldi ogni settimana, altrimenti vengo al paese tuo e riferisco tutto a tua moglie costringeva CO.Gi. a consegnarle, tramite l'amico Me.Pi., la somma di euro 150,00 (episodio del 09.10.2018) e, dopo avergli detto "devi continuare a frequentarmi, mi devi dare i soldi perché tu li tieni, io mi sono informata su di te, so chi sei, mio marito non lavora e mi devi dare i soldi, altrimenti riferisco tutto a tua moglie alla quale ho inviato una richiesta di amicizia su facebook e so che si chiama Pa. costringeva il predetto a consegnarle la somma di euro 50,00 (episodio del 10.10.2018). In Santa Maria Capua Vetere, il 09.10.2018 ed il 10.10.2018.
B) Per il reato p. e p. dagli artt. 81 cpv, 56, 629 co. 1 c.p. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, anche in tempi diversi, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, compiva atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere CO.Gi., mediante scaccia consistita prospettargli tramite messaggi telefonici che avrebbe riferito alla moglie e nei rapporti intimi, a consegnargli delle somme di denaro, non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla sua volontà e, specificatamente, per il rifiuto opposto dalla vittima.
In Santa Maria Capua Vetere, dall'11.10.2018 al 17.10.2018.
Così deciso in Napoli il 23 febbraio 2024.
Depositata in Cancelleria il 15 aprile 2024.