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La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti richiede la prova dell’inesistenza delle prestazioni e della consapevolezza del contribuente

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Corte appello Taranto, 30/05/2022, n.336

Per configurare il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 D. Lgs. 74/2000), è necessario fornire prova specifica e certa dell’inesistenza delle operazioni oggetto di fattura e del dolo specifico del contribuente. Tale prova deve dimostrare non solo la mancata esecuzione della prestazione contrattualmente pattuita, ma anche che il pagamento delle fatture è avvenuto mediante artifici o risorse indebite. Generalizzazioni sull’operato del soggetto emittente o su sistemi di frode analoghi non sono sufficienti per affermare la responsabilità penale.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza del 28.4.2021, il GUP presso il Tribunale di Taranto, a seguito di giudizio abbreviato, ha dichiarato Ca.Fr. colpevole del delitto di cui agli artt. 81 cp e 2 D. L.vo 74.2000, commesso con riferimento agli anni d'imposta 2014 e 2015. Di conseguenza, l'ha condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, ha applicato le pene accessorie previste per legge ed ha disposto la confisca del profitto del reato, quantificato in Euro 6.786,00.

Avverso la sentenza, l'imputata ha proposto tempestivo appello, formulando tre motivi.

Con il primo motivo, ha reiterato l'eccezione d'inutilizzabilità dei tre processi verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza, sui quali si fonda l'accusa.

Con il secondo motivo, ha contestato l'erronea valutazione degli elementi di prova, la violazione e l'erronea applicazione degli artt. 192 e 530 cpp, nonché il difetto di idonea e corretta motivazione e contraddittorietà della stessa. Infine, con il terzo motivo, ha contestato la decisione impugnata nella parte in cui ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Il primo motivo non può essere accolto. Infatti, ai sensi dell'art. 191 cpp, la prova inutilizzabile è quella acquista in violazione dei divieti stabiliti dalla legge. Nel caso di specie, i verbali di contestazione, redatti dalla Guardia di Finanza il 14.12.2017, a carico di "Se.Te. srl" e di Ne.Wa. e il 28.6.2018 a carico dei medesimi soggetti e di "Ne. srl", non, dunque, a carico dell'imputato, hanno il valore di documenti, in quanto atti amministrativi extraprocessuali. Ne consegue che nessuna questione in termini di inutilizzabilità può essere formulata, trattandosi di prove precostituite fuori dal procedimento. D'altronde, l'appellante solleva il problema della violazione del suo diritto di difesa, ma ciò non incide sul profilo dell'utilizzabilità, quanto dell'attendibilità e del valore probatorio del documento. Il motivo, pertanto, va rigettato.

Il secondo motivo, invece, è condivisibile. Sulla scorta dei verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza di Monopoli, richiamati in precedenza, risulta che Ne.Wa., Fi.Gi. e Lo.Pa. si erano procurati illeciti guadagni derivanti da evasione fiscale. In particolare, essi avevano realizzato un sistema ad anello circolare, che partiva da due imprese cartiere in senso stretto, la "In." e la "Wo. srl", gestite occultamente dal Ne.Wa.. Subito dopo, vi erano diverse società di comodo, tra le quali la "Se.Te. srl" (d'ora in avanti St.) e la "Ne. srl", di fatto gestite occultamente da Ne.Wa., Fi. e Lo.. Queste società filtro, all'apparenza regolari e operanti, ricevevano e emettevano fatture per operazioni inesistenti e non versavano mai imposte, in quanto sistematicamente compensate ad hoc con i crediti IVA maturati grazie ai costi fittizi contabilizzati e dichiarati. La maggior parte dei pagamenti contabilizzati per le fatture scambiate tra le società cartiere e quelle di comodo era fittizia, mentre gli unici flussi finanziari reali erano quelli provenienti dalle imprese utilizzatrici finali delle fatture false. In particolare, le imprese partecipanti ai bandi per finanziamenti pubblici o attendevano la liquidazione e poi pagavano, con bonifico, le false fatture, oppure si facevano anticipare il denaro in contanti direttamente da uno dei tre indiziati (Ne.Wa., Fi. o Lo.), il quale, poi, era versato e rendicontato in entrata, come apporto finanziamento c/socio o c/titolare. La maggior parte delle fatture per operazioni inesistenti delle società di comodo era stata emessa verso quelle imprese che avevano necessità di rappresentare costi e progetti connessi a programmi di investimento necessari per la partecipazione a bandi regionali di finanziamento per le piccole e medie imprese in materia di innovazione e tecnologia. Proprio per questi motivi, Lo.Pa. e Fi.Gi., gestori di fatto della società "Ne." istruivano le pratiche per partecipare ai bandi, ne gestivano gli esiti e sapevano a quale cliente dovesse essere emetta fattura e per quale motivo, il tutto in funzione dell'ottenimento dell'erogazione pubblica. Ma anche il Ne.Wa. avrebbe fatturato fittiziamente, a nome della "Ne." e della "St.", per ottenere illecitamente fondi pubblici per il bando commercio stanziato dalla Regione Puglia, servendosi di alcuni suoi clienti compiacenti; in particolare, il cliente, oltre ad ottenere il beneficio della detrazione IVA e il maggiore costo indeducibile ai fini delle imposte dirette e dell'IRAP, non spendeva alcun Euro, atteso che la provvista economica necessaria a pagare le fatture false emesse veniva fornita in contanti al cliente direttamente dal Ne.Wa.; poi, lo stesso cliente depositava la somma nel conto corrente aziendale acceso e dedicato al bando, con la causale: apporto capitale proprio bando commercio; infine, pagava la fattura con il denaro ricevuto dal Ne.Wa.; il Ne.Wa., poi, riceveva la sua ricompensa una volta corrisposto il finanziamento all'imprenditore, il quale prelevava contanti e glieli versava.

