Tribunale Nola, 27/01/2022, n.177
Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) non richiede che la violenza o la minaccia impediscano effettivamente l'atto d'ufficio, essendo sufficiente che siano poste in essere con tale finalità. La causazione di lesioni personali agli agenti operanti, anche nell'ambito della resistenza, configura un distinto reato concorrente se le lesioni eccedono il minimo di violenza necessaria per opporsi al compimento dell'atto.
Svolgimento del processo
Il PM presso il Tribunale di Nola presentava, per la convalida ed il contestuale giudizio per direttissima, Tu.To., arrestato in flagranza per i fatti di cui in epigrafe, per l'udienza del 22/11/2021. In quella sede, in presenza dell'arrestato, si procedeva alta relazione della p.g. operante e l'imputato rendeva spontanee dichiarazioni. Al termine il PM chiedeva la convalida dell'arresto e l'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari; il difensore non si opponeva alla convalida ma chiedeva applicarsi misura meno gravosa o alcuna misura.
Il Giudice, sentite le partì, con ordinanza al termine dell'udienza convalidava l'arresto dell'imputato, applicando al Tu.To. l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. L'imputato, personalmente e per tramite del proprio difensore, chiedeva un termine a difesa per accedere al rito abbreviato. Il Giudice, sentite le parti, rinviava all'udienza odierna per il mutamento del rito.
Alla presente udienza, il Giudice acquisiva il fascicolo del PM e, ritenuto possibile decidere allo stato degli atti, ordinava il mutamento del rito ed invitava le parti a rassegnare le conclusioni di cui in epigrafe.
Questo Giudice decideva dopo essersi ritirato in camera di consiglio come da dispositivo ietto in udienza ed allegato al verbale, con redazione contestuale dei motivi.
Motivi della decisione
Ritiene questo giudice che l'istruttoria dibattimentale ha confermato oltre ogni ragionevole dubbio l'ipotesi accusatoria, con la conseguenza che l'imputato va dichiarato colpevole dei reati in rubrica contestati.
Giova nel merito rilevare che gli elementi di prova utilizzabili da questo Giudice sono costituiti dagli atti contenuti nel fascicolo del PM, utilizzabili in ragione del rito, ovvero la c.n.r. redatta dalla Legione Carabinieri Campania - stazione di Sant'Anastasia il 22/11/2021. il verbale d'arresto in flagranza nei confronti dell'imputato e dalla connessa relazione sui motivi dell'arresto effettuata dalla p.g. operante, nonché dalle prove documentali in atti, ovvero i referti medici rilasciati nell'immediatezza dei fatti nei confronti degli agenti persone offese e dello stesso imputato.
Il compendio probatorio si compone, inoltre, delle dichiarazioni rese dall'imputato in sede di convalida dell'arresto.
Con riferimento, dunque, alle fonti di prova menzionate devono essere seguiti i canoni di valutazione che la giurisprudenza della Suprema Corte indica quando la piattaforma probatoria sia costituita da fonti dichiarative, raccolte in verbali utilizzabili ai fini della decisione, rese da persone estranee rispetto alla vicenda processuale.
Ebbene, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l'affermazione secondo cui se deve ritenersi esclusa la possibilità di recepire acriticamente una dichiarazione senza un vaglio critico dell'attendibilità della stessa, svolto assumendo a riscontro tutti gli elementi della vicenda, la prova deve ritenersi sussistente e raggiunta quando la dichiarazione, sia essa raccolta in un verbale, sia essa resa a dibattimento, risulti logicamente e armonicamente inserita nel contesto dell'intera vicenda.
Applicando al caso di specie l'esposta regola di giudizio, ritiene questo Giudice che non vi sia motivo di dubitare dell'attendibilità del contenuto dei verbali redatti dalla P.G. attesa l'assenza di incongruenze o di altri vizi logici - ed anzi, sussistendo molteplici riscontri documentali alla ricostruzione accusatoria - tenuto altresì conto della credibilità dei propalatori, rivestendo costoro, nell'esercizio delle proprie funzioni, la qualifica di pubblico ufficiale, veste, questa, che lascia presupporre mancanza di interesse privato all'esito del processo.
