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Violenza privata e non estorsione: differenze nella coercizione per sottrazione di beni (Giudice Francesco Pellecchia)

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Tribunale Napoli sez. I, 01/10/2018, (ud. 01/10/2018, dep. 01/10/2018), n.10777

La condotta consistente nel coartare una persona a tollerare la sottrazione di un bene mediante minacce o aggressioni fisiche integra il reato di violenza privata (art. 610 c.p.) e non quello di estorsione (art. 629 c.p.), qualora il comportamento sia finalizzato a impedire reazioni o richieste di restituzione, senza perseguire un ingiusto profitto. La violenza o minaccia deve essere idonea a comprimere significativamente la libertà della vittima.

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La sentenza integrale

MOTIVAZIONE CONTESTUALE
Con decreto in data 28.5.2012 il G.I.P. in sede disponeva il giudizio, dinanzi al Tribunale in composizione monocratica, di E.M.E.M., affinché costui rispondesse dei reati in rubrica ascrittigli.

Pertanto, all'udienza dibattimentale in data 11.11.2013, dichiarata l'apertura del dibattimento con contestuale lettura del capo d'imputazione, le parti articolavano le rispettive richieste probatorie, in ordine alle quali questo Giudice, ai sensi degli artt. 493 co. 3° - 495 C.P.P., provvedeva come da verbale versato in atti.

Si acquisiva pertanto, su consenso delle parti stesse, la documentazione offerta dal P.K., dopo di che -all'udienza del 4.5.2015- si acquisiva consensualmente pure il verbale celle dichiarazioni rese dal teste H.H.

All'esito, dichiarata la chiusura dell'istruttoria dibattimentale nonché l'utilizzabilità degli atti ex art. 511 C.P.P., esse parti, all'udienza odierna, rispettivamente concludevano come da verbale di causa.

Ritiene questo Giudice che le emergenze processuali convergano verso la dichiarazione di penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati contestatigli -ancorché diversamente qualificato, come si vedrà in seguito- quello ex art. 629 C.P..

Ed invero, dalla denunzia-querela confluita in atti -per come questa riprodotta nell'allegata comunicazione di notizia di reato- appare emergere che l'imputato stesso, dopo essersi impossessato d'un anello esibitogli in visione dalla parte lesa, coartava quest'ultima a non pretendere più la restituzione dell'oggetto, prospettandole che in caso contrario gli avrebbe tagliato la faccia con una lametta da barba; sul punto, il prevenuto non mancò di specificare che, qualora invece la parte lesa avesse acconsentito all'impossessamento, egli avrebbe giustificato ciò come il corrispettivo della cessione di pacchetti di sigarette. Ancora nell'ambito del descritto contesto, E.M.E.M. avrebbe, gualche giorno dopo, aggredito il R.K. -vale a dire la persona offesa in questione- nel mentre costui era in attesa della doccia, colpendolo al viso con una testata e cagionandogli lesioni personali.

In specie, gli episodi narrati sarebbero avvenuti fra la fine di aprile e l'inizio di maggio dei 2011, allorquando i predetti erano entrambi ristretti presso il carcere di Napoli-Secondigliano.

E, sul punto, gli accertamenti compiuti dalla Direzione Carceraria consentirono di appurare che:

- nel periodo di interesse i due fruito congiuntamente del cd. "passeggio";

- mentre il R. era detenuto in cella da solo, l'imputato aveva per converso diviso la cella con tale H.H.;

- tanto il prevenuto quanto il denunziante avevano effettivamente subito le rispettive lievi lesioni attestate dall'allegata refertazione sanitaria (vds.);

- nella cella occupata da E.M.E.M. veniva effettivamente rinvenuto l'anello in questione.

A ciò si aggiunga che il succitato H.H. veniva anch'esso sentito dall'Autorità carceraria sull'episodio, e nella circostanza egli rendeva dichiarazione sostanzialmente sovrapponibili al tenore della denunzia-querela Sporta dal R. (cfr.).

