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Le presunzioni tributarie non costituiscono prova automatica dell’illecito penale e devono essere corroborate da elementi concreti

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Corte appello Taranto, 04/05/2022, n.227

Nel giudizio penale, le presunzioni tributarie non possono costituire da sole prova della responsabilità dell’imputato, ma assumono il valore di dati di fatto che devono essere liberamente valutati dal giudice unitamente ad elementi di riscontro concreti. La prova della commissione del reato richiede l’accertamento, al di là di ogni ragionevole dubbio, sia dell’inesistenza delle prestazioni fatturate sia dell’utilizzo illecito delle fatture da parte dell’imputato. In mancanza di tali elementi, non può affermarsi la responsabilità penale del contribuente, anche qualora emergano incongruenze di natura contabile o amministrativa.

Reati tributari e responsabilità dell’amministratore uscente e subentrante

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Emissione di fatture inesistenti: responsabilità del titolare formale e gravità del reato

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Prova dell'emissione di fatture per operazioni inesistenti e limiti di responsabilità penale

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Assenza di prova sull’inesistenza giuridica delle operazioni sottostanti alle fatture e assoluzione per insussistenza dei fatti

La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza del 28.4.2021, il GUP presso il Tribunale di Taranto, a seguito di giudizio abbreviato, ha dichiarato Ca. Gi. colpevole del delitto di cui agli artt. 81 cp e 2 D.L.vo 74.2000, commesso con riferimento agli anni d'imposta 2014 e 2015. Di conseguenza, lo ha condannato alla pena, sospesa, di anni uno mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, ha applicato le pene accessorie previste per legge ed ha disposto la confisca del profitto del reato, quantificato in Euro 64.947,00.

Avverso la sentenza, l'imputato ha proposto tempestivo appello, formulando tre motivi.

Con il primo motivo, ha reiterato l'eccezione d'inutilizzabilità dei tre processi verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza, sui quali si fonda l'accusa.

Con il secondo motivo, ha contestato l'erronea valutazione degli elementi di prova, la violazione e l'erronea applicazione degli artt. 192 e 530 cpp, nonché il difetto di idonea e corretta motivazione e contraddittorietà della stessa.

Infine, con il terzo motivo, ha contestato la decisione impugnata nella parte in cui ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Il primo motivo non può essere accolto.

Infatti, ai sensi dell'art. 191 cpp, la prova inutilizzabile è quella acquista in violazione dei divieti stabiliti dalla legge. Nel caso di specie, i verbali di contestazione redatti dalla Guardia di Finanza il (omissis), a carico di "Se. Te. Av. srl" e di Ne. Wa. e il (omissis) a carico dei medesimi soggetti e di "NE. WE. srl", non, dunque, a carico dell'imputato, hanno il valore di documenti, in quanto atti amministrativi extraprocessuali. Ne consegue che nessuna questione in termini di inutilizzabilità può essere formulata, trattandosi di prove precostituite fuori dal procedimento. D'altronde, l'appellante solleva il problema della violazione del suo diritto di difesa, ma ciò non incide sul profilo dell'utilizzabilità, quanto su quello dell'attendibilità e del valore probatorio del documento.

Il motivo, pertanto, va rigettato.

Il secondo motivo, invece, è condivisibile.

