Tribunale Napoli sez. uff. indagini prel., 16/12/2009, (ud. 17/11/2009, dep. 16/12/2009), n.2640
La tentata estorsione aggravata dall'art. 7 L. 203/91 sussiste anche in presenza di una minaccia implicita o indiretta, purché idonea a incutere timore e coartare la volontà del soggetto passivo. L'aggravante si configura anche in assenza di appartenenza effettiva a un'associazione mafiosa, se la condotta richiama l'efficacia intimidatoria di sodalizi criminali.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A seguito di richiesta di rinvio a giudizio, veniva celebrata, in data 25.9.09, l'udienza preliminare nei confronti dell'attuale imputato, sottoposto nell'ambito del presente procedimento, alla misura della custodia cautelare in carcere.
In via preliminare, la difesa, alla presenza dell'imputato, ritualmente tradotto in udienza, chiedeva procedersi con le forme e i modi del rito abbreviato.
Dopo avere formalmente ammesso il rito speciale prescelto dalle parti interessate, il Giudice rinviava per la sola discussione all'udienza successiva del 17.1 1.09.
Nel corso della stessa, il giudice dava la parola alle parti che concludevano come da richieste rassegnate al relativo verbale di udienza.
A seguito della requisitoria del P.M. e degli interventi conclusivi della difesa, la scrivente si riservava per deliberare la sentenza che veniva resa pubblica mediante lettura al termine della camera di consiglio.
Dalla complessiva disamina delle emergenze dibattimentali deve ragionevolmente pervenirsi ad un verdetto di condanna nei confronti dell'odierno imputato, in relazione al reato a lui ascritto in questa sede, segnatamente di tentata estorsione aggravata, in ciò ritenendosi correttamente configurata la contestata aggravante speciale di cui all'art.7 della L.203/91.
I fatti storici sono di agevole esemplificazione, ragione questa che suggerisce una particolare concisione narrativa.
Nell'arco temporale ricompreso tra l'8/5/09 e il 12/5/09, T.C. M.R., rispettivamente nella qualità di dipendenti dell'impresa Gruppo TI spa di Casandrino raccontavano, con versioni dal contenuto narrativo perfettamente speculare, che erano stati destinatari di una peculiare richiesta di potere interloquire direttamente con l'amministratore della società, tale T.A.. Del pari quest'ultimo,confermava le "visite" fatte alò cantiere dall'anonimo avventore.
In particolare, l'estorsore, recatosi in cantiere, si sarebbe inequivocabiimente ed espressamente presentato a nome del "clan Verde" in ciò chiedendo, del pari ingiustificatamente, una somma di denaro, non meglio quantificata, atteso che all'esito di due "visite" a null'altro finalizzate se non all'ottenimento della tangente estorsiva, il piano criminale avuto di mira dall'imputato veniva sventato fortunatamente dal pronto intervento dei militari operanti, all'uopo preventivamente investiti della puntuale denuncia della p.o..
Alla denuncia, si badi, improntata ad un carattere di assoluta linearità, coerenza e attendibilità, si è aggiunta, ad ulteriore riscontro indiziario, la positiva individuazione dell'imputato come l'autore della patita tentata estorsione.
D'altra parte, dagli atti investigativi, si apprende pure che sia il dato, centrale, nell'economia descrittiva della vicenda, delle visite operate dall'imputato presso il cantiere, non giustificate da alcuna finalità alternativa a quella accusatoria sin qui delineata, sia, e ciò è dirimente per la decisione nel merito della colpevolezza, la richiesta, giova ribadirlo, completamente avulsa da una possibile causale, della richiesta di soldi ai dipendenti dell'impresa "Gruppo TI" spa, sono stati sostanzialmente riconosciuti dall'imputato. Quest'ultimo, invero, sin nell'immediatezza, ossia in sede di udienza di convalida che successivamente, ha ribadito di avere chiesto dei soldi, perché in personale crisi di astinenza da cocaina, di non avere mai "speso" o altrimenti evocato il nome del locale clan Verde, ma di essersi limitato a farsi promotore di una sorta di colletta per fronteggiare le spese di una festa nel paese (cfr. sul punto, le dichiarazioni dell'imputato in sede di udienza).
Tanto premesso, non pare dubitabiie, in omaggio a principi di logica comune e di diritto, che il D.G. si sia reso autore di un tipico agire estorsivo, arrestatosi entro la soglia del tentativo punibile.
