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Resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali: definizione dei limiti e continuità del disegno criminoso (Giudice Giovanna Rosa Immacolata Di Petti)

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Tribunale Nola, 19/01/2022, (ud. 13/12/2021, dep. 19/01/2022), n.2440

Il reato di resistenza a pubblico ufficiale si configura anche in presenza di condotte che ostacolano, in modo parziale o temporaneo, l'operato dell'ufficiale, e si concilia con il delitto di lesioni personali qualora gli atti di violenza eccedano il minimo necessario per la resistenza, evidenziando un disegno criminoso unitario. La concessione delle attenuanti generiche richiede un'attenta valutazione delle circostanze personali e della gravità dei fatti.

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Tratti in arresto il giorno 24.3.2019 da personale di p.g. in forza alla Stazione dei Carabinieri di Carbonara di Nola, Ma.An. e Ma.Vi. vennero condotti davanti a questo giudice per essere sottoposti, previa convalida dell'arresto, a giudizio direttissimo in ordine ai reati di resistenza ad un pubblico ufficiale e lesioni personali ipotizzati a loro carico dal pubblico ministero nella formulazione dell'imputazione trascritta in epigrafe. All'udienza del 25.3.2019, convalidato l'arresto, udita la relazione dell'operante di p.g. e interrogati gli imputati, il difensore chiedeva termine a difesa. All'udienza del 6.5.2019 il tribunale dichiarava aperto il dibattimento ed ammesse le prove richieste dalle parti, che prestavano il consenso all'acquisizione del verbale di arresto e della relazione redatta dal teste qualificato Sa., veniva escusso il teste Ca.Lu.; L'udienza del 10.2.2020 veniva differita per l'assenza dei testi citati dal difensore, mentre quelle del 28.9.2020 e del 15.3.2021 venivano rinviate per impedimento del difensore (con sospensione dei termini di sospensione per complessivi giorni 100). Il 26.4.2021 veniva sentita il teste Ca., mentre il 18.10.2021 veniva sentita il teste Re.

In data odierna, acquisito il fascicolo del p.m., il Tribunale ha dichiarato chiusa l'istruttoria dibattimentale, ha invitato le parti a formulare ed illustrare le rispettive conclusioni, ascoltate le quali, all'esito della deliberazione avvenuta in camera di consiglio, ha reso pubblica la sentenza dando lettura del dispositivo allegato al verbale di udienza.

La vicenda che è all'origine del presente processo, per come è stato possibile ricostruirla attraverso le risultanze in atti può essere tratteggiata nel modo che segue.

Verso le ore 18.30 del 24.3.2019, militari in servizio presso la Stazione c.c. di Carbonara di Nola, nel corso di un servizio perlustrativo su strada, in Palma Campania, procedevano al controllo dell'autovettura Fiat Panda di colore giallo tg (…) il conducente diceva di chiamarsi Ma.Vi., nato a Nola il 19.9.1990, e non avendo al seguito la patente di guida, i militari effettuavano un controllo in banca dati e riscontravano che la fotografia presente sulla patente di guida rilasciata a Ma.Vi. raffigurava una persona completamente diversa dal soggetto fermato. I militari quindi chiedevano al giovane di esibire loro un documento originale e, non avendolo con sé, il soggetto chiedeva ai c.c. di recarsi a casa sua a prenderlo. Giunti presso l'abitazione del Ma.Vi., in Palma Campania alla via (…), situata in un cortile delimitato da un cancello (cfr fotografie e video in atti), mentre il giovane entrava in casa per prendere il documento, il car. Di. apprendeva da una anziana donna ivi presente che la persona fermata si chiamava Ma.Gi. e non Vi..

Il giovane fermato subito dopo esibiva, comunque, al militare una patente di guida intestata a Ma.Vi. per cui il Car. Di., dovendo procedere alla sua corretta identificazione, lo invitava a salire sull'auto di servizio per condurlo in caserma.