Dalla comunicazione notizia di reato e dal verbale d'arresto, confermati dalla relazione effettuata dalla p.g. in udienza di convalida, è emerso che in data 22/11/2021, alle ore 01:25 circa personale operante della Legione Carabinieri - stazione di Sant'Anastasia si recava in Via (…) n. 25, su richiesta di Tu.Mi., fratello dell'arrestato.
Tu.Mi. lamentava che il fratello Tu.To. si era barricato in casa, impedendo l'accesso al richiedente ed alla madre Bu.Vi.. Giunti sui posto, in divisa di istituto, alle successive 01:40 i militari notavano la presenza di Tu.To. all'esterno della sua abitazione, sul pianerottolo. Questi, alla vista dei militari, che si qualificavano e cercavano di comprendere l'accaduto ed i motivi della segnalazione, improvvisamente e repentinamente si scagliava contro gli operanti, dapprima spingendo l'App. Sc. QS Ia. verso una finestra aperta, percuotendo poi con un pugno sulla tempia sinistra e con una gomitata al torace il vice brigadiere Io.
Il Tu.To., inoltre, colpiva con un pugno alla tempia destra il Car. Sc. Al. che, a seguito del colpo ricevuto e del peso del Tu.To., rovinava a terra, rotolando per la rampa di scale e riportando lesioni al ginocchio destro ed all'avambraccio sinistro. Anche il V. Brig. Ie. e il V. Brig. Io., nel tentativo di bloccare il soggetto, venivano spinti dallo stesso, rovinando anch'essi per le rampe di scale, riportando parimenti lesioni.
Solo con lo sforzo congiunto di tutti i militari il Tu.To. veniva bloccato e, nei mentre, gli operanti notavano che il prevenuto occultava nella tasca sinistra dei pantaloni un coltello da cucina a lama seghettata e con manico in plastica, prontamente restituito ai familiari dell'arrestato.
Gli operanti sollecitavano l'intervento del 118 ed il Tu.To. - non senza difficoltà da parte degli operanti, stante il suo atteggiamento nervoso e intemperante - veniva condotto presso il presidio ospedaliero "Ma." di Torre del Greco per un consulto psichiatrico. Come confermato dal referto in atti, il Tu.To. veniva successivamente dimesso con diagnosi di "intossicazione acuta da alcool, non specificata - abuso da alcol".
Altresì i militari intervenuti si recavano presso il locale nosocomio, dove venivano refertate lesioni personali occorse in loro danno per la prognosi di giorni tre ciascuno, come confermato dai referti medici in atti.
Per tali evidenze il Tu.To. veniva condotto in stato di arresto.
Così ricostruite le prove a sostegno dell'accusa, la ricostruzione dei fatti non risulta smentita dalle dichiarazioni rese dall'arrestato in sede di convalida, il quale, pur non negando la materialità dei fatti a lui ascritti - né potendo farlo, stante l'evidenza degli elementi a suo carico - si è limitato ad asserire di non aver avuto l'intento di ledere gli operanti, a suo dire involontariamente colpiti nel corso della colluttazione. Tali dichiarazioni, tuttavia, risultano del tutto sprovviste di sufficienti riscontri gravi, precisi ed individualizzanti e si scontrano con la ricostruita dinamica degli eventi, in occasione della quale il Tu.To. reagiva all'intervento delle forze dell'ordine con colpi così mirati, reiterati e connotati da un grado di violenza fisica tale da non potersi definire involontari e occasionali.
Tali essendo le risultanze probatorie va integralmente confermato l'impianto accusatorio, con la conseguenza che, nella sussistenza degli elementi costitutivi oggettivi e soggettivi dei reati in contestazione, va dichiarata la penale responsabilità dell'imputato per i reati ascritti.
