Corte appello Napoli sez. VI, 01/07/2024, (ud. 12/06/2024, dep. 01/07/2024), n.7165
Il reato di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 c.p. si configura anche in assenza di contatto fisico o minaccia diretta, laddove la condotta del soggetto agente ostacoli concretamente l'attività del pubblico ufficiale e risulti caratterizzata da violenza, anche indiretta, idonea a mettere in pericolo l'incolumità dei pubblici ufficiali o di terzi.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con sentenza n. 7831/22 emessa dal Tribunale Napoli in data 22.7.22, Si.An. veniva ritenuto penalmente responsabile del reato a lui ascritto e, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Veniva concesso, da ultimo, il beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale.
Il giudizio di colpevolezza espresso dal giudice di prime cure fondava principalmente sulle risultanze probatorie acquisite nel corso del dibattimento da cui emergeva quanto segue: in data 1.12.20 gli agenti di P.S. del Reparto Prevenzione Crimine della Campania notavano l'odierno imputato percorrere con il proprio scooter via (…) ad elevatissima velocità e gli intimavano prontamente l'alt. Alla vista dei militari, tuttavia, il Si. si dava repentinamente alla fuga, dapprima con il motorino per poi, una volta rovinato al suolo, dileguarsi a piedi, venendo bloccato con la forza dalle Forze dell'Ordine.
Avverso la sentenza ha interposto appello la Difesa dell'imputato chiedendo, in via principale, l'assoluzione del proprio assistito per il reato di cui all'art. 337 c.p. con la formula piena o, quantomeno, ai sensi del co. 2 dell'art. 530 c.p.p.: sostiene che l'imputato non avrebbe opposto alcuna resistenza all'operato degli agenti così come sarebbe emerso anche dalla testimonianza della Vu., Sovraintendente della Polizia di Stato all'epoca dei fatti, essendosi il Si. dato semplicemente alla fuga. In subordine, ha chiesto la concessione delle attenuanti generiche con riduzione della pena inflitta nei minimi edittali.
L'odierna udienza si è svolta nelle modalità di cui all'art. 23 bis L. 176/2020.
Ciò premesso, l'appello è infondato e deve essere rigettato.
Al riguardo, va preliminarmente osservato che, quanto al merito della decisione di condanna dell'imputato in ordine al reato contestato per il quale il predetto è stato ritenuto responsabile, questa Corte ritiene integralmente condivisibili la ricostruzione dei fatti e la motivazione posta a fondamento della decisione di primo grado, in aderenza alle risultanze processuali, legittimamente acquisite e pertanto pienamente utilizzabili, da parte del giudice di primo grado, ad esse riportandosi (così come ormai ritenuto legittimo dalla giurisprudenza della Suprema Corte, vedi tra le altre Cass. Sez. I, n. 46350/03 e Cass. Sez. Ili, n.27300/04 che sottolinea come la motivazione della sentenza di secondo grado "deve essere concisa e riguardare gli aspetti "nuovi" o contradditori o effettivamente mal valutati").
E, invero, le censure svolte nel gravame sono state sostanzialmente già esaminate e superate, nel senso della loro infondatezza, dal giudice a quo e, qualora siano dedotte questioni già esaminate e risolte, il giudice del gravame può motivare per relationem (Cass. pen., Sez. V, n. 3751/00). Tale motivazione è consentita con riferimento alla pronuncia di primo grado, laddove le censure formulate contro quest'ultima non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, poiché il giudice di appello non è tenuto a riesaminare dettagliatamente questioni sulle quali si sia già soffermato il primo giudice con argomentazioni ritenute esatte ed esenti da vizi logici, dovendo al contrario procedere ad integrare la motivazione laddove la stessa sia mancante, in virtù del principio di piena devoluzione (Cass. Sez. V, n. 7572/99; Cass. Sez. VI, n. 10260/19).
Per tale motivo la Corte fa proprie, sul punto, le argomentazioni spese nella sentenza impugnata, che possono ritenersi in questa sede integralmente richiamate.
