Tribunale Nola, 10/09/2024, n.1618
La condotta violenta e minacciosa diretta ad ostacolare l'attività legittima di pubblici ufficiali integra il reato di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 c.p., con concorso del delitto di lesioni personali aggravate ex artt. 582, 585 c.p. e 576 c.p., quando l'azione lesiva eccede la mera opposizione passiva, provocando lesioni fisiche ai pubblici ufficiali durante lo svolgimento delle loro funzioni. La circostanza aggravante teleologica ex art. 61 n. 2 c.p. si configura in relazione al nesso strumentale tra i due reati, senza che ciò escluda il concorso materiale tra le fattispecie. Il dolo generico di evasione ex art. 385 c.p. si realizza con la consapevole e volontaria sottrazione, anche temporanea, al regime detentivo domiciliare senza giustificazione urgente o autorizzazione.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
A seguito di arresto operato dal personale dei CC di Acerra, Co.Vi. era presentato in data 2.9.24 dinanzi a questo Giudice per la convalida dell'arresto ed il giudizio direttissimo.
In sede di udienza di convalida veniva acquisito il verbale di arresto anche nel suo contenuto ed escusso il verbalizzante con domante a chiarimento - in servizio presso la Compagnia CC di Acerra, e successivamente veniva sentito l'arrestato, che ammetteva gli addebiti mostrandosi pentito.
Convalidato l'arresto su richiesta del pubblico ministero, prima di dichiarare aperto il dibattimento, l'imputato personalmente avanzava richiesta di definizione del rito con rito abbreviato e la difesa di rinvio con termini a difesa, il Giudice trasformava il rito e rinviava il processo all'udienza del 10.09.2024.
All'odierna udienza, il Giudice acquisiva materialmente il fascicolo del PM, che lo stesso si era riservato di produrre, e dichiarava l'utilizzabilità del materiale istruttorio presente al fascicolo del dibattimento e chiusa l'istruttoria invitando le parti a formulare le rispettive conclusioni riportate in epigrafe.
Il Giudice si ritirava in camera di consiglio, all'esito della stessa, pronunciava sentenza resa pubblica mediante la lettura del dispositivo in udienza con motivi contestuali della sentenza.
Osserva il Giudice che le risultanze processuali comprovano univocamente, oltre ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità dell'imputato per i fatti come contestati. Risulta dalle fonti di prova presenti al fascicolo del PM poste a fondamento della decisione l'assoluta colpevolezza dell'imputato per i reati a lui ascritti.
La vicenda oggetto del procedimento che occupa veniva dettagliatamente ricostruita a mezzo l'ordinanza di convalida dell'arresto del 02.09.2024 nei confronti dell'imputato. Dagli atti emergeva che, in virtù delle risultanze investigative documentate nel verbale di arresto atto redatto da pp.uu. nell'esercizio delle loro funzioni, soggetti privi di interesse personale nel procedimento e quindi altamente credibili, in data 2 settembre 2024, il personale operante in servizio presso la Staz. CC di Acerra, su richiesta della centrale operativa, si recava in Acerra in via (...) altezza civico (...), dove era stata segnalata la presenza di una persona che minacciava i passanti brandendo una pistola. Appresa la notizia, i Militari raggiungevano il posto e rinvenivano sul marciapiede un uomo a piedi che vedendoli esclamava voi cosa volete andate via chi vi ha chiamato, nella circostanza l'uomo aveva la mano destra nella tasca dei pantaloni in corrispondenza della quale veniva notata una protuberanza assimilabile a quella di una pistola. I militari intimavano all'uomo di alzare le mani e di inginocchiarsi, ma lo stesso continuava a dire ho detto che dovete andare via ve ne dovete andare e ancora una volta muoveva l'oggetto all'interno della tasca del pantalone assimilabile ad un'arma.
I militari a questo punto approfittando di un momento di distrazione lo bloccavano al suolo.
