Tribunale Napoli sez. VI, 23/05/2022, (ud. 24/02/2022, dep. 23/05/2022), n.1922
L'ipotesi delittuosa di sfruttamento della prostituzione aggravato dall'uso di violenza o minaccia si distingue dall'estorsione. Nel primo caso, la persona si prostituisce volontariamente e la coartazione è successiva, espropriandone i profitti. Nel caso di estorsione, invece, la violenza o minaccia precede e costringe la vittima a soggiacere contro la propria volontà.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto che dispone il giudizio emesso in data 25 ottobre 2018 dal Gup del Tribunale di Napoli, dr. Lu. de. Ra., ai sensi degli artt. 429 e ss. c.p.p., Fa. Ge. veniva citato in giudizio davanti al coll. C) dell'XI sez. penale per rispondere del reato a lui ascritto e dettagliatamente indicato in rubrica. Dopo alcuni rinvii determinati all'udienza del 24 dicembre 2018 - celebrata in assenza dell'imputato, detenuto per altra causa e rinunciante a comparire - per la irregolarità della notifica alla parte lesa Ru. Ga., il 25 marzo 2019 da una diversa composizione collegiale e dalla impossibilità per il dr. Ve. di trattare il processo perché impegnato nella celebrazione dell'udienza monocratica, ed il successivo 8 luglio dalla mancata traduzione dell'imputato, in data 11 novembre 2019 - preso atto della intervenuta modifica della misura cautelare della custodia in carcere applicata al Fa. con quella degli arresti domiciliari, ancora una volta rinunciante a comparire - in assenza di questioni preliminari, venivano ammesse le prove così come richieste dalle parti.
Escussa la parte lesa Ru. Ge., il Tribunale ammetteva ai sensi dell'art. 507 c.p.p., ritenendola assolutamente necessaria ai fine del decidere, la citazione dei testi Fa. Gi. e Ar. Sa. che non risultavano presenti il successivo 3 febbraio, allorquando il processo - accertata l'avvenuta scarcerazione dell'imputato - veniva rinviato anche per una eventuale astensione della dr.ssa Ro. Ta. che veniva poi formalizzata ed accolta dal Presidente Coordinatore del Tribunale di Napoli il 6-8 febbraio 2019, con successiva assegnazione del processo al coll. A) della VI sez. penale.
Dopo due differimenti di ufficio determinati dalla mancata celebrazione delle udienze del 9 marzo e dell'8 aprile 2020 per l'emergenza sanitaria da Covid 19, il successivo 2 luglio si dava atto del provvedimento con il quale veniva disposta la nuova assegnazione del processo ad altro collegio, con rinnovazione degli atti e dichiarazione di utilizzabilità di tutte le prove cosi come richieste dalle parti, ivi compresa l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 507 c.p.p.
Disposta la nuova citazione dei due testi, dopo un rinvio determinato il 22 ottobre 2020 dall'assenza degli stessi, il 21 gennaio 2021 - dopo la rinnovazione degli atti per un nuovo cambio della composizione del collegio, con dichiarazione di utilizzabilità di tutte le prove già raccolte e con conferma anche dell'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 507 c.p.p. - il processo veniva ancora una volta rinviato per l'assenza dei testi.
Escusso il Fa. Gi. il 25 marzo 2021, dopo due ulteriori rinvii determinati il 17 giugno ed il 30 settembre 2021 per l'assenza dell'Ar. Sa., del quale - in tale ultima - veniva disposto l'accompagnamento coattivo che non veniva eseguito neanche alla successiva udienza del 2 ottobre, allorquando veniva revocata la citazione dello stesso perché non reperito dalla p.g. in sede di notifica, il Tribunale dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale con l'indicazione di utilizzabilità di tutti gli atti contenuti nel fascicolo del Tribunale in quanto legittimamente acquisiti.
All'odierna udienza, quindi, le parti dopo la discussione, concludevano come dettagliatamente indicato in premessa ed il Tribunale, all'esito della deliberazione avvenuta in camera di consiglio, rendeva pubblica la presente sentenza con la lettura del dispositivo allegato al verbale di udienza.
Dall'analisi delle emergenze probatorie raccolte non può dirsi provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità dell'odierno imputato.