Ritiene di aggiungere questo Collegio, con riguarda alla prima doglianza, che la stessa sia infondata e vada, pertanto, rigettata. Difatti, dal quadro probatorio acquisito in primo grado, basatosi principalmente sulle dichiarazioni rese dalla Vu., in servizio presso il Reparto Prevenzione Crimine Campania all'epoca dei fatti, emergeva come il Si., in data 1.12.2020, veniva attenzionato dagli agenti di P.S., nel corso di un ordinario servizio di controllo espletato in via (…), in quanto sfrecciava in via (…) sul proprio motociclo ad una velocità sostenuta. I militari, pertanto, procedevano repentinamente ad intimargli l'alt ma l'imputato, noncurante del segnale di fermo, accelerava ulteriormente per sfuggire al controllo delle Forze dell'Ordine, costringendo gli agenti ad intraprendere un inseguimento rischioso su un manto stradale bagnato a causa della pioggia. L'imputato, poi, una volta scivolato sull'asfalto, si dava nuovamente alla fuga a piedi, tanto da essere stato bloccato solo in un secondo momento dai poliziotti con l'uso della forza. Il Si., pertanto, con la sua condotta ha certamente integrato gli estremi della resistenza contestata, poiché è notorio come, a tali fini, è necessario che il soggetto agente usi violenza o minaccia per impedire o, comunque, intralciare il compimento da parte del pubblico ufficiale di un atto del suo ufficio o di servizio, indipendentemente dall'esito, fausto o meno, di tale opposizione e dall'effettivo verificarsi dell'ostacolo volto ad impedire il compimento degli atti suddetti. D'altronde, costante giurisprudenza di legittimità è oramai concorde nel sostenere che "per integrare il delitto di resistenza a pubblico ufficiale è sufficiente che l'uso della violenza e della minaccia intralci l'atto di ufficio o di servizio svolto dal pubblico ufficiale e l'autore abbia come obiettivo di indurre questi dall'astenersi dal compimento dì un atto" (Cass. pen., Sez. VI, n. 37041/2003) ragion per cui ai fini della configurabilità del delitto di resistenza a pubblico ufficiale di cui all'art. 337 c.p., l'atto di divincolarsi posto in essere da un soggetto fermato dalla polizia giudiziaria integra il requisito della violenza e non una condotta di mera resistenza passiva, quando non costituisce una reazione spontanea ed istintiva al compimento dell'atto del pubblico ufficiale, ma un vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzarne l'azione ed a sottrarsi alla presa, guadagnando la fuga" (Cass. pen., Sez. II, n. 18/21) e ancora "integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale la condotta di colui che, per sottrarsi alle forze di polizia, non si limiti alla fuga alla guida di un veicolo, ma proceda ad una serie di manovre finalizzate ad impedire l'inseguimento, così ostacolando concretamente l'esercizio della funzione pubblica e ponendo deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida obiettivamente pericolosa, l'incolumità personale degli agenti inseguitori o degli altri utenti della strada" (Cass. pen., Sez. VI, n. 8640/24). Orbene, applicando tali insegnamenti al caso di specie, risulta provata al di là di ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità del Si. per la resistenza volontariamente opposta agli agenti accertatori nella misura in cui l'imputato, lungi dall'essersi soltanto dato alla fuga non facendo uso di alcuna violenza o minaccia, risulta aver tenuto una condotta attiva e pericolosa- consistita nel compiere una serie di manovre spericolate con il proprio motoveicolo su un manto stradale bagnato- allo scopo di sottrarsi all'agere dei militari i quali, intimandogli l'alt, stavano compiendo un atto del loro ufficio - consistente nell'identificare il conducente dello scooter che procedeva ad una velocità superiore ai limiti consentiti in un centro urbano e nel compiere i dovuti accertamenti sul mezzo - mettendo in tal modo a repentaglio l'incolumità dei pubblici ufficiali e quella degli utenti della strada, integrando per l'effetto tutti gli estremi del reato per cui si procede.
Infine, in merito ai motivi quoad poenam, si ritiene pienamente condivisibile e adeguata la dosimetria della pena così come applicata dal giudice di prime cure, tenuto conto anche della concessione delle circostanze attenuanti generiche, che ha consentito di mitigare il trattamento sanzionatorio riservato all'imputato, contenendolo nel minimo edittale.
Sulla scorta di quanto suesposto, pertanto, deriva il rigetto dei motivi di gravame, nonché la conferma della sentenza pronunciata dal giudice di primo grado.
Dal rigetto dell'appello deriva la condanna dell'istante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Visti gli artt. 605 c.p.p. e 23 bis 1. 176/20,
conferma la sentenza n. 7831/22 emessa dal Tribunale di Napoli in data 22.7.22, appellata dall'imputato Si.An., che condanna alle spese del presente grado di giudizio.
Giorni 30 per il deposito della motivazione.
Provvedimento redatto con la collaborazione del Funzionario del Processo Dr.ssa As.Sa.
Così deciso in Napoli il 12 giugno 2024.
Depositata in Cancelleria l'1 luglio 2024.