Nel tentativo di ammanettarlo, durante una colluttazione l'imputato si dimenava scuotendo braccia e gambe per poi rotolare continuando a stringere e proteggere quanto celato nella tasca dei pantaloni, e colpiva i militari che rovinavano anche loro a terra causando all'app. Persico una ferita alla mano dx e braccio dex guaribili in gg 4 come da referto in atti mentre al car. Cr. trauma al braccio sx, ginocchio sx e mano destra con escoriazioni, guaribili in gg 4 come da referto in atti. Anche l'imputato veniva fatto visitare perché a seguito della colluttazione riportava la frattura del 5 osso metacarpale e gli veniva immobilizzata la mano dx.
Il Co. da accertamenti in banca dati risultava sottoposto alla misura della detenzione domiciliare in virtù del provvedimento dell'11.06.24 (siep. 293/ 2024). Lo stesso veniva rinvenuto a circa 300 mt. dal luogo di sottoposizione alla misura della detenzione domiciliare. L'oggetto che lo stesso maneggiava nella tasca risultava essere una sparachiodi che veniva sottoposta a sequestro.
L'imputato durante l'interrogatorio in sede di convalida dell'arresto, ha ammesso gli addebiti mostrandosi pentito. Lo stesso riferiva di essere in cura presso il centro di igiene mentale di Afragola e di aver sospeso l'assunzione dei farmaci prescritti circostanza che avrebbe causato il suo stato di agitazione.
Queste le risultanze processuali, ritiene il Giudice provata la penale responsabilità per le contestazioni ascritte.
S'impone una disamina distinta dei singoli delitti oggetto della contestazione accusatoria. CAPO 1) art. 337 c.p.
Deve ritenersi pienamente provata, oltre ogni dubbio ragionevole, la penale responsabilità dell'imputato per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale.
Tale reato si configura laddove il soggetto ponga in essere una condotta aggressiva, violenta o minacciosa tale da coartare la libertà del pubblico ufficiale mentre compie un atto del proprio ufficio o che sia idoneo ad ostacolare l'esplicazione della propria funzione. Infatti, la norma salvaguarda la libertà di azione del pubblico ufficiale ed è posta a tutela della pubblica amministrazione.
La condotta criminosa sanzionata è specificamente diretta ad ostacolare il compimento dell'attività doverosa e legittima del pubblico ufficiale sicché la violenza o minaccia è usata durante il compimento dell'atto d'ufficio al fine di impedirlo e di opporsi ad esso senza restare nell'ambito della mera manifestazione offensiva quale espressione di un semplice disprezzo verso il pubblico ufficiale.
Rientra nell'ambito delle condotte penalmente rilevanti e sanzionabili, ogni comportamento idoneo ad opporsi all'atto che il pubblico ufficiale sta doverosamente compiendo che costituisca oggettivamente minaccia e ponga in pericolo la pubblica e privata incolumità quali, la guida spericolata inseguiti dagli agenti, il divincolarsi o lo strattonare, esulando tali condotte dalla mera resistenza passiva.
Al riguardo, ha statuito la Suprema Corte di Cassazione che, ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 337 c.p., l'atto di divincolarsi posto in essere da un soggetto fermato dalla polizia giudiziaria integra il requisito della violenza e non una condotta di mera resistenza passiva, quando non costituisce una reazione spontanea ed istintiva al compimento dell'atto del pubblico ufficiale, ma un vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzarne l'azione ed a sottrarsi alla presa, guadagnando la fuga (cfr. Cass. pen. Sez. 6, Sentenza n. 8997 del 11/02/2010 Imputato: Palumbo e altro; conforme Sez. 6, Sentenza n. 35125 del 26/06/2003 Imputato: Gr.).
