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Condanna per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale: aggravanti escluse e sospensione condizionale

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Tribunale Genova sez. I, 11/03/2024, n.920

Principio di diritto
In tema di oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341 bis c.p.) e resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), si configurano entrambi i reati quando un soggetto, in luogo pubblico e in presenza di più persone, proferisca frasi offensive del prestigio e dell'onore degli agenti e, contestualmente, adotti comportamenti intimidatori volti a ostacolare l’esercizio delle loro funzioni. La gravità delle condotte è determinata dal contesto e dall’obiettivo dell’azione, indipendentemente dal grado di riuscita dell'intimidazione. Il dolo si concretizza nella volontà di denigrare e ostacolare l’operato delle forze dell’ordine.

Sintesi della decisione
Il Tribunale di Genova ha condannato LA.EL. alla pena di 5 mesi e 10 giorni di reclusione per i reati di oltraggio (art. 341 bis c.p.) e resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), unificati dal vincolo della continuazione. L’imputato, fermato durante una lite pubblica, aveva rivolto insulti e minacce ai carabinieri, accompagnati da atteggiamenti intimidatori, con l’intento di ostacolare il loro intervento.

Punti rilevanti della decisione:
Oltraggio: Le frasi proferite in luogo pubblico, con chiara valenza denigratoria, sono risultate offensive dell’onore e del prestigio degli agenti, mirando a svilire il loro ruolo.
Resistenza: L’atteggiamento aggressivo e le minacce verbali sono stati ritenuti idonei a configurare un tentativo di impedire l'esecuzione dei doveri dei pubblici ufficiali.
Recidiva: Non applicata, poiché la precedente condanna dell’imputato era per reato diverso e risalente.
Circostanze attenuanti generiche: Non riconosciute, data la gratuità della condotta e la gravità dei fatti.
La pena è stata sospesa, e il giudice ha indicato che, in assenza di impugnazione, la pena potrebbe essere ulteriormente ridotta di un sesto in fase di esecuzione, ai sensi dell’art. 442, comma 2 bis, c.p.p.

Condanna per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale: aggravanti escluse e sospensione condizionale

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con decreto di citazione regolarmente LA.EL., veniva chiamato in giudizio davanti a questo Tribunale per rispondere dei reati di cui in epigrafe.

Preliminarmente venivano disposte le ricerche dell'imputato, il quale veniva rintracciato in data 5/8/22, nominava difensore di fiducia.

L'imputato chiedeva inizialmente la definizione del processo mediante M.A.P., alla quale rinunciava prima della relativa ammissione (v. verbale udienza 5/2/24 e pec di rinuncia alla M.A.P. inviata all'EUPE di Genova).

A seguito di rinuncia al mandato fiduciario, veniva nominato difensore d'ufficio, il quale, chiedeva termine a difesa e, successivamente, munito di procura speciale ad hoc, chiedeva di procedersi nelle forme del rito abbreviato.

Ammesso il rito, le parti concludevano come da verbale, e il P.M. depositava il proprio fascicolo.

In fatto

Dalla documentazione acquisita stante la scelta del rito (v. CNR del 20/9/2019) è emerso che il 20/9/2019 alle ore 3.35 circa, il Mar. Ord. Ca.Ni. e l'App. Lo.Al., in servizio perlustrativo per la repressione dei reati, mentre transitavano in Corso (…), all'altezza di via (…), notavano dall'altro lato della carreggiava alcuni giovani, due dei quali inveivano tra loro, spintonandosi.

I militari si fermavano per avere chiarimenti in merito alla lite e per calmare gli animi. Uno dei due giovani, poi identificato nell'odierno imputato, si scagliava subito verso gli operanti. In particolare, La. si avvicinava all'App. Lo., ponendosi faccia a faccia col militare in segno di sfida, proferendo le frasi di cui al capo di imputazione: "voi che cazzo volete", "non mi rompete il cazzo", "fatevi i cazzi vostri", "io faccio e dico quello che cazzo voglio alla mia famiglia davanti a voi".

Gli operanti tentavano di calmare l'imputato, ma questi proferiva le frasi minacciose ed oltraggiose di cui al D.C.G. ("se non ve ne andate so io quello che vi faccio", "non me ne frega un cazzo dei Carabinieri, della Polizia e della Finanza", "mi avete portato via mio padre", "andatevene a fanculo"). I militari non riuscivano a calmare LA., e richiedevano l'intervento di un'altra pattuglia, che giungeva sul posto.

Sul posto, per tutto il durare della condotta, erano presenti più persone, che gli operanti non riuscivano ad identificare, visto l'atteggiamento aggressivo dell'imputato.