Tuttavia questi si rifiutava di entrare in auto e iniziava a spintonare i militari, provando ad allontanarsi; mentre il Car. Di. bloccava il giovane per impedirgli di fuggire, il Car. Ca. cercava di ammanettarlo senza però riuscirci perché nel frattempo giungeva un altro soggetto poi identificato in Ma.An., padre di Gi., che si frapponeva tra i militari e il figli, esortando quest'ultimo ad andarsene.

Il Car. Di., poi, mentre tratteneva Gi., veniva afferrato da Ma.An. da dietro e veniva da questi trascinato all'interno della corte e scaraventato contro il muro, mentre più persone lo circondavano e una chiudeva a chiave la porta del cancello, impedendo l'accesso al cortile al car. Ca., che nel frattempo si era avvicinato alla macchina di servizio per chiedere l'intervento in ausilio di un'altra pattuglia.

All'interno del cortile, quindi, giungevano vari familiari del giovane che inveivano contro i militari, offendendoli con frasi del tipo: "pezzi di merda! uomini di merda! ve ne dovete andare da qual questa è proprietà privata"!.

Tra questi, Ma.Vi. ci. 1990. altro figlio di An., colpiva il carabiniere Di. con un pugno all'addome, consentendo al fratello Gi. di scappare; poi il militare veniva ancora aggredito da altre persone ed in particolare da una che lo afferrava per il collo e tentava di buttarlo a terra, per cui il militare decise di estrarre l'arma in dotazione per allontanare gli aggressori; solo a questo punto le persone si allontanavano, consentendogli di raggiungere l'auto di servizio, ma prima che riuscisse ad allontanarsi dal luogo dell'aggressione, Ma.Vi. gli sferrava un altro pugno alla spalla destra.

Successivamente giungevano sul posto militari della stazione c.c. di Nola, oltre a personale medico del 118 che conduceva il car Di.Fr., visibilmente ferito, presso l'ospedale di Nola dove gli venivano riscontrate lesioni personali consistite in "contusioni escoriate multiple del collo e all'arto superiore sinistro, trauma addominale chiuso" giudicate guaribili in giorni 5 se (efr referto in atti rilasciato il 24.3.2019).

Circa la condotta posta in essere dagli imputati, il car Di. precisava di essere stato aggredito da entrambi e di aver ricevuto, per due volte, dei pugni da Ma.Vi., mentre Ma.An. lo aveva strattonato e spinto violentemente contro il muro, tanto che gli aveva lasciato dei segni sul braccio che poi gli erano stati refertati ("contusioni escoriate multiple del collo e all'arto superiore sinistro).

Il carabiniere Ca. confermava la ricostruzione dei fatti fornita dal car. Di., riferendo che appena giunti presso l'abitazione del giovane fermato, appurato che il predetto aveva dato delle false generalità, lui e il suo collega gli avevano chiesto di entrare nell'auto di servizio per andare in caserma per l'identificazione.

Tuttavia il ragazzo rifiutava di entrare in auto e quindi i militari erano costretti a farlo entrare con la forza ma il giovane iniziava a spintonarli tanto che il Ca. cercava di ammanettarlo, senza però riuscirci; nel frattempo, arrivarono il padre del giovane, An. Ma.An., e il fratello Vi. e altri familiari che iniziarono ad inveire contro i carabinieri, creando una situazione molto caotica. Quindi, Ma.An. afferrava per il braccio e per il collo il car. Di. - che a sua volta teneva Gi. per il braccio per impedirgli di scappare - e, strattonandolo e tirandolo per la divisa, lo trascinava nel cortile, esortando il figlio Gi. ad andare via.

IL Ca. riferiva di essere stato anche lui strattonato e tirato per la divisa dal Ma.An. e da Vi., in particolare mentre cercava, da un lato di ammanettare Gi., e dall'altro di liberare il collega Di. che era stato preso al collo da Ma.An..