La materialità del delitto di resistenza al pubblico ufficiale è integrata, infatti, anche dalla violenza cosiddetta impropria, la quale, pur non aggredendo direttamente il suddetto soggetto, si riverbera negativamente nell'esplicazione della relativa funzione pubblica, impedendola o semplicemente ostacolandola. Solo la resistenza passiva, in quanto negazione di qualunque forma di violenza o di minaccia, rimane al di fuori della previsione legislativa di cui all'art. 337 c.p. (cfr. Cass. pen. Sez. 6, Sentenza n. 7061 del25/05/1996 Imputato: Solfazzi). Non è, poi, necessario che sia impedita, in concreto, la libertà di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, indipendentemente dall'esito positivo o negativo di tale azione e dall'effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento degli atti predetti (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 46743 del 06/11/2013 Ud. dep. 22/11/2013 Rv. 257512).
Quanto al profilo psicologico, la fattispecie richiede la coscienza e volontà di usare violenza o minaccia per opporsi al compimento dell'atto e la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un rappresentante dell'autorità che sta adempiendo ad un dovere del proprio ufficio (cfr.Cass.pen.sez.6 16.4.2004 nr. 17701 imp. Fontana).
L'elemento psicologico è costituito dall'azione dell'imputato diretta a sfuggire comunque all'operato del pubblico ufficiale, e cioè nella coscienza e volontà di precludergli, con la propria condotta minacciosa e violenta, l'atto di ufficio ritenuto pregiudizievole ai propri interessi (Sez. 6, Sentenza n. 12554 del 30/10/1985), mentre del tutto estranei sono lo scopo mediato ed i motivi di fatto avuti di mira dall'agente (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 9119 del 01/06/1995).
Tanto premesso, non può dubitarsi, nel caso di specie, della sussistenza del reato contestato al capo l) dell'odierna imputazione riconducibile all'odierno imputato.
Ed invero, la condotta posta in essere dall'imputato descritta sia negli atti della P.G. da agenti qualificati intrinsecamente credibili che hanno relazionato su attività istituzionale doverosa del proprio ufficio, si è estrinsecata in comportamenti positivi e fattivi finalizzati ad interdire e contrastare l'attività d'ufficio del pubblico ufficiale.
Nello specifico, l'imputato ha posto in essere una condotta aggressiva e violenta ai danni dei militari concretizzatasi nel minacciare i militari muovendo un oggetto simile ad un'arma nella tasca intimandogli di andare via, nel colpirli causandogli le lesioni come da referti in atti, mentre gli stessi tentavano di disarmarlo e nel porre in essere una colluttazione con i militari. Si tratta, dunque, di una condotta reiterata, ostinata, indicativa di pervicacia ed intenzionalità dolosa di intrinseca, obiettiva pericolosità e capacità intimidatoria la quale, lungi dal costituire una mera forma di contestazione o di malanimo ovvero un tentativo di fuga passivo, è connotata da violenza ed aggressività e deve ritenersi strettamente correlata e consequenziale all'attività doverosa che gli agenti stavano compiendo in virtù della rispettiva qualifica di pubblici ufficiali.
Le circostanze sopra evidenziate dimostrano pacificamente il dolo del reato, non potendosi nutrire alcun dubbio circa la intenzionalità della resistenza attuata contro gli agenti di polizia, peraltro, ben riconoscibili dall'imputato, trattandosi di carabinieri in divisa d'ordinanza.
Capo 2) dagli artt. 81,582 c.p.,585 c.p. in relazione all'art. 576 c.p. c. 1 n. 1 e c. 5 bis, 61 n. 2 c.p.
L'imputato va ritenuto, altresì, responsabile del delitto di cui agli artt. 61 co. 1 n.2 c.p. 582 c.p. - 585 c.p. in relazione all'art. 576 c.p. per la condotta posta in essere nei confronti dell'Ap Sc. Vi.Pe. e car. Cr.El.