In sintesi, due erano le modalità attraverso le quali il Ne.Wa. operava: emissione di fatture false per consentire alle imprese utilizzatrici finali di dimostrare di avere sostenuto dei costi nei progetti e nei programmi d'investimento funzionali alla partecipazione a bandi regionali per l'assegnazione di finanziamenti alle piccole e medie imprese, con riconoscimento di un compenso, in contanti, a finanziamento assegnato; oppure anticipo, tramite contante, della somma riportata in fattura, emissione di fattura da parte dell'utilizzatrice, pagamento della fattura, tramite la somma anticipata dal Ne.Wa..

Ciò premesso, dai verbali di contestazione redatti dalla Guardia di Finanza, risulta che la società di cui l'imputata era legale rappresentante ed amministratrice unica compare, tra le società utilizzatrici, solo nel 2012. Poi, a seguito degli accertamenti eseguiti dall'Agenzia delle Entrate di Taranto con riferimento ai periodi d'imposta 2014 e 2015, era emerso che la stessa società era stata destinataria delle fatture specificamente indicate nel capo d'imputazione, per cui, sulla scorta della genericità delle prestazioni professionali ricevute, del pagamento, eseguito con bonifici, avvenuto a pochissima distanza di tempo dalla sottoscrizione dei relativi contratti e dell'assenza di report sulle consulenze commissionate, era stato ritenuto che quelle fatture fossero relative ad operazioni inesistenti.

In realtà, sulla scorta della documentazione esibita dalla difesa nel corso del giudizio di primo grado, risulta che gli indizi individuati dall'Agenzia delle Entrate non sono così certi e univoci.

In primo luogo, le fatture di cui si tratta si riferiscono a precisi contratti stipulati, uno con la Ne. (4.2.2014) e gli altri due con la St. (15.9.2014 e 21.1.2015), aventi ad oggetto forniture ben precise, con rifermento alle quali non si spiega perché debbano essere considerate di contenuto generico. Inoltre, i pagamenti non erano stati eseguiti a distanza di pochissimo tempo dalla sottoscrizione dei contratti: per il contratto stipulato il 4.2.2014 con Ne., il primo acconto era stato versato il 29.9.2014 sulla fattura 8A (emessa il 25.6.2014) e il saldo dell'intero era stato corrisposto il 20.10.2014; per il contratto del 15.9.2014 stipulato con la St., il primo acconto era stato pagato il 19.12.2014 sulla prima fattura 1/A (emessa il 19.9.2014), il saldo il 12.1.2015; sulla seconda fattura 11/A (emessa il 23.12.2014), l'acconto era stato versato il 2.3.2015 e il saldo il 2.4.2015; per il secondo contratto stipulato con la St. il 21.1.2015 i pagamenti erano così avvenuti: pagamento totale il 18.6.2015 della fattura 2/A (emessa il 23.3.2015); pagamento totale eseguito il 28.8.2015 per la fattura 6/A (emessa il 30.6.2015); pagamento totale eseguito il 28.12.2015 per la fattura emessa 22/A (emessa il 18.12.2015).