Il Ca., poi, si dirigeva verso l'auto di servizio perché aveva lasciato l'arma nel veicolo che si trovava fuori il cancello, e in quel momento un uomo non identificato chiudeva il cancello lasciando il Di. nel cortile, il quale veniva trascinato e scaraventato contro il muro per poi essere circondato da tante persone ed essere colpito con uno schiaffo e un pugno da Ma.Vi..

Quindi, visto che la situazione stava degenerando, il Ca. decideva di chiedere l'ausilio dei colleghi.

Il teste Ca. riprendeva anche un video di quei concitati momenti, effettuato attraverso un registratore a lui in uso( acquisito in atti e visionato dalla scrivente), da cui si evince che i fatti si verificavano secondo la ricostruzione effettuata dai testi qualificati.

Vanno poi evidenziate le offese e le minacce proferite dagli imputati all'indirizzo dei militari (Ma.An.:" a quest'uomo di merda… tu stai in proprietà privata scemo!"; Ma.Vi.: "metti la pistola in macchina sennò do fuoco a te e alla macchina scemo., la pistola la metto in bocca a te e a lui !; Ma.An.: "poi vediamo che fa sto scemo"; Ma.An.: "l'hai posata?? Queste sono le palle che tieni?? uomo di merda… esci fuori lurido … chiama al Maresciallo Esposito scemo! Lo sai che te la devi mangiare quella pistola!) ); (cfr trascrizione delle parti salienti del video ripreso il 24.3.2019 ore 15.30).

A fronte di tale ricostruzione dei fatti, l'imputato Ma.An. negava l'addebito riferendo di essersi limitato a frapporsi tra il carabiniere e il figlio Gi. per dividerli e di aver invitato il figlio ad allontanarsi perché il carabiniere stava aggredendo Gi.; poi riferiva che il carabiniere aveva estratto anche la pistola e gliela aveva puntata in faccia.

L'imputato Ma.Vi., figlio di An., invece ammetteva l'addebito e dichiarava che quel pomeriggio, dopo essere stato attirato dalle urla della madre, scendeva in cortile e trovava il carabiniere che aveva tirato fuori l'arma e l'aveva puntata al volto del padre, quindi egli in preda alla rabbia e alla preoccupazione, colpiva con uno schiaffo il carabiniere, aggiungendo che il padre non aveva mai colpito il militare.

Il teste della difesa Ca. Caterina, rispettivamente moglie e madre degli imputati, riferiva che quel pomeriggio, lei e il marito notavano dal balcone l'auto dei carabinieri che arrivava nei pressi di casa loro unitamente al figlio Gi.; il marito quindi si precipitava giù nel cortile perché aveva visto i carabinieri che stavano cercando di metterlo nell'auto di servizio; poi, uno dei carabinieri aveva anche cacciato la pistola e nel frattempo si era creata una gran confusione nel cortile.

La Ca. negava di aver visto il marito aggredire i carabinieri, mentre aveva visto suo figlio Vi. colpire con uno schiaffo uno dei carabinieri.

Ebbene, sulla scorta della esposta ricostruzione dei fatti di causa, univocamente desumibile dai verbali di arresto, dalle deposizioni dei testi qualificati, della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare stante la loro veste qualificata e l'assenza di ogni interesse all'esito del processo, e dal referto medico in atti, gli imputati vanno dichiarato senz'altro colpevoli, innanzitutto, del delitto di resistenza ad un pubblico ufficiale ascritto al capo 2) della rubrica.