Risulta dunque provata la responsabilità del delitto di cui agli artt. 582 e 585 c.p. e collegato causalmente e psicologicamente all'azione come descritta al capo l) essendo le lesioni riportate dal pubblico ufficiale conseguenza diretta ed immediata della resistenza opposta all'atto doveroso che lo stesso stavano compiendo in tale qualità, cagionate proprio dalla finalità di reagire ed opporsi ad esso. Emerge infatti dagli atti che i militari dopo aver intimato all'imputato di inginocchiarsi e alzare le mani, e stante il suo rifiuto, nell'avvicinarsi all'imputato per tentare di fermarlo, venivano coinvolti in una colluttazione durante la quale i militari venivano dallo stesso aggredito e, nello specifico, colpiti e fatti rovinare a terra. Si tratta di lesioni consistite per all'app. Persico una ferita alla mano dx e braccio dex guaribili in gg 4 come da referto in atti mentre per il car. Cr. trauma al braccio sx, ginocchio sx e mano destra con escoriazioni, guaribili in gg 4 come da referto in atti, compatibili, quanto a tipologia, orario, luogo e dinamica dell'accaduto con la descrizione dei fatti resa negli atti di P.G. nonché dalle dichiarazioni riportate dai verbalizzanti.
Il referto di cui sopra rappresenta un documento che certifica le condizioni di salute con attestazioni provenienti da un pubblico ufficiale - il medico del pronto soccorso - che ha riscontrato direttamente e dichiarato nella sua qualità certificativa.
Le lesioni devono ritenersi derivate, in termini di causalità, dalla resistenza attuata dall'imputato, sia pur con dolo eventuale ed accettazione del rischio delle conseguenze della propria azione aggressiva, nei confronti del pubblico ufficiale. Infatti, per giurisprudenza costante:
"Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale assorbe soltanto quel minimo di violenza che si concretizza nella resistenza opposta al pubblico ufficiale che sta compiendo un atto del proprio ufficio, non anche gli ulteriori atti violenti che, esorbitando da tali limiti, cagionino al medesimo lesioni personali: in quest'ultima ipotesi il reato di lesioni personali è aggravato dall'essere stato commesso in danno di un pubblico ufficiale e può concorrere con quello previsto dall'art. 337 cod. pen." (cfr. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 7195 del 08/02/2013, Rv. 254721 Imputato: Sema; Sez. 2, Sentenza 11, 14-20 del 14/12/2012 Rv. 254127 Imputato: Be.). Qualora l'atto di violenza con il quale l'agente ha consapevolmente prodotto le lesioni, non è fine a sé stesso ma è stato posto in essere allo scopo di resistere al pubblico ufficiale, si realizza il presupposto per ritenere la sussistenza della circostanza aggravante della connessione teleologica di cui all'art. 61, n. 2 c.p. (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 27703 del 15/04/2008 Rv. 240880 Imputato: Da.).
Nella specie, gli atti di violenza che hanno cagionato lesioni ai pubblici ufficiali sono stati posti in essere per opporsi all'attività istituzionale dei carabinieri. E sono riscontrate anche dalla circostanza che lo stesso imputato durante la colluttazione riportava le lesioni come da referto in atti.
Deve ritenersi, pertanto, sussistente la circostanza aggravante della connessione teleologica di cui all'art. 61, n. 2 c.p. richiamata dall'art.576 comma 1 n. 1) c.p.
I due reati devono, infine, ritenersi concorrenti, sia pur realizzandosi in una unica condotta criminosa e nella contestualità delle azioni, tutelando diverse oggettività giuridiche, dovendosi ritenere superata, sulla scorta delle acquisizioni probatorie, in particolare alla luce delle risultanze del referto medico, quella soglia minima di violenza che richiede il delitto di resistenza tale che le lesioni cagionate alle vittime acquistano una loro autonomia ontologica e giuridica e costituiscono espressione del medesimo disegno criminoso pianificato idealmente ed inizialmente nelle sue linee essenziali.