Con riferimento ai reati di cui al capo 1), ne sussistono tutti gli elementi oggettivi e soggettivi.
Infatti, gli atti acquisiti al fascicolo del dibattimento hanno dimostrato pienamente che t'imputato non esitò ad ingaggiare una colluttazione con gli agenti operanti intenzionati ad identificarlo ed a condurlo presso gli uffici per gli ulteriori accertamenti, arrecando loro altresì lesioni personali.
Con riferimento alla fattispecie di cui all'art. 337 c.p. sussiste infatti uno degli elementi costitutivi della condotta, ossia la violenza, posta in essere con la consapevolezza e volontà di impedire che gii agenti procedessero al controllo. Orbene, dagli atti acquisiti è difatti emerso senza alcun dubbio che gii operanti stavano svolgendo attività d'ufficio, essendo intervenuti proprio su segnalazione proveniente dai familiari del Tu.To. ed intendevano procedere all'identificazione ed al controllo del Tu.To., in ciò sostanziandosi il primo atto d'ufficio impedito dalla condotta dell'imputato. L'imputato, reso edotto del fatto che doveva seguire gli operanti presso gli uffici, andava in escandescenze, dimenandosi violentemente dalla presa degli agenti, bloccando le loro mani e le loro braccia, graffiandoli e provocando loro contusioni, e cercava ulteriormente di opporsi agli atti connessi all'identificazione ed alle operazioni di controllo, realizzando fatti pienamente sussumibili nella fattispecie delittuosa prevista e punita dall'art. 337 c.p..
Né rileva, in senso contrario alla sussistenza del reato ex art. 337 c.p., che gli operanti abbiano poi proceduto all'arresto dell'imputato (peraltro dopo un intervento congiunto di quattro militari).
La Suprema Corte, infatti, ha condivisibilmente affermato che "l'integrazione del reato non richiede che sia impedita, in concreto, la libertà di azione del p.u., essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi ed compimento di un atto di ufficio o di servizio, indipendentemente dall'esito positivo o negativo di tale azione ed dell'effettivo verificarsi di un impedimento che ostacoli il compimento degli atti predetti" (Cass, VI, 29.1.2010, n. 3970).
Quanto all'elemento psicologico, "il dolo specifico si concreta nel fine di ostacolare l'attività pertinente al pubblico ufficio o servizio in atto, cosicché il comportamento che non risulti tenuto a tale scopo, per quanto eventualmente illecito ad altro titolo, non integra il delitto in questione" (Cass. VI, 15.4.2003 e VI 3.3.2004). Non può dubitarsi della piena consapevolezza e volontà da parte dell'imputato di opporsi all'atto del controllo da parte di personale di polizia perfettamente riconoscibile in quanto indossante divisa di istituto e qualificatosi, come si è reso evidente non solo nelle già descritte modalità dei fatto, a prescindere da qualsivoglia movente abbia in concreto animato l'imputato ("In tema di resistenza a pubblico ufficiale, il dolo specifico si concreta nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccici al fine di opporsi al compimento di un atto dell'ufficio, mentre del tutto estranei sono lo scopo mediato ed i motivi di fatto avuti di mira dall'agente" - Sez. 6, n. 38786 del 17/09/2014 - dep. 23/09/2014, Ek., Rv. 26046901). Né il documentato stato di alterazione alcolica incide in alcun modo sulla sussistenza della coscienza e volontà del fatto da parte del Tu.To., perfettamente in grado di comprendere la portata del suo comportamento (non negato, peraltro, nella sua materialità dall'imputato in sede di dichiarazioni spontanee).