In accordo all'opinione comunemente accolta in giurisprudenza, "Integra il delitto di resistenza a pubblico ufficiale qualsiasi condotta attiva od omissiva che si traduca in un atteggiamento-atteggiamento - anche implicito, purché percepibile "ex adverso" - volto ad impedire, intralciare o compromettere, anche solo parzialmente e temporaneamente, la regolarità del compimento dell'atto di ufficio o di servizio da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio. (Fattispecie relativa ad indagato per cessione di stupefacenti che, al fine di ritardare la perquisizione del proprio appartamento e potersi disfare della droga gettandola nel water, aveva lasciato libero il proprio cane rottweiler nelle pertinenze dell'abitazione prima di chiudersi a chiave all'interno, impedendo così l'accesso agli operanti intervenuti per la perquisizione). Sez. 6, Sentenza n. 5147 del 16/01/2014.

Ebbene, che ciò sia accaduto nel caso che ci occupa è attestato in modo indubitabile, ad avviso di chi scrive, dal complesso delle esposte risultanze processuali, dalle quali si evince che il Ma.An., aveva strattonato a più riprese i carabinieri che cercavano di condurre il figlio Gi. in caserma per l'identificazione, avendo egli fornito false generalità, mentre Ma.Vi. prendeva a pugni il car Di., ostacolandoli, in tal modo, nell'esercizio delle loro funzioni istituzionali.

Tali circostanze sono emerse in maniera chiara dalle dichiarazioni dei testi Ca. e Di. e dal verbale di arresto, non rilevando sul punto la circostanza che il Ma.Vi. non abbia materialmente percosso i carabinieri, avendo egli comunque assunto una condotta violenta e oppositiva - attraverso strattonameli e afferrando per il braccio e per la gola il car Di. -, intralciando e compromettendo l'attività dei militari che stavano compiendo un atto di ufficio, consistito appunto nel condurre il figlio Gi. in caserma per l'identificazione Né può dubitarsi della ricorrenza, per entrambi gli imputati, nel caso in esame, del coefficiente psicologico legislativamente richiesto per la configurabilità del delitto, consistente nel dolo specifico, vale a dire nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia nei confronti del soggetto qualificato al fine di opporsi al compimento di un atto dell'ufficio o di intralciare, comunque, l'esercizio delle sue funzioni. E' del tutto evidente, infatti, alla luce della prospettata ricostruzione dei fatti, gli imputati erano perfettamente consapevoli di avere a che fare con dei pubblici ufficiali e che la loro azione era diretta ad impedire che Gi. fosse portato in caserma. Gli imputati vanno ritenuti altresì responsabili del reato di lesioni aggravate di cui al capo b), tenuto conto di quanto riferito dai militari secondo cui il Ma.An. aveva strattonato il car Di. al braccio e lo aveva preso per il collo, mentre il Ma.Vi. lo aveva colpito con pugni all'addome, per cui deve ritenersi che entrambi gli imputati abbiano contribuito a cagionare al car Di. le lesioni personali di cui al referto, tenuto conto altresì della piena compatibilità delle lesioni riportate dal militare rispetto alla dinamica descritta.

Va sottolineato, a tal proposito, che ai fini del perfezionamento del delitto in esame, alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale, il concetto di malattia deve essere inteso come comprensivo di qualsivoglia alterazione, anatomica o funzionale, dell'organismo, ancorché lieve e circoscritta, che comporti un processo di reintegrazione, sia pure di breve durata, della salute della vittima. E' stato, in particolare, sostenuto in giurisprudenza che anche la contusione escoriata può essere ricondotta al genus della malattia, perché, "ledendo, sia pure superficialmente, il tessuto cutaneo, non si esaurisce in una semplice sensazione dolorosa, ma importa un'alterazione patologica dell'organismo" (cfr., tra le altre, Cass. pen., sez. VI, 16.3.1971, n. 343). Nello stesso ordine di idee, la Suprema Corte ha più volte affermato che anche alterazioni anatomiche di minima rilevanza, quali gli ematomi, le ecchimosi o le contusioni, vanno ricompresi nel novero delle "malattie" e, dunque, sussunte nella previsione dell'art. 582 c.p. (cfr., Cass. pen., sez. I, 3.3.1976, n. 9480 e, tra le più recenti, Cass. pen., sez. IV, 19.12.2005, n. 2433). A conclusioni non diverse deve pervenirsi, d'altra parte, in ordine alla configurabilità del delitto in esame per quel che concerne la sua componente soggettiva. Per la sussistenza del dolo nel delitto di lesioni personali non occorre, infatti, che la volontà dell'agente sia diretta alla produzione delle conseguenze lesive, essendo sufficiente l'intenzione di infliggere all'altrui persona una violenza fisica, vale a dire il dolo generico, anche, se del caso, nella forma del dolo eventuale (cfr., tra le altre, Cass. pen., 4.7.1996. n. 6773).