Sulla scorta dei verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza di (omissis), richiamati in precedenza, risulta che Ne. Wa., Fi. Gi. e Lo. Pa. si erano procurati illeciti guadagni derivanti da evasione fiscale. In particolare, essi avevano realizzato un sistema ad anello circolare, che partiva da due imprese cartiere in senso stretto, la "In. Te." e la "Wo. Se. srl", gestite occultamente dal Ne.. Subito dopo vi erano diverse società di comodo, tra le quali la "Se. Te. Av. srl" (d'ora in avanti ST.) e la "NE. WE. srl", di fatto gestite occultamente da Ne., Fi. e Lo.. Queste società filtro, all'apparenza regolari e operanti, ricevevano e emettevano fatture per operazioni inesistenti e non versavano mai imposte, in quanto sistematicamente compensate ad hoc con i crediti IVA maturati grazie ai costi fittizi contabilizzati e dichiarati. La maggior parte dei pagamenti contabilizzati per le fatture scambiate tra le società cartiere e quelle di comodo era fittizia, mentre gli unici flussi finanziari reali erano quelli provenienti dalle imprese utilizzatrici finali delle fatture false. In particolare, le imprese partecipanti ai bandi per finanziamenti pubblici o attendevano la liquidazione e poi pagavano, a distanza di tempo, con bonifico, le false fatture, oppure si facevano anticipare il denaro in contanti direttamente da uno dei tre indiziati (Ne., Fi. o Lo.), il quale, poi, era versato e rendicontato in entrata, come apporto finanziamento c/socio o c/titolare. La maggior parte delle fatture per operazioni inesistenti delle società di comodo erano state emesse verso quelle imprese che avevano necessità di rappresentare costi e progetti connessi a programmi di investimento necessari per la partecipazione a bandi regionali di finanziamento per le piccole e medie imprese in materia di innovazione e tecnologia. Proprio per questi motivi, Lo. Pa. e Fi. Gi., gestori di fatto della società "NE. WE." istruivano le pratiche per partecipare ai bandi, ne gestivano gli esiti e sapevano a quale cliente dovesse essere emetta fattura e per quale motivo, il tutto in funzione dell'ottenimento dell'erogazione pubblica. Dunque, le false fatture emesse dalle società di comodo avrebbero consentito alle società utilizzatrici ottenere illecitamente fondi pubblici per il bando commercio stanziato dalla Regione (omissis); in particolare, il cliente, oltre ad ottenere il beneficio della detrazione IVA e il maggior costo deducibile ai fini delle imposte dirette e dell'IRAP, non spendeva alcun Euro, atteso che la provvista economica necessaria a pagare le fatture false emesse veniva fornita direttamente in contanti al cliente direttamente dal Ne.; poi, lo stesso cliente depositava la somma nel conto corrente aziendale acceso e dedicato al bando, con la causale: apporto capitale proprio bando commercio; infine, pagava la fattura con il denaro ricevuto dal Ne.; il Ne., infine, riceveva la sua ricompensa una volta corrisposto il finanziamento all'imprenditore, il quale prelevava contanti e glieli versava.

In sintesi, due erano le modalità attraverso le quali il Ne. operava: emissione di fatture false per consentire alle imprese utilizzatrici finali di dimostrare di avere sostenuto dei costi nei progetti e nei programmi d'investimento funzionali alla partecipazione a bandi regionali per l'assegnazione di finanziamenti alle piccole e medie imprese, con riconoscimento di un compenso, in contanti, a finanziamento assegnato; oppure anticipo, tramite contante, della somma riportata in fattura, emissione di fattura da parte dell'utilizzatrice, pagamento della fattura, tramite la somma anticipata dal Ne..

Ciò premesso dai verbali di contestazione redatti dalla Guardia di Finanza, risulta che l'imputato, attuale appellante, compare, tra le società utilizzatrici, solo nel 2012. Poi, a seguito degli accertamenti eseguiti dall'Agenzia delle Entrate di Taranto con riferimento ai periodi d'imposta 2014 e 2015, era emerso che il Ca. era stato destinatario delle fatture specificamente indicate nel capo d'imputazione, per cui, sulla scorta della genericità delle prestazioni professionali ricevute, del pagamento, eseguito con bonifici, avvenuto a pochissima distanza di tempo dalla sottoscrizione dei relativi contratti e dell'assenza di report sulle consulenze commissionate, era stato ritenuto che quelle fatture fossero relative ad operazioni inesistenti.

In realtà, sulla scorta della documentazione esibita dalla difesa nel corso del giudizio di primo grado, risulta che gli indizi individuati dall'Agenzia delle Entrate non siano così certi e univoci.

In primo luogo, le fatture di cui si tratta si riferiscono a precisi contratti stipulati, uno con la NE. WE. ((omissis)) e gli altri tre con la ST. ((omissis), (omissis) e (omissis)), aventi ad oggetto forniture ben precise, con rifermento alle quali non si spiega perché debbano essere considerate di contenuto generico. Inoltre, i pagamenti non erano stati eseguiti a distanza di pochissimo tempo dalla sottoscrizione dei contratti: per il contratto stipulato il (omissis) con NE. WE., il primo acconto era astata versato il (omissis) sulla fattura (omissis) e il saldo dell'intero era stato corrisposto il (omissis); per il contratto del (omissis) stipulato con la ST., il primo acconto era stato pagato il (omissis), il saldo il (omissis); per il contratto stipulato il (omissis), il primo acconto era stato versato il (omissis) (gli estratti del conto corrente bancario intestato al Ca. giungono sino al (omissis)).

In sostanza, a fronte di contratti effettivamente stipulati e di pagamenti realmente eseguiti, l'accusa aveva l'onere di provare non solo che il fornitore non aveva adempiuto la sua prestazione, ma anche che questi aveva ricevuto un compenso illecito.