A ben vedere, dunque, sussiste nel caso di specie un concorso formale omogeneo di reati ex art. 337 c.p. (cfr. Sez. Un., n. 40981 del 22/02/2018 - dep. 24/09/2018, Ap., Rv. 27377101 "In tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra un concorso formale di reati, a norma dell'art. 81, comma primo, cod. pen., la condotta di chi, nel medesimo contesto fattuale, usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio"), ben contestato in fatto dai PM nonostante l'omissione formale nel capo di imputazione all'art. 81 c.p. (cfr., in relazione all'istituto del reato continuato, ma con motivazione parimenti estendibile al caso di specie stante l'analogia tra le due figure "Non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la decisione di condanna in cui è ritenuta la sussistenza della continuazione tra più condotte, tutte autonomamente integratici della norma incriminatrice contestata, e non un unico fatto di reato, anche nel caso in cui non vi è nel capo di imputazione il riferimento all'art. 81 cod. pen., posto che ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto e non l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati. "Sez. 5, n. 9706 del 30/01/2015 - dep. 05/03/2015, Ro., Rv. 26259201). Pur ritenendo unitaria la condotta di resistenza perpetrata con la colluttazione, devono considerarsi integrate tre ipotesi concrete ex art. 337 c.p. essendo tre gli agenti coinvolti e lesi dalla condotta delittuosa del Tu.To.
Sussistono infine tutti gli elementi dei reati di cui al capo
2) dell'imputazione per avere l'imputato, attraverso la condotta di resistenza, provocato lesioni agli agenti Io., Ie. e Al., come emerso dalle modalità del fatto descritte nel verbale d'arresto e confermato dai referti medici in atti, che attestano la sussistenza in data 22/11/2021 di lesioni personali nei confronti degli operanti perfettamente compatibili con la ricostruita dinamica degli eventi (distorsione al braccio sinistro, contusione al ginocchio destro ed escoriazione al padiglione auricolare destro per Al., contusioni al volto ed al torace per Io., contusione alla spalla sinistra e ginocchio sinistro per Ie., tutte lesioni con prognosi di giorni tre).
Questo Giudice, infatti, concorda con il risalente orientamento giurisprudenziale, secondo il quale deve intendersi per lesione qualsiasi alterazione anatomica o funzionale dell'organismo, anche, come nel caso in esame, localizzata o circoscritta, di lieve entità e non influente sulle condizioni organiche generali, che comunque abbia comportato un processo di reintegrazione sia pur di breve durata. Come riconosciuto dalla Suprema Corte, infatti, "La nozione di "malattia" nella fattispecie di lesioni personali non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono anche mancare, bensì solo quelle alterazioni da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico ovvero una compromissione delle funzioni dell'organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 40428 dei 11/06/2009 Ud. (dep. 16/10/2009) Rv. 245378 - 01).
Né sussistono dubbi in ordine alla coscienza e volontà delle condotte di cui ai capo 2) dell'imputazione, in ragione dei fatto che l'imputato ha volontariamente realizzato le lesioni alle persone offese attraverso azioni che, per modalità e reiterazione dei colpi, non possono dirsi affatto involontarie, anzi, evidentemente animate dal fine di ottenere l'impunità ed evitare l'arresto.
Ciò premesso quanto alla sussistenza dei fatti contestati ed alla responsabilità dell'imputato, non sussistono i presupposti di legge per l'applicazione dell'art. 131 bis c.p. (in ogni caso precluso ex lege per il reato di cui al capo 1)), in ragione del numero e della gravità dei reati commessi dai Tu.To., dalla contestualità spazio - temporale in cui gli stessi sono stati commessi, praticamente senza soluzione di continuità, il che rende assolutamente non tenue l'offesa ai beni giuridici in questione. Inoltre la sussistenza di un precedente penale specifico per un reato violento (nella specie, per atti persecutori) induce a ritenere il Tu.To. un soggetto aduso ad una certa aggressività.
In ordine alla commisurazione della pena deve osservarsi quanto segue, in primo luogo sussiste l'aggravante di cui agii artt. 576 co. 3 lett. 5 bis, richiamata dall'art. 585 c.p. in relazione ai reati contestati al capo 2) dell'imputazione. Gli atti acquisiti hanno chiaramente dimostrato, in fatto, che il Tu.To. arrecava lesioni personali nei confronti di agenti di polizia giudiziaria in servizio, né in punto di diritto l'aggravante può dirsi assorbita dal concomitante reato di resistenza al pubblico ufficiale.