Va rimarcato che non sussiste incompatibilità logico-giuridica tra la continuazione e l'aggravante del nesso teleologico, agendo il vincolo della continuazione sul piano della riconducibilità di più reati ad un comune programma criminoso ed essendo il nesso teleologico connotato dalla strumentalità di un reato rispetto ad un altro, alla cui esecuzione od al cui occultamento il primo è preordinato; e se è vero che normalmente il nesso teleologico è sintomo anche di identità del disegno criminoso, non può dirsi, invece, che il vincolo della continuazione implichi 0 contenga in sé il nesso teleologico, che, invero, ben può mancare, ed ordinariamente difetta, tra i vari episodi di un reato continuato (cfr. Cass. sez. 1, Sentenza n. 3442 del 06/03/1996 Rv. 204326 imputato: Laezza e Conformi Sez. 2, Sentenza n. 48317 del 17/11/2004 Rv. 230427 Imputato: Emiliano).
Sussiste inoltre l'aggravante di cui all'art 576 comma 5 bis c.p. sussistendone tutti gli elementi costitutivi, sul punto recentemente la Corte di Cassazione ha sancito il principio secondo cui l'aggravante di cui all'art. 576, comma 1, n. 5-bis, c.p., è configurabile in relazione al delitto di lesioni personali volontarie anche quando lo stesso concorre con quello di resistenza a pubblico ufficiale, non essendo il relativo disvalore assorbito in quest'ultimo, (cfr. Cassazione penale sez. VI, 20/04/2022, n. 19262).
Capo 3) art. 47 comma 8 della 1. 354/1975 in relazione all'art.385
Sussiste la responsabilità del Co. anche per il reato contestato sub capo 3) della rubrica.
In punto di diritto si osserva che ad integrare il reato di cui all'art. 385 c.p. non è necessaria la fuga o l'allontanamento definitivo essendo sufficiente la sottrazione anche solo temporanea del detenuto allo stato di costrizione personale cui è sottoposto di talché un qualunque allontanamento senza permesso, ancorché di breve durata, dal luogo in cui l'imputato si trova astretto agli arresti domiciliari, configura il reato di evasione (cfr. tra le altre Cass. pen. sez. 6 4.09.1992 nr. 9388).
Il reato di evasione sussiste anche quando il soggetto, in detenzione domiciliare, sia sorpreso fuori dall'abitazione, anche se nelle immediate vicinanze, dovendo intendersi per abitazione soltanto il luogo in cui la persona conduce vita domestica e privata e non le sue appartenenze come aree condominiali, cortili, giardini ed altri simili spazi, quando non costituiscano parte strettamente integrante dell'abitazione medesima, ma siano soltanto posti al servizio di essa.
Ciò al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità del sottoposto ed evitare contatti con l'esterno e frequentazioni del detenuto con soggetti che non è autorizzato ad incontrare e, comunque, il libero movimento della persona che può essere vanificato anche dal trattenersi negli spazi condominiali comuni, controlli che devono avere il carattere della prontezza e della non alcatorietà (cfr.Cass.pen.sez.6 sentenza 3.4.2003 nr.15741, Cass.pen.sez.6 sentenza 21.01.2008 nr.3212 Perrone; Sez. 6, Sentenza n. 4830 del 21/10/2014 Ud. dep. 02/02/2015 Rv. 262155).
È giurisprudenza costante che qualsiasi allontanamento dal luogo di detenzione domiciliare senza autorizzazione è idoneo ad integrare il delitto, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la sua durata, la distanza dello spostamento, ovvero i motivi che inducono il soggetto ad eludere la vigilanza sullo stato custodiale (cfr. Cass., Sez. 6, Sentenza n. 28118 del 09/06/20l5Ud. dep. 02/07/2015 Rv. 263977 imputato: Rapino Conformi: N. 6394 del 1998 Rv. 210912, N. 5767 del 2003 Rv. 223551, N. 11679 del 2012 Rv. 252192).