Per esemplificare: - la completa assenza di rappresentazione, da parte dell'imputato, del motivo cogente, nonché di una verosimile finalità ultima a cui destinare una richiesta di denaro (cfr. il riferimento al locale clan, lungi dal rappresentare una distorta suggestione da parte dei destinatari della richiesta, vale unicamente ed opportunisticamente ad imprimere una carica di più efficace intimidazione all'agire estorsivo); - il fatto che siffatte richieste siano state rivolte a persone, per giunta imprenditori, del tutto estranei, cioè avulsi, da una cerchia, sia pure indiretta, di amici e conoscenti (situazione, questa, astrattamente idonea a giustificare un "appello" ad un senso di amicale solidarietà per il festeggiamento goliardico di cui ha parlato l'imputato) - il dato inerente una personalità pericolosa, quella dell'agente, gravato da precedenti condanne passate in giudicato, verosimilmente collegate allo status di conclamato assuntore di stupefacenti, - le modalità dell'azione che consistono nell'avere opportunisticamente accompagnato la richiesta di soldi alla "strategica" spendita di un cognome che rimanda al clan operante nella zona, e, di qui, in base al notorio sociale e giudiziario del contesto in cui ha agito l'imputato, a sodalizi e personaggi in "odore" di camorra (cfr. la relativa ordinanza cautelare agli atti del processo) - le condizioni di tempo e di luogo in cui si colloca l'"immotivata" richiesta di soldi: insistendo l'indagato affinchè gli imprenditori partecipassero "pro quota" a festeggiamenti relativi una non meglio precisata festa da ballo - non da ultimo, l'ambiente e il tessuto sociale, in cui agisce il prevenuto, caratterizzato dalla presenza, ramificata ed efferata, di fenomeni di criminalità organizzata, la cui attiva operatività è prevalentemente garantita da pressanti e sistematiche richieste estorsive ai danni di commercianti ed imprenditori.
A bene vedere, si tratta di situazioni queste, sin qui solo tratteggiate, e che di seguito saranno compiutamente analizzate, valide, a parere della scrivente, a convincere l'agente a soggiacere, alla perentoria richiesta altrui, sebbene la stessa adombrasse un indiscutibile carattere di pregiudizio al personale patrimonio.
Entrando nel vivo del procedimento in esame, occorre rilevare che il nucleo centrale, e scaturigine della stessa, è rappresentato dalla denuncia delle rispettive persone offese, dei due episodi datati 8/5 e 12/5/09, data quest'ultima nel corso della quale, l'imputato dopo avere ribadito la richiesta di soldi del giorno prima, tentata invano di ingaggiare una fuga, essendo nel frattempo intervenuti i militari, sulla scorta degli elementi fattuali appresi in denuncia (cfr. al riguardo, le denunce di T.C. e M.R. del 12/5/09) .
Ebbene, è giudizio della scrivente che, nell'ipotesi di specie, ricevendo le due denunce delle parti lese, multipli e convergenti riscontri, oltre che una puntuale individuazione di persona, effettuata nell'immediatezza e nella flagranza del fatto-reato, (in uno al giudizio di assoluta inverosimiglianza della versione a discolpa resa dall'imputato) il vaglio circa il giudizio complessivo di affidabilità appare, invero, una mera esercitazione dogmatica.
Vale, in ogni caso, la pena rammentare che, per insegnamento costante della giurisprudenza di legittimità, è noto che, nella testimonianza della persona offesa occorre rinvenire un carattere di necessaria e perdurante linearità, logica e coerenza intrinseca ed estrinseca posto che, in tal caso, l'assunto accusatorio, trasfuso in un giudizio penale, proviene da un soggetto che, sebbene rivesta la formale qualifica di teste, è pur sempre collettore di un interesse, quello volto a dimostrare la fondatezza di un'accusa nei confronti di un soggetto, che non sempre appare completamente neutrale ed equidistante rispetto alle ragioni di fondo del processo.
In premessa non può sfuggire che in giudizi come quello che esige la disamina in esame, l'affermazione di colpevolezza si fonda principalmente sulla testimonianza della persona offesa.
Ebbene, alla luce di tale considerazione questo giudice ritiene, senza ombra di dubbi, di potere attribuire i caratteri di una serena attendibilità alla testimonianza resa dalla persona offesa, e le ragioni sottese a tale vaglio positivo, a breve, sono state esaminate.
Ed invero ricostruito il fatto secondo la versione offerta dal teste principale, occorre brevemente ricordare come la prova testimoniale sia da ascriversi - nella classificazione tradizionale - nell'ambito della prova rappresentativa, in quanto il risultato di prova "si fa presente", a differenza di quanto accade per la prova critica, nella quale il fatto accertato è diverso da quello direttamente oggetto del giudizio, dovendo giungere a tale ultimo risultato a mezzo di un'operazione di mediazione intellettuale.