Secondo l'orientamento non unanime ma decisamente maggioritario nella giurisprudenza di questa Corte - cui questo Giudice intende aderire - "Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale assorbe soltanto quel minimo di violenza che si concretizza nella resistenza opposta al pubblico ufficiale che sta compiendo un atto del proprio ufficio, non anche degli ulteriori atti violenti che, esorbitando da tali limiti, cagionino al medesimo lesioni personali, nel qual caso è configurarle il reato di lesioni personali aggregato dall'essere stato commesso in danno di un pubblico ufficiale, che può concorrere con il primo. (Fattispecie in cui, dopo un iniziale spintonamento, l'imputato aveva continuato ad aggredire e strattonare un agente di polizia che gli aveva chiesto di fornire generalità e di seguirlo in ufficio)" (Sez. 6, Sentenza n. 24554 del 22/05/2013 Ud. (dep. 05/06/2013) Rv. 255734 - 01).
Pertanto nei casi come quello di specie - in cui la condotta di resistenza trasmoda, altresì, nella causazione di lesioni personali, evenienza comune ma non automatica, e quindi non assumibile come postfatto della condotta di cui all'art. 337 c.p. - il reato di lesioni personali è aggravato dall'essere stato commesso in danno di un pubblico ufficiale, e può concorrere con quello previsto e punito dall'art. 337 c.p.. Infatti, posto che le circostanze dei reato non possono confondersi con gii elementi costitutivi del fatto, la condotta resistente e quella lesiva sono fatti diversi tra loro non in rapporto di specialità, che possono pertanto ben concorrere.
Tuttavia, l'aggravante in questione deve ritenersi assorbita, nel caso di specie, dalla concomitante e sussistente aggravante teleologica, contestata dal PM. Come riconosciuto dalla Suprema Corte, infatti, "In tema di reati contro la persona, l'aggravante del nesso teleologico tra il reato di lesioni personali e quello di resistenza a pubblico ufficiale assorbe necessariamente l'aggravante di avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale di cui all'art. 576, comma primo, n. 5 bis" (Sez. 5, Sentenza n. 25533 del 03/06/2015 Ud. (dep. 17/06/2015) Rv. 263913 -01).
Ed infatti quando viene prospettato il nesso teleologico fra le lesioni personali e la resistenza contro un pubblico ufficiale, le lesioni non possono che essere rivolte in danno del pubblico ufficiale. Per questo non è possibile contestare l'aggravante di cui all'art. 576 co. 1 n. 5-bis c.p., in quanto se le lesioni sono aggravate dall'aver commesso il reato per eseguirne un altro, vale a dire la resistenza contro il pubblico ufficiale, la persona offesa non può che essere il pubblico ufficiale. Pertanto, in questo caso l'aggravante teleologica assorbe necessariamente l'aggravante di aver commesso il fatto contro un pubblico ufficiale.
Gli atti acquisiti al fascicolo hanno dimostrato senza dubbio alcuno che il Tu.To. arrecava lesioni personali agii agenti operanti al fine di concretizzare le condotte di resistenza contestate al capo 1) dell'imputazione, ovvero per impedire l'identificazione, il controllo e l'arresto da parte delle forze dell'ordine. Sussiste, infine, la contestata recidiva nei confronti del Tu.To. - in realtà specifica ed infraquinquennale, ma contestata dal PM nella sola forma semplice ("La contestazione della recidiva "ex art. 99 cod. pen.", senza ulteriori specificazioni, esclude che il giudice possa ritenere la sussistenza di una tipologia di recidiva diversa e più gr'ave di quella semplice" (Sez. 2, Sentenza n. 5663 del 20/11/2012 Ud. (dep. 05/02/2013) Rv. 254692 - 01) - in quanto l'imputato annovera un precedente definitivo per atti persecutori e, stante la medesima indole violenta e lo scarso lasso temporale intercorso dai fatti e dalla condanna, non vi sono elementi per una disapplicazione.