Quanto all'elemento soggettivo, il delitto richiede il dolo generico e, quindi la consapevolezza dello stato detentivo e la volontà di violare la prescrizione e di sottrarsi al controllo dell'autorità a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell'agente (cfr.Cass.pen.sez.6 sentenza 29.07.2003 nr.31995 imp. Principe; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 10425 del 06/03/2012 Ud. dep. 16/03/2012) Rv. 252288 Imputato: Ghomla). Tanto premesso, gli elementi probatori raccolti sorreggono univocamente l'ipotesi accusatoria a carico dell'imputato sia quanto alla materialità del reato sia quanto alla riconducibilità al medesimo ed all'elemento soggettivo del reato.
Deve ritenersi, invero, pacificamente integrato il reato di evasione sotto il profilo della materialità ontologica del delitto, non potendosi dubitare che si sia verificato un allontanamento non autorizzato dal luogo di detenzione nel senso richiesto dalla norma incriminatrice.
Invero, il Co. in regime di detenzione domiciliare in forza del provvedimento dell'11.06.24 (siep 293/24) presso la sua abitazione, veniva rinvenuto dai militari, a circa 300 mt di distanza dalla propria abitazione.
Quanto al dolo, non vi è dubbio della coscienza e volontà dell'azione da intendersi quale consapevolezza intenzionale dell'allontanamento non autorizzato laddove, viceversa, non è dimostrato lo stato di necessità che richiede l'esistenza di situazioni urgenti ed indifferibili ed il pericolo non altrimenti ovviabile di vita.
Le complessive risultanze probatorie delineano pertanto a carico dell'imputato un quadro accusatorio univoco non smentito da elementi di diverso tenore.
Per tali ragioni, ed in mancanza di elementi di segno contrario alle emergenze processuali, deve essere affermata la penale responsabilità dell'imputato per le condotte contestate all'odierna imputazione.
Sussistono elementi per poter riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche in misura equivalente alle contestate aggravanti considerato il comportamento processuale tenuto dallo stesso durante l'udienza di convalida dove, ha ammesso gli addebiti mostrandosi pentito, riferendo di essere in cura presso il centro di igiene mentale di Afragola e di aver sospeso l'assunzione dei farmaci prescritti circostanza che avrebbe causato il suo stato di agitazione, dichiarato che risulta riscontrato dalla documentazione medica prodotta dalla difesa a corredo della discussione.
I reati vanno posti in continuazione stante la sussistenza del medesimo contesto spazio temporale in cui si sono verificati i fatti.
Pertanto, valutati tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., stimasi equo irrogare all'imputato la pena di anni 2 di reclusione (pena così determinata: pena base per il capo l) anni 1 mesi 6 di reclusione (l'entità della pena si giustifica dalla gravità della condotta considerato e le conseguenze ai danni dei militari) aumentata per il capo 3) di anni uno di reclusione, ulteriormente aumentata per il capo 2) di mesi sei di reclusione. Ridotta per la scelta del rito ex art.442 c.p.p. alla pena inflitta).
Consegue poi per legge, ai sensi dell'art. 535 c.p.p., la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.
Non sussistono i presupposti normativi per la concessione del beneficio di legge della sospensione condizionale della pena, considerata la gravità delle condotte e le condizioni psicofisiche in cui versa il Co. il quale se non segue le prescrizioni mediche può ricadere nei medesimi reati.
Va disposta, infine, la confisca e distruzione della sparachiodi in sequestro.
P.Q.M.
Letti gli artt. 438, 533 e 535 c.p.p., dichiara Co.Vi. colpevole dei reati ascrittigli, uniti sotto il vincolo della continuazione, riconosciute le circostanze attenuanti in misura equivalente alle contestate aggravanti, applicata la riduzione per la scelta del rito lo condanna alla pena di anni due di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.
Letto l'art. 240 c.p. ordina la confisca e la distruzione della sparachiodi in sequestro.
Così deciso in Nola, il 10 settembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 10 settembre 2024.