Se non è sempre vero che la testimonianza possa ritenersi immune dalla necessità di una mediazione intellettuale (ciò che conta è invero l'oggetto della stessa, che può anche non essere identico al thema probandum, ma collaterale e quindi solo idoneo a costituire un "punto di partenza" del ragionamento inferenziale), nel caso in esame nessuna operazione induttiva dovrebbe compiere il giudice, poichè la teste principale, in quanto persona offesa dal reato, è anche colei che ha vissuto direttamente il fatto contestato.
E dunque, la valutazione che deve effettuare la scrivente attiene, per lo più ed in via preliminare, alla verifica dell'attendibilità intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni rese.
Sul punto, la giurisprudenza ha, ormai, consolidato l'orientamento che richiede una valutazione effettuata con spirito critico e con prudente apprezzamento, in ragione della scelta compiuta dal legislatore che ha inteso irrinunciabile il contributo probatorio, nell'ottica della ricerca della verità processuale, della persona offesa.
D'altro canto, la Suprema Corte ha sviluppato tale principio ritenendo che in concreto il giudice, nel fondare il giudizio di responsabilità dell'imputato, se può richiamarsi, in modo sufficiente ai fini della motivazione, alle sole dichiarazioni della persona offesa, pur nell'ipotesi in cui si sia costituita parte civile, deve anche verificare l'attendibilità sostanziale della deposizione (Cass., 11-01-1988, S., Riv. pen., 1989, 203 ) richiedendosi comunque che la stessa sia sottoposta ad una disamina, che dimostri la coerenza della deposizione, oltre che la rispondenza della stessa alle circostanze soggettive ed oggettive emergenti degli atti del procedimento (Cass., 30-09-1985, C., Giust. pen., 1986, 111, 539 ; Cass. 4.3.1994, n. 2732; Cass. 23.6.1994, 7241); ed ancora, il giudice non è esentato dal compiere un esame sull'attendibilità intrinseca del dichiarante, che deve essere particolarmente rigoroso quando siano carenti dati obiettivi emergenti dagli atti a conforto dell'assunto della persona offesa.
E dunque, nel caso di specie, occorre evidenziare che - le persone offese hanno ricevuto conferma, per ciascuno dei due episodi narrati agli inquirenti, dalla sorpresa in piena flagranza dell'imputato sul teatro dei fatti, - l'assenza recisa, a monte, di una trama di malanimi o dissapori dai quali inferire un intento calunnioso, posto che non vi è, neanche, un rapporto di lontana conoscenza tra l'imputato e le pp.oo.; - la coerenza e linearità del racconto dei denuncianti, in uno alla bontà dell'individuazione del reo operata nell'immediatezza dei fatti, -infine, e non da ultimo, il rischio personale ed elevatissimo, come comprovato dalla comune esperienza, di esporre la propria persona, nonché il locale, a possibili e inevitabili ritorsioni, a fronte di una tale coraggiosa denuncia.
Fatta tale premessa in ordine al giudizio necessariamente attendibile che connota la deposizione dei denuncianti, vale la pena, brevemente, soffermarsi, sull'elemento, per così dire, "fulcro" degli episodi estorsivi in esame, rappresentati dalla paventata prospettazione di un tipo di minaccia larvata, ovvero indiretta.
Sul punto, va ricordato che l'attenzione dottrinale e giurisprudenziale si è orientata, soprattutto, nei confronti della minaccia, la modalità statisticamente prevalente nelle condotte integratrici l'elemento materiale.
In proposito, si può ritenere consolidato l'orientamento della Cassazione, e della prevalente dottrina, in base al quale, in una considerazione di sintesi del delitto complesso di estorsione, la minaccia non richiede necessariamente che la coartazione avvenga mediante la rappresentazione di un danno irreparabile alle persone o alle cose tale da non lasciare al soggetto passivo alcuna libertà di scelta, essendo sufficiente la prospettazione di un male che, in base alle modalità e alle circostanze che la accompagnano, sia tale da fare sorgere nella vittima il timore di un concreto pregiudizio.