In sostanza, a fronte di contratti effettivamente stipulati e di pagamenti realmente eseguiti, l'accusa aveva l'onere di provare non solo che il fornitore non aveva adempiuto la sua prestazione, ma anche che questi aveva ricevuto un compenso non dovuto.

Con riferimento al primo aspetto, non vi è alcuna prova.

Con riferimento al secondo aspetto, va detto che l'appellante non si era avvalso del sostegno delle società Ne. a St. per partecipare a bando per l'assegnazione di finanziamenti pubblici. Pertanto, sulla scorta della ricostruzione operata dalla Guardia di Finanza in relazione al modus operandi del Ne.Wa., sarebbe stato necessario provare che il pagamento delle fatture fosse stato preceduto da versamenti in contanti della Ca.Fr. su un conto corrente bancario nella sua diretta disponibilità. Infatti, solo in tal modo sarebbe stato possibile avere la prova di quanto sostenuto dai finanzieri e cioè che il pagamento della fatture, in sostanza, avveniva tramite denaro del Ne.Wa.. Ili realtà, tale prova non è stata fornita, anzi, dagli estratti del conto corrente bancario intesto alla "Fa. sas", non risulta nulla di tutto ciò, né vi è un solo indizio a riguardo. Va rilevato, a tale ultimo proposito, che l'ipotesi investigativa della Guardia di Finanza ha un senso se riferita a coloro i quali si avvalevano del contributo del Ne.Wa. per partecipare ai bandi per il riconoscimento dei finanziamenti, perché questi, una volta che gli imprenditori avevano incassato il denaro, otteneva, in contanti, la sua parte. Invece, nel caso come quello ipotizzato a carico del Campobasso, non è chiaro quale fosse il vantaggio perseguito dal Ne.Wa., il quale anticipava il denaro per il pagamento delle sue fatture ma non si riesce a comprendere cosa avesse in cambio.

In conclusione, la sentenza impugnata, nella parte in cui si sofferma sulla responsabilità dell'imputata, non tiene nella dovuta considerazione che le valutazioni dell'Agenzia delle Entrate, contenute negli avvisi di accertamento redatti a carico della Ca.Fr., non potevano considerare i precisi dati fattuali emersi nel corso delle indagini preliminari e del processo di primo grado e si adagia sulle considerazioni della Guardia di Finanza, secondo la quale tutti coloro che avevano stipulato contratti con le società di comodo si fossero avvalsi di fatture per operazioni inesistenti, senza però, effettuare alcuno specifico accertamento sulle singole imprese utilizzatrici. In particolare, non risulta provato che i contratti stipulati non fossero mai stati eseguiti dal fornitore (nel verbale di constatazione del 14.12.2017, relativo alla società St., si legge che, il 14.3.2017, all'atto di una perquisizione, era stato accertato che la società non era attiva, ma non vi è prova certa che non lo fosse stato negli anni passati; anzi, la circostanza che, nel 2014, erano state emesse più di centocinquanta fatture di vendita e, nel 2015, poco più di cento, induce a ritenere che la società, comunque, avesse avuto un certo movimento di affari e non vi è prova certa che tutte queste fatture fossero relative a operazioni inesistenti) e, circostanza assai rilevante nell'economia del processo, che la Ca.Fr. avesse pagato le fatture con denaro del Ne.Wa., come teorizzato dalla Guardia di Finanza.

L'accoglimento del secondo motivo di appello rende superflua la valutazione dell'ultimo.

In conclusione, la sentenza appellata va riformata e l'imputata va assolta dal delitto ascrittole, atteso che la prova che il fatto sussista non è sufficiente.

P.Q.M.
la Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto,

applicato l'art. 605 cpp,

in riforma della sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale di Taranto il 28.4.2021, appellata da Ca.Fr., assolve l'imputata dal delitto ascrittogli, perché il fatto non sussiste, con revoca della confisca disposta a suo danno;

applicato l'art. 544, terzo comma, cpp,

fissa in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione della sentenza.

Così deciso in Taranto l'11 aprile 2022.

Depositata in cancelleria il 30 maggio 2022.

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