Con riferimento al primo aspetto, non vi è alcuna prova, anzi l'imputato, nel corso dell'interrogatorio, ha spiegato che quei contratti avevano avuto l'obiettivo di accrescere la distribuzione sul territorio di (omissis) e di (omissis), attraverso indagini di mercato e l'individuazione di nuovi punti vendita (il Ca. era agente e rappresentante di prodotti farmaceutici). Inoltre, quell'attività di consulenza aveva dato i frutti sperati, atteso che, come risulta dalle dichiarazioni dei redditi prodotti, l'imputato aveva denunciato un volume di affari di 90.137 Euro nel 2014 e di 124.175 Euro nel 2015.

Con riferimento al secondo aspetto, va detto che l'imputato non si era avvalso del sostegno delle società NE. WE. a STA per partecipare ad un bando per l'assegnazione di finanziamenti pubblici. Pertanto, sulla scorta della ricostruzione operata dalla Guardia di Finanza in relazione al modus operandi del Ne., sarebbe stato necessario provare che il pagamento delle fatture era stato preceduto da versamenti del Ca., sul suo conto corrente bancario. Infatti, solo in tal modo sarebbe stato possibile avere la prova di quanto sostenuto dai finanzieri e cioè che il pagamento delle fatture, in sostanza, avveniva tramite denaro del Ne.. In realtà, tale prova non è stata fornita, anzi, dagli estratti del conto corrente bancario intesto al Ca., non risulta nulla di tutto ciò. Va rilevato, a tale ultimo proposito, che l'ipotesi investigativa della Guardia di Finanza ha un senso se riferita a coloro i quali si avvalevano del contributo del Ne. per partecipare ai bandi per il riconoscimento dei finanziamenti, perché questi, una volta che gli imprenditori avevano incassato il denaro, otteneva, in contanti, la sua parte. Invece, nel caso come quello ipotizzato a carico del Ca., non è chiaro quale fosse il vantaggio perseguito dal Ne., il quale avrebbe anticipato il denaro per il pagamento delle sue fatture, circostanza, come detto, del tutto indimostrata, ma non si riesce a comprendere cosa avesse ricevuto in cambio.

In conclusione, la sentenza impugnata, nella parte in cui si sofferma sulla responsabilità dell'imputato, non tiene nella dovuta considerazione che le valutazioni dell'Agenzia delle Entrate, contenute negli avvisi di accertamento redatti a carico del Ca., non potevano considerare i precisi dati fattuali emersi nel corso delle indagini preliminari e del processo di primo grado e si adagiano sulle considerazioni della Guardia di Finanza, secondo la quale tutti coloro che avevano stipulato contratti con le società di comodo si fossero avvalsi di fatture per operazioni inesistenti, senza però, effettuare alcuno specifico accertamento sulle singole imprese utilizzatrici. Infatti, le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione dell'illecito, assumendo il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell'esistenza della condotta criminosa. In particolare, non risulta provato che i contratti stipulati non fossero mai stati eseguiti dal fornitore (nel verbale di constatazione del (omissis), relativo alla società ST., si legge che, il (omissis), all'atto di una perquisizione, era stato accertato che la società non era attiva, ma non vi è prova certa che non lo fosse stato negli anni passati; anzi, la circostanza che, nel 2014, erano state emesse più di centocinquanta fatture di vendita e, nel 2015, poco più di cento, induce a ritenere che la società, comunque, avesse avuto un certo movimento di affari e non vi è prova certa che tutte queste fatture fossero relative a operazioni inesistenti) e, circostanza assai rilevante nell'economia del processo, che il Ca. avesse pagato con denaro del Ne., come teorizzato dalla Guardia di Finanza.

L'accoglimento del secondo motivo di appello rende superflua la valutazione dell'ultimo.

La sentenza appellata, allora, va riformata e l'appellante va assolto dal delitto ascrittogli perché la prova che il fatto sussista è insufficiente. Ne consegue la revoca della confisca disposta ai suoi danni dal giudice dio primo grado.

Infine, il carico di lavoro gravante sull'ufficio ha giustificato la fissazione del termine di novanta giorni per il deposito della motivazione della sentenza.

P.Q.M.
la Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto,

applicato l'art. 605 cpp,

in riforma della sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale di Taranto il 28.4.2021, appellata da Ca. Gi., assolve l'imputato dal delitto ascrittogli, perché il fatto non sussiste, con revoca della confisca disposta a suo danno;

applicato l'art. 544, terzo comma, cpp,

fissa in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione della sentenza.

Così deciso in Taranto, il 14 marzo 2022.

Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2022

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