Prima di passare all'analisi - in fatto - delle emergenze probatorie raccolte, appare opportuno specificare in punto di diritto che in adesione ad un costante orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. Pen. sent. 11 aprile 1991 imp. Be., in Arch. nuova proc. pen. 1992, 622 e Cass. Pen. sent. 28 febbraio 1992, imp. Si. e più recentemente Cass. pen. sez. III sentenza 28 novembre 2002-23 gennaio 2003 n. 3162), quando sia difficile ottenere nel processo testimonianze dirette, per essersi i fatti svolti fuori della presenza altrui, il giudice può attingere la verità dalle dichiarazioni del soggetto passivo, il quale per legge riveste anche la qualità di testimone, anche se in questo caso maggiore deve essere lo scrupolo nella rigorosa valutazione delle dichiarazioni del teste, della costanza ed uniformità dell'accusa, delle circostanze e modalità dell'accaduto e di tutto quanto possa concorrere ad assicurare il controllo della attendibilità della sua testimonianza.
Risulta, pertanto, evidente che la deposizione della persona offesa dal reato, costituita o meno parte civile, pur non potendo quest'ultima essere equiparata - quanto al grado di attendibilità soggettiva - al testimone estraneo, potrebbe, in ipotesi, essere da sola assunta quale fonte di prova, ove, però, venga sottoposta ad una intensa ed approfondita indagine positiva sulla sua credibilità intrinseca, con riguardo alla coerenza e precisione, accompagnata da un controllo sulla credibilità soggettiva di chi l'ha resa.
Ed invero, "in tema di valutazione della prova, qualora si tratti della testimonianza della persona offesa, che ha sicuramente interesse verso l'esito del giudizio, è necessario vagliare le sue dichiarazioni con ogni opportuna cautela, cioè compiere un esame particolarmente penetrante e rigoroso attraverso una conferma di altri elementi probatori, talché essa può essere assunta, da sola, come fonte di prova, unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva." (cfr. Cass. pen. sez. II 23 giugno 1994 n. 7241, Ge.; Cass. pen. sez. V sentenza 16 febbraio - 28 aprile 2000 n. 5087, Pa.).
Ciò posto, passando ad esaminare nel dettaglio le emergenze probatorie raccolte, costituite innanzitutto dalle dichiarazioni rese nel corso del dibattimento dalla parte lesa Ru. Ga., va sottolineato che lo stesso - che non si è costituito parte civile nel presente processo - ha riferito di aver conosciuto Fa. Ge., un transessuale meglio conosciuto con il nome Ma., nell'anno (omissis) perché lo stesso aveva cominciato a frequentare Piazza (omissis) per prostituirsi, ove aveva già lavorato in precedenza, chiedendo sia a lui, che ad un altro trans che si chiamava "Sa.", una somma di danaro di cinquanta Euro a sera - su un guadagno complessivo di circa 80-120 Euro al giorno - per occupare quella postazione ove lui - a suo dire - aveva già lavorato in precedenza, minacciando di aggredirli perché aveva bisogno di soldi per comprare la droga di cui faceva frequentemente ("Cioè le diceva 'Se non me li dai ti sfregio con una bottiglia? Sì, sì. Proprio esplicitamente in questo senso? Sì. È mai capitato che ha rotto una bottiglia...? Sì", cfr. folio 7 del verb. dib. dell'11 novembre 2019).
Sul punto il Ru. ha specificato che il Fa., ben consapevole del fatto che proprio per questo si era venuto a trovare in difficoltà economiche, era solito invitarlo a mangiare a casa del padre Fa. Gi., che abitava a Via (omissis), proprio nel periodo (omissis), sottolineando anche che nel (omissis), lo aveva notato solo di vista perché aveva una macchina ed andava in giro nella zona facendosi "i fatti suoi" (cfr. folio 9 del verb. dib. dell'11 novembre 2019).
Solo nel (omissis) aveva trovato il coraggio di denunciarlo, supportata dall'Ar. Sa., superando quelle difficoltà che aveva incontrato fino a quel momento, che gli avevano impedito anche di cambiare zona per l'esercizio della sua attività di meretricio, nella consapevolezza che i suoi clienti l'avrebbero cercata sempre a Piazza (omissis), motivo per il quale sarebbe stato ancor più difficile allontanarsi.