Orbene, le suesposte emergenze risultano appieno idonee, come si diceva, non soltanto a configurare i reati oggi ascritti al prevenuto -sebbene, per quanto attiene all'imputazione ex art. 629 C.P.- debba procedersi a riqualificazione di essa- per quanto anche la loro piena riconducibilità al medesimo.

Ed invero, le articolate e sufficientemente dettagliate allegazioni della parte offesa dà contezza di come il prevenuto, una volta impossessatosi ingiustificatamente dell'anello appartenente al R., abbia posto in essere condotta finalizzata ad impedirgli qualsivoglia attività a sua volta tesa alla restituzione di esso: tale condotta, nella specie, ebbe a concretizzarsi nella prospettazione di cagionargli lesioni con una lametta da barba, nonché nella fisica aggressione realizzata pochi giorni dopo.

Peraltro, siffatta ricostruzione risulta avvalorata anche dallo H. il quale è, del resto, soggetto del tutto terzo rispetto alla vicenda, e per ciò stesso conseguentemente munito di innegabile attendibilità.

La condotta di coercizione dell'E.M.E.M. pertanto, si ribadisce, deve ritenersi sufficientemente comprovata.

Ma, di contro, essa non appare riconducibile alla contestata fattispecie ex art. 629 cit., quanto piuttosto in quella di cui all'art. 610 C.P. E difatti, il risultato perseguito dall'imputato -vale a dire, si ripete, impedire che il R. si attivasse in qualche modo per ottenere la restituzione del proprio anello- si prospetta corrispondere alla costrizione a tollerare e/o ad omettere qualche cosa, tipica per l'appunto della previsione dell'art. 610 cit.; evento, questo, del tutto differente dall'ingiusto profitto a sua volta contemplato dal delitto di cui all'art. 629 cit.

Dovendo pertanto, conclusivamente, sul punto dichiararsi la colpevolezza dell'imputato, va ribadita la riqualificazione dell'imputazione di estorsione in quella di violenza privata, in ordine alla quale non possono riconoscersi le attenuanti generiche, in ragione della gravità intrinseca dell'episodio.

Deve pure dichiararsi la colpevolezza del medesimo relativamente all'imputazione ex art. 4 l. 110/75, per il che, considerati anche i parametri tutti ai cui all'art. 133 C.P., stimasi equo pervenirsi alla pena indicata in dispositivo, cosi determinata:

- p. b. per il delitto ex art. 610 C.P., così riqualificata l'imputazione di cui all'art. 629 C.P.: mesi sei di reclusione;

- aumentata sino all'irrogato in ragione della continuazione ravvisabile con gli ulteriori reati ex artt. 582 C.P. e 4 l. 110/75, attesa l'evidente unicità del disegno criminoso retrostante.

All'inflitta condanna consegue quella al pagamento, da parte dell'imputato stesso, delle spese processuali.

Nondimeno ricorrono nel caso di specie i presupposti oggettivi e soggettivi di cui all'art. 163 C.P.

Per quanto poi attiene alle richieste della costituita parte civile, l'imputato va anche condannato al risarcimento del danno in loro favore, da liquidarsi separatamente, non essendo qui possibile addivenire a quantificazione precisa del danno medesimo; nonché al pagamento dell'onorario difensive, equitativamente liquidato, a sua volta, come da dispositivo.

Infine, non risultano integrati nella fattispecie i presupposti idonei al riconoscimento della richiesta provvisionale.

P.Q.M.
Letti gli artt. 532 - 535 C.P.P., dichiara E.M.E.M. colpevole del reato ex art. 610 C.P. -così diversamente qualificata l'imputazione di cui all'art. 629 C.P.- nonché dei reati ex artt. 582 C.P. e 4 L. 110/75, unificati sotto il vincolo della continuazione, e lo condanna alla pena di mesi sette di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Pena sospesa.

Letti gli artt. 538 ss. C.P.P., condanna altresì il suddetto E.M.E.M. al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile (da liquidarsi in separata sede) nonché al pagamento dell'onorario difensivo che liquida in complessivi euro duemilacinquecento, oltre I.V.A. e C.P.A.

Rigetta l'istanza di provvisionale.

Napoli, 1.10.2018

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