Ebbene, ritiene il giudice che l'istruttoria dibattimentale abbia lasciato emergere con sufficiente chiarezza che gli imputati hanno agito nella piena consapevolezza delle possibili conseguenze della propria condotta e, dunque, quanto meno accettando il rischio che le lesioni verificassero. Sussistono, poi, certamente la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 2 c.p. richiamata dall'art. 576 n. 1) cp.

Con riferimento a quest'ultima fattispecie, invero, il delitto di resistenza a pubblico ufficiale assorbe soltanto quel minimo di violenza che si concreta nelle percosse, non già quegli atti che, esorbitando da tali limiti, siano causa di lesioni personali in danno dell'interessato.

In questa ipotesi, il delitto di lesione non solo concorre con quello di resistenza a pubblico ufficiale, ma se l'atto di violenza, con il quale l'agente ha consapevolmente prodotto le lesioni, non risulta fine a se stesso ed è posto in essere - come risulta evidente nel caso di specie - proprio allo scopo di resistere al pubblico ufficiale, si realizza il presupposto per ritenere la sussistenza della circostanza aggravante della connessione teleologica di cui all'art. 61, n. 2, cod. pen. (Cassazione penale, sez. VI, 15 aprile 2008, n. 27703).

L'evidente identità del disegno criminoso sotteso ai due diversi reati posti in essere dagli imputati induce ad affacciare gli stessi nel vincolo della continuazione, individuando nel delitto di cui all'art. 337 c.p. la violazione più grave alla quale rapportare l'entità della pena-base. Possono concedersi agli imputati le circostanze attenuanti generiche, tenuto conto da un lato dell'ammissione dei fatti da parte di Ma.Vi. e, dall'altro, del ruolo minore assunto nella vicenda da Ma.An..

Considerati, quindi, gli indici di commisurazione del trattamento sanzionatorio cristallizzati nell'art. 133 c.p., appare, pertanto, equo condannare gli imputati alla pena di mesi sei di reclusione alla quale si perviene attraverso i seguenti passaggi: pena base per il più grave reato di resistenza ad un pubblico ufficiale, già ridotta per le generiche, mesi cinque di reclusione, pena aumentata per la continuazione a mesi sei.

Ma.Vi. può ritenersi meritevole del beneficio della sospensione condizionale della pena, potendo ritenersi, alla luce della sua incensuratezza che il predetto si asterrà dalla commissione di nuovi reati.

Non può concedersi invece il predetto beneficio a Ma.Vi., considerati i precedenti e il fatto che ha già goduto di due pene sospese.

Il riconoscimento della penale responsabilità degli imputati comporta la condanna degli stessi, secondo legge, al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara Ma.An. e Ma.Vi. colpevoli dei reati a loro ascritti in rubrica e, concesse le circostanze attenuanti generiche, riuniti i fatti nel vincolo della continuazione, li condanna alla pena di mesi sei di reclusione ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali.

Ordina sospendersi la pena inflitta a Ma.Vi. ai termini e alle condizioni di legge.

Motivi in giorni 45.

Così deciso in Nola il 13 dicembre 2021.

Depositata in Cancelleria il 19 febbraio 2022.

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