A domanda della difesa, il Ru. ha chiarito ancora che, poiché pagava regolarmente, non aveva poi avuto alcuna paura a frequentare il Ru., al quale aveva cominciato a dare i soldi per abitudine perché ne aveva bisogno ("Solo una cosa volevo capire, lei prima ha detto che le minacce sono andate avanti fino all'epoca della denuncia, quindi, nel periodo in cui lei frequentava casa Fa. continuava ad essere minacciata? Sempre uguale. No minacciata, ormai era diventata un'abitudine poi... che io glieli davo...non mi minacciava più perché oramai era diventata... come un obbligo. Non c'era più niente da litigare" cfr. folio 18 del verb. dib. dell'11 novembre 2019), chiarendo poi che dopo la presentazione della denuncia il Fa. aveva anche smesso di minacciarla ("Cioè ha smesso di chiedere soldi dopo la denuncia? Sì. Però diceva "Te la faccio pagare perché mi hai denunciato", cfr. folio 21 del verb. dib. dell'11 novembre 2019).
Alla luce dei principi di diritto sopra evidenziati, va chiarito che le generiche dichiarazioni rese dal Ru., invero anche un po' contraddittorie in ordine ai tempi, ai modi ed alle motivazioni delle richieste di denaro avanzate dal Fa. Ge. - alle quale sembra si fossero affiancate anche altre richieste provenienti da soggetti diversi, sempre gravitanti in quell'ambiente - non solo non sono state riscontrate da elementi esterni, ma anzi risultano contraddette non solo dalle dichiarazioni rese dal Fa. Gi. - padre dell'odierno imputato, che ha ammesso la frequentazione del figlio con il Ru. Ga. in tutto il periodo nel quale minacciava costantemente il Fa. Ge. e, in tutto quel periodo, a volte aveva anche dormito a casa sua - ma anche e soprattutto da quanto evidenziato nella sentenza emessa dalla IV sez. penale del Tribunale di Napoli in data 23 marzo 2017, con la quale veniva assolto Al. Gi., imputato di rapina ai danni dell'odierna parte lesa, che in sede dibattimentale aveva poi smentito il contenuto della denuncia da lui stesso presentata (cfr. sentenza acquisita agli atti).
Alla luce di quanto fin qui evidenziato l'odierno imputato deve essere mandato assolto dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste.
Appena aggiungendo che se le accuse mosse dal Ru. fossero state provate, l'ipotesi delittuosa nella quale inquadrare tali fatti, sarebbe stata sicuramente quella dell'estorsione e non lo sfruttamento della prostituzione.
Ed invero, per la Suprema Corte in tema di sfruttamento della prostituzione, ha oramai costantemente evidenziato che l'ipotesi aggravata dall'uso della violenza o della minaccia differisce dalla fattispecie di estorsione in quanto, nel primo caso, il soggetto sfruttato, e sul quale vengono applicate la violenza o la minaccia, sceglie comunque volontariamente di esercitare il meretricio e la coartazione è subita successivamente mediante l'espropriazione dei profitti, mentre nel secondo caso la violenza o la minaccia sono anteriori e dirette a costringere la persona che si prostituisce a soggiacere, contro la propria volontà, allo sfruttamento e lo sfruttatore consegue, con danno del soggetto sfruttato, un ingiusto profitto patrimoniale (cfr. Cass. sez. II, sent. n. 6297 del 10 giugno 2016, dep. il successivo 10 febbraio 2017, con la cui motivazione la S.C. ha ritenuto corretta la qualificazione quale estorsione della condotta degli imputati consistente nell'imporre alle prostitute, quale condizione per la prosecuzione dell'attività di meretricio, una tangente, pari ad un prelievo settimanale, per l'occupazione del sito ove detta attività veniva esercitata).
Il carico di lavoro consiglia, ai sensi dell'art. 544 comma III c.p.p., l'indicazione del termine di giorni novanta per il deposito delle motivazioni.
P.Q.M.
Letto l'art. 530 comma 2 c.p.p. assolve FA. GE. dal delitto a lui ascritto perché il fatto non sussiste.
Letto l'art. 544 comma 3 c.p.p. indica il termine di giorni novanta per il deposito delle motivazioni.
Così deciso in Napoli, il 24 febbraio 2022
Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2022