Tribunale Napoli sez. VI, 01/12/2014, (ud. 01/12/2014, dep. 01/12/2014), n.16881
La responsabilità per evasione dagli arresti domiciliari può essere affermata in presenza di elementi univoci, come la mancata risposta ai controlli della polizia giudiziaria presso il luogo di detenzione, a nulla rilevando l'asserita assenza di strumenti di comunicazione (ad esempio, campanelli o citofoni) se il comportamento dell'imputato dimostra piena consapevolezza della violazione degli obblighi imposti.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con decreto di citazione diretta emesso il 19-7-2013, D'O.U. è stato tratto a giudizio per rispondere del reato riportato nella rubrica del presente provvedimento.
All'udienza del 16-6-2014, pur essendosi perfezionata la notifica dell'atto introduttivo all'imputato e al suo difensore, è stato disposto rinvio preliminare per la necessaria traduzione del D'O.U., detenuto per altra causa. Alla successiva udienza del 22-9-2014, presente in vinculis l'imputato, si è proceduto all'apertura del dibattimento e all'ammissione delle richieste istruttorie delle parti, con contestuale esame del teste di lista della pubblica accusa B.V. e conseguente revoca, per manifesta superfluità, dell'ammissione dell'altro teste indicato; all'esito, dopo le spontanee dichiarazioni di D'O.U., ai sensi dell'art. 507 c.p.p., sono state disposte l'acquisizione dell'ordinanza impositiva della misura cautelare in ipotesi violata e la citazione di G.S.
All'udienza odierna, dopo l'acquisizione della menzionata ordinanza, l'esame del teste G.S. e le ulteriori brevi spontanee dichiarazioni dell'imputato, il giudice ha invitato le parti a formulare le rispettive conclusioni, in epigrafe riassunte, e, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, ha deciso dando lettura del dispositivo e della contestuale motivazione.
Ad avviso del giudicante, dagli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento risulta provata la responsabilità penale dell'imputato in ordine al reato ascrittogli.
Il teste B., assistente della Polizia di Stato in servizio presso la Squadra Mobile della Questura di Napoli, all'epoca dei fatti in servizio presso il Commissariato San Paolo, ha riferito che, nel corso dell'effettuazione di controlli a campione delle persone sottoposte agli arresti domiciliari, la mattina del 4 febbraio 2013 si era portato presso l'abitazione di G.S., luogo dove il D'O.U. era per l'appunto sottoposto agli arresti domiciliari, non rinvenendolo, in particolare dopo aver bussato al citofono (di cui era stata riscontrata la funzionalità) e poi con le mani sulla porta; allo stesso modo il controllo eseguito il giorno successivo aveva avuto esito negativo.
Il teste ha riferito di essere sicuro che l'abitazione, un terraneo, fosse provvista di citofono perché dall'esterno si udiva il suono del campanello. Ha inoltre riferito di poter collocare l'intervento del giorno 4 intorno alle ore 09:15. Ha confermato che l'abitazione era quella in cui risiedeva G.S. e che anche il secondo controllo si era svolto con le medesime modalità.
Il teste ha infine dichiarato di non ricordare di aver effettuato altri controlli del D'O.U. presso il luogo indicato, evidenziando tuttavia di conoscere il G.S. ma di non serbare memoria di incontri con lo stesso in occasione di controlli dell'odierno imputato.
In sede di spontanee dichiarazioni, l'imputato ha negato l'addebito chiarendo che l'abitazione ove egli si trovava ristretto, presso lo zio G.S., era sprovvista di citofono, aggiungendo di esservi stato sempre rinvenuto in occasione dei molteplici controlli subiti nel corso dell'esecuzione della misura cautelare detentiva irrogata nei suoi confronti. Ha inoltre rappresentato che l'assenza di un citofono presso il luogo di detenzione aveva costituito oggetto di uno specifico diverbio tra lui e il teste escusso.
G.S., escusso senza i formali avvisi di cui all'art. 199 c.p.p., trattandosi - come dallo stesso chiarito - del marito già divorziato della sorella della madre dell'imputato, ha riferito che l'abitazione in questione non era dotata di citofono né di alcun campanello, chiarendo che - per accedere al proprio appartamento, molto piccolo e situato al piano terra - era necessario entrare attraverso l'ingresso principale dell'edificio, superare un cancello che conduceva esclusivamente alla propria abitazione ed infine superarne la porta d'ingresso (aggiungendo, al riguardo, che le persone che lo cercavano si rivolgevano ad altri condòmini per ottenere l'apertura del cancello).