In diritto

In relazione al capo a);

Dai fatti come sopra ricostruiti risulta provata la penale responsabilità dell'imputato per il reato di cui all'art. 341 bis c.p., contestato sub. a).

Dalla comunicazione di reato si evince che LA., in luogo pubblico - il fatto è infatti avvenuto in corso (…) sulla pubblica via - e di fronte a più persone (gli operanti evidenziano "la costante presenza" di altri giovani, che non sono riusciti a identificare per il protrarsi dell'atteggiamento aggressivo dell'imputato), ha pronunciato le frasi offensive dell'onore e del prestigio degli agenti intervenuti di cui al capo di imputazione ("voi che cazzo volete", "non mi rompete il cazzo", "fatevi i cazzi vostri", "io faccio e dico quello che cazzo voglio alla mia famiglia davanti a voi"). Il tenore delle frasi proferite è senza dubbio offensivo dell'onore e del prestigio degli operanti, in quanto le espressioni utilizzate, seppure di uso corrente nel linguaggio usato nella società moderna, anche valutate nel contesto complessivo della preposizione, hanno indubbiamente una valenza denigratoria del ruolo svolto dai militari, mirando a svilirne l'operato e ad incidere in senso negativo sul consenso che il pubblico ufficiale deve avere nella società (Cass. Sez. VI, 8/11/2016, n. 1720, 51613/16). L'imputato infatti ha espresso chiaramente, con parole volgari, di non avere alcuna considerazione della funzione svolta dagli agenti.

In relazione al capo b).

Dai fatti come sopra ricostruiti emerge la penale responsabilità dell'imputato per il reato ex art. 337 c.p. contestato sub b).

Dalla CNR si evince che l'imputato ha rivolto nei confronti dei militari, intervenuti avendo notato che era in atto una lite tra due persone, frasi non solo offensive ma anche minacciose ("se non ve ne andate so io quello che vi faccio", "non me ne frega un cazzo dei Carabinieri, della Polizia e della Finanza", "mi avete portato via mio padre", "andatevene a fanculo").

Tali frasi sono state accompagnate anche da un atteggiamento intimidatorio, essendosi l'imputato avvicinato faccia a faccia con l'App. Lo., in atteggiamento di aperta sfida, volto appunto ad intimorire gli agenti e finalizzato ad impedire il compimento dell'intervento volto a riportare l'ordine tra i presenti.

Condotta che ha reso necessario richiedere l'intervento di un'altra pattuglia di supporto. In merito al trattamento sanzionatorio.

I reati possono essere ritenuti uniti dal vincolo della continuazione stante la contestualità temporale e l'unicità del disegno criminoso di opporsi e di svilire l'intervento degli operanti. Più grave il reato di cui all'art. 337 c.p., per il limite edittale.

Si ritiene di non applicare la recidiva - pur correttamente contestata - essendo l'imputato gravato da una sola condanna per reato di indole diversa e risalente nel tempo (irrevocabile 3/1/2011).

Non sono evidenziati elementi per la concessione delle attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., tenuto conto che la condotta dell'imputato appare del tutto gratuita, tenuto conto che si è immediatamente scagliato nei confronti dei militari, che hanno tentato più volte a riportarlo alla calma.

Valutati gli elementi di cui all'art. 133 c.p. si ritiene equa la pena di mesi 5 e giorni 10 di reclusione così determinata:

a) pena base per il reato più grave di cui all'art. 337 c.p. - capo b): mesi 7 di reclusione (tenuto conto della continuazione interna essendo il reato posto in essere nei confronti di più agenti);

b) aumentata per la continuazione con il reato di cui all' art. 341 bis c.p. - capo a): a mesi 8 di reclusione;

c) ridotta per il rito - di un terzo, fino alla misura sopra indicata.

Segue la condanna al pagamento delle spese processuali e di quelle ulteriori di legge. Sussistono i presupposti per la sospensione condizionale della pena.

Ai sensi dell'art. 442, comma 2 bis, c.p.p., qualora né l'imputato né il suo difensore propongano impugnazione contro la sentenza di condanna, la pena sopra inflitta dovrà essere ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione.

P.Q.M.
Visti gli artt. 442, 533, 535 c.p.p.

DICHIARA

LA.EL. responsabile dei reati a lui ascritti in rubrica, uniti dal vincolo della continuazione e più grave il reato di cui sub b) e, non applicata la recidiva contestata e operata la riduzione del rito, lo condanna alla pena finale di mesi 5 e giorni 10 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di quelle ulteriori di legge. Pena sospesa.

Così deciso in Genova l'11 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria l'11 marzo 2024.

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