La minaccia integrante il delitto di estorsione si ritiene sussistente tutte le volti in cui, avuto riguardo alla personalità sopraffattrice dell'agente, alle circostanze ambientali, oltre all'ingiustizia della pretesa e alle particolari condizioni della vittima, questa di fronte all'ingiusta richiesta dell'agente, venga ragionevolmente a trovarsi nella condizione di doverne subire la volontà, per evitare, in caso di mancata adesione, il paventato verificarsi di un più grave pregiudizio (cfr. ex plurimis. Cass. 5/3/2002, C. pen. 021221696 - Cass. 13.2.95, C. pen. 96,498; Cass.26.1.99, C. pen. 99/214396
In conclusione, il costante orientamento della Corte Suprema reputa indifferente forma e modo della minaccia, che può essere diretta o indiretta, esplicita o larvata, reale o figurata, determinata o indeterminata.
Sul punto, si richiama l'indirizzo conforme della giurisprudenza della Suprema Corte, la quale ha stabilito che la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere palese, esplicita e determinata può essere manifestata in modi e forme differenti, ovvero in maniera implicita, lawata, indiretta e indeterminata, essendo solo necessario che sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui questa opera (così, Cass. Sez. III, 19 maggio 2001, n. 20382). Parimenti, il giudice di legittimità ha precisato quanto segue: "in tema di estorsione, ai fini della configurabilità del reato sono indifferenti la forma o il modo della minaccia, potendo questa essere manifesta o implicita, palese o lawata, diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determinata o indeterminata, purché comunque idonea, in relazione alle circostanze concrete, a incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo. La connotazione di una condotta come minacciosa e la sua idoneità ad integrare l'elemento strutturale del delitto di estorsione vanno valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, quali la personalità sopraffattrice dell'agente, le circostanze ambientali in cui lo stesso opera, l'ingiustizia della pretesa, le particolari condizioni soggettive della vittima, vista come persona di normale impressionabilità, a nulla rilevando che si verifichi una effettiva intimidazione nel soggetto passivo (così, Cass. Sez. VI, 12 marzo 1999, n. 3298).
È evidente, a giudizio della scrivente, che, in un contesto territoriale ad alta densità di criminalità organizzata, particolarmente fiorente proprio nell'ambito delle estorsioni a commercianti e/o imprenditori, agire nei termini, che qui di seguito si descrivono, non può non adombrare una peculiare valenza estorsiva. Ai fini, inoltre, della circostanza aggravante ad effetto speciale, è parere di questo Gip, che la spendita del locale clan "Verde", "ad arte" utilizzato dall'imputato nell'esigere la somma di denaro, rappresentano un opportunistico stratagemma per convincere l'intimo volere della p.o., coartandone la libertà di scelta.
Si tratta, in sostanza, di un canovaccio espressivo e comportamentale, ispirato direttamente alla cd. metodologia mafiosa, e che appare idonea ad evocare una "rodata" foggia estorsiva, in modo da ottenere una pretesa di soldi che non riviene, altrimenti, alcuna valida e logica giustificazione causale.
Se è vero, infatti, che l'aggravante in esame prescinde dall'appartenenza effettiva ad un'associazione di tipo mafioso, e prescinde perfino dalla reale esistenza del sodalizio di cui si usi il nome, occorre, come plasticamente delineato nel caso di specie, che la minaccia insita nella richiesta ingiustificata evochi una forza organizzata e minacciosa, oltre che radicata nel territorio, e che sia idonea ad incutere uno straordinario timore, agevolando, in tal guisa, l'ottenimento del profitto illecito.
Acclarata, dunque, la penale responsabilità dell'imputato, in punto di determinazione della pena da infliggere, valutati tutti i criteri di cui all'art. 133 cp, configurata, come detto, la contestata aggravante ad effetto speciale, negate le circostanze attenuanti generiche, in ragione dell'ostativo curriculum negativo del prevenuto costellato da specifici gravi e molteplici precedenti, operata, infine, la riduzione per la scelta del rito, lo condanna alla pena di anni due, mesi otto di reclusione e 600,00 euro di multa (pena così determinata: pena base computata sull'artt. 629, 56 cp, anni tre di reclusione e 600 euro di multa, aumentata per l'aggravante speciale alla pena di anni quattro di reclusione e 900,00 euro di multa, ridotta a quella inflitta per la diminuente del rito), oltre al pagamento delle spese processuali e a quelle di custodia cautelare.
Si dichiara, ope legis, l'imputato interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Giorni 30 per il deposito della motivazione.
P.Q.M.
Visti gli art. 438, 533 e ss. cpp dichiara l'imputato responsabile del reato ascrittogli, e operata la riduzione per la scelta del rito, lo condanna alla pena di anni due, mesi otto di reclusione e 600,00 ero di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e a quelle di custodia cautelare.
Dichiara l'imputato interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Giorni 30 per il deposito della motivazione.
Napoli, 17.11.09