Non sussistono elementi positivamente valutabili ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. L'oggettiva gravità dei fatti, le modalità delle condotte, concretizzatasi in più atti di resistenza oggettivamente pericolosi, l'intensità del dolo dell'imputato, che non ha esitato ad ingaggiare una lotta con più agenti di polizia giudiziaria, rappresentano fattori che, in uno con la personalità dell'imputato, gravato da un precedente penale grave e specifico, non permettono di fondare un giudizio di particolare meritevolezza ex art. 62 bis c.p.
In conclusione, va quindi dichiarata la penale responsabilità dell'imputato in relazione ai reati in contestazione, rispetto ai quali si ravvisa altresì il vincolo della continuazione, essendo le accertate condotte illecite dolose validamente riconducibili a un'unitaria previsione e progettazione volitiva, in considerazione delle circostanze e modalità dell'azione, nonché del contesto spazio temporale ravvicinato in cui tutte le condotte si sono esplicate, il che induce a considerare che non si sia trattata di una estemporanea e rapida risoluzione delittuosa, ma che l'imputato si sia anche rappresentato e prospettato l'eventualità di dover porre in essere condotte reattive nei confronti delle forze dell'ordine, eventualmente - come accaduto nel caso di specie - produttive di lesioni personali.
Deve ritenersi reato più grave quello contestato al capo 2) dell'imputazione, in ragione del più elevato massimo edittale e tenuto conto delle circostanze ("In tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all'eventuale giudizio di comparazione fra di esse" - Sez. Un., n. 25939 del 28/02/2013 - dep. 13/06/2013, P.G in proc. Ci. e altro, Rv. 25534701).
Alla luce dei criteri fissati dall'art. 133 c.p., tenuto conto dei medesimi fattori che escludono la concessione delle generiche, della elevata gravità dei fatti, realizzati senza soluzione di continuità, e dell'intensità del dolo dell'imputato, gravato da un precedente specifico, appare equa questo Giudice una pena finale di anni di uno e mesi quattro di reclusione, così calcolata:
- pena base per uno dei reati di cui ai capo 2): sei mesi di reclusione;
- aumentata, per la ritenuta circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 2 c.p., ritenuta in essa assorbita l'aggravante di cui all'art. 576 n. 5 bis c.p., alla pena di mesi otto di reclusione;
- aumentata, per la contestata recidiva, alla pena di mesi nove di reclusione:
- aumentata, per la continuazione con gli altri due reati di lesioni personali contestati al capo 2) ad anni uno e mesi tre di reclusione (tre mesi di aumento per ciascuna delle altre due ipotesi contestate al capo 2);
- aumentata per la continuazione con i tre reati di resistenza in concorso formale omogeneo di cui al capo 1) alla pena di anni due di reclusione (tre mesi di aumento per ciascuno dei tre reati di resistenza);
- ridotta, per la scelta del rito, alla pena finale di cui sopra;
Segue per legge la condanna alle spese processuali ed a quelle di mantenimento in carcere, se dovute. Non sussistono i presupposti per il riconoscimento della sospensione condizionale della pena in favore dell'imputato, già recidivo.
P.Q.M.
Letti gli art. 438, 533 e 535 c.p.p. dichiara Tu.To. colpevole dei reati a lui ascritti e, assorbita la contestata aggravante di cui agli artt. 585 e 576 co. 1 n. 5 bis c.p., ritenuta la contestata recidiva, avvinti i reati dal vincolo della continuazione, applicata la riduzione per il rito, lo condanna alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e delle spese di mantenimento in carcere, se dovute.
Provvede con separata ordinanza sulla richiesta di revoca della misura cautelari.
Motivi contestuali.
Così deciso in Nola il 27 gennaio 2022.
Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2022.