A giudizio del Tribunale, non appare dubbia l'integrazione della fattispecie contestata, di cui si rinviene la sussistenza degli elementi costitutivi, soggettivi e oggettivi.
Appare infatti provato che il D'O.U., nell'occasione in questione aveva arbitrariamente lasciato il luogo di detenzione, in mancanza di previa autorizzazione, senza darne tempestiva notizia all'organo di polizia incaricato dell'effettuazione dei controlli, in tal modo minando le esigenze di restrizione della libertà personale e delle frequentazioni sociali proprie della misura detentiva in corso.
Va premesso sul punto che le generiche indicazioni fornite dall'imputato e dal teste ex art. 507 c.p.p. non appaiono idonee a minare l'attendibilità delle dichiarazioni del teste di polizia giudiziaria, pubblico ufficiale che ha riferito su fatti e circostanze apprese nell'esercizio delle sue funzioni, che non ha manifestato nel corso della sua deposizioni di nutrire motivi di acredine nei confronti del D'O.U., e, per converso, ha reso una versione dei fatti del tutto logica e coerente. L'asserita assenza del campanello/citofono - stando alla stessa versione dei fatti resa dal G.S. - avrebbe invero di fatto impedito a chiunque, sprovvisto di chiave per superare il secondo cancello, di accedere alla sua abitazione. Va in ogni caso evidenziato che, ove anche tale campanello/citofono non fosse effettivamente esistente o funzionante (ciò che comunque puo', per quanto evidenziato, escludersi), il fatto, non contestato che nessuno avesse risposto ai tentativi di richiamo posti in essere dagli operanti a voce e battendo sulla porta d'ingresso dell'abitazione, dagli stessi direttamente raggiunta senza evidentemente essere costretti a superare alcun ulteriore ostacolo, puo' ritenersi prova sicura dell'assenza all'interno dell'abitazione dell'odierno imputato [tanto in considerazione del fatto che si trattava pacificamente di unità immobiliare molto piccola, che altrettanto pacificamente in tutti gli altri controlli effettuati a suo carico con le medesime modalità il D'O.U. era risultato presente (essendo quindi in grado, laddove in casa, di percepire l'effettuazione del controllo), degli orari dei controlli effettuati in occasione della vicenda che ci occupa, nonché, infine, del fatto che - come dichiarato dallo stesso G.S. - nell'abitazione erano generalmente presenti la propria compagna e/o il proprio figlio minorenne].
Anche l'elemento psicologico del reato, consistente nella piena consapevolezza della violazione dei precetti derivanti dall'ordine restrittivo irrogato, risulta nel caso di specie pienamente integrato. Invero, sul piano soggettivo, si ritiene pacificamente sufficiente la coscienza e volontà di allontanarsi dal luogo di detenzione, in modo arbitrario.
Tanto premesso in ordine alla responsabilità dell'imputato, occorre determinare il trattamento sanzionatorio da irrogare nei confronti dello stesso.
Non appaiono ravvisabili nel comportamento dell'imputato elementi di meritevolezza che postulino o comunque consentano il riconoscimento allo stesso delle circostanze attenuanti generiche.
Non essendosi inoltre verificato se eventualmente nelle more tra i due accertamenti succedutisi il D'O.U. avesse fatto rientro nel luogo di detenzione, il fatto dev'essere considerato unitariamente, a mo' di unica, prolungata violazione degli obblighi allo stesso imposti.
Considerati, quindi, tutti i criteri di cui all'art. 133 cod.pen., questo giudicante ritiene conforme ad equità irrogare nei confronti di D'O.U. la pena di anni uno di reclusione, determinata considerando come pena base il minimo edittale previsto dall'art. 385 cod.pen..
Non appaiono sussistere i presupposti sostanziali per il riconoscimento all'imputato dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, in particolare in ragione delle stesse emergenze della presente istruttoria e del fatto che lo stesso sia stato anche successivamente detenuto in carcere, per altra causa, come verificato nella fase iniziale del processo.
Non si ritiene di dover trasmettere gli atti all'Ufficio di Procura in sede nei confronti di G.S., trattandosi di deposizione nei cui confronti è allo stato possibile una valutazione in termini d'inattendibilità, ferma restando ogni diversa valutazione dell'Autorità requirente (eventualmente previ opportuni accertamenti). Alla condanna segue in ogni caso per legge l'obbligo per l'imputato di pagare le spese del processo.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533 - 535 c.p.p., dichiara D'O.U. colpevole del reato a lui ascritto e lo condanna alla pena di anni uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Napoli, 01 dicembre 2014