top of page

La valutazione critica delle dichiarazioni della persona offesa nel delitto di estorsione tentata (Giudice Alessandra Zingales)

valutazione-dichiarazioni-persona-offesa-estorsione-tentata

Tribunale Nola, 19/08/2022, n.1118

L'affermazione della responsabilità penale basata sulle dichiarazioni della persona offesa richiede un'attenta analisi critica della testimonianza, in assenza di altri elementi probatori contrastanti.
La condotta estorsiva, anche quando si arresta al tentativo, è configurabile in presenza di minacce o violenze che esercitano una coazione psicologica sulla vittima, purché il dolo generico sia evidente.

Violenza privata e non estorsione: differenze nella coercizione per sottrazione di beni (Giudice Francesco Pellecchia)

Estorsione e condotte indipendenti: requisiti probatori e attenuanti applicate (Collegio - Cristiano presidente)

Estorsione e attendibilità della persona offesa: assoluzione per insufficienza di prove (Collegio - Cristiano presidente)

Metodo mafioso e tentata estorsione: configurazione dell’aggravante e valore probatorio delle dichiarazioni della vittima (Giudice Paola Scandone)

Estorsione e tentata estorsione con minaccia di rivelazioni personali: il quadro giuridico e probatorio (Corte appello Napoli - Terza sezione)

Estorsione e lesioni personali in ambito familiare: delimitazione del reato rispetto ai maltrattamenti (Giudice Napolitano Tafuri)

Sentenza di condanna per tentata estorsione aggravata: condotta intimidatoria e individuazione certa (Giudice Napolitano Tafuri)

Configurazione della tentata estorsione aggravata: minacce implicite e richiamo al metodo mafioso (Giudice Paola Scandone)

Sfruttamento della prostituzione e estorsione: differenze (Collegio - Palumbo presidente)

Tentata estorsione: rilevanza della minaccia e della violenza ai fini dell’idoneità della condotta (Corte appello Napoli - Sesta sezione)

La sentenza integrale

Svolgimento del processo
All'esito dell'udienza preliminare del 29.11.2019, il G.U.P. presso questo Tribunale ha disposto il rinvio a giudizio di FA. Gi. per i delitti riportati nella contestazione che precede, disponendone la comparizione dinanzi al Giudice per l'udienza del 27.02.2020.

All'udienza di comparizione la scrivente, preso atto della regolarità delle notifiche nei confronti di tutte le parti, dichiarava l'assenza dell'imputato e rinviava il processo in data 29.10.2020.

All'udienza così fissata il Giudice in sostituzione del titolare del ruolo, stante l'assenza della scrivente per provvedimento dell'autorità sanitaria e considerata l'istanza di rinvio avanzata dall'Avv. El. Mo. a causa del suo stato di isolamento fiduciario per Covid 19, rinviava il processo all'udienza del 10.12.2020, nel corso della quale, dichiarata la formale apertura del dibattimento e data la parola alle parti per le rispettive richieste di ammissione dei mezzi di prova, si procedeva all'escussione testimoniale della parte civile Ma. Ma.. Con il consenso delle parti veniva poi acquisito il verbale di sommarie informazioni testimoniali rese da Sc. Ma. in data 13.06.2018, la cui ordinanza ammissiva veniva pertanto revocata, e la denuncia-querela sporta da quest'ultima e dallo stesso Ma. Ma. in data 12.05.2017; il processo era rinviato per il prosieguo dell'istruttoria.

In data 15.04.2021 si procedeva all'escussione del teste di P.G., M.llo Di Mi. An., di seguito il processo veniva rinviato con sospensione dei termini di prescrizione per il proseguo dell'attività istruttoria.

Durante l'udienza del 23.12.2021 la difesa produceva prova della mancata ricevuta di consegna dell'atto di citazione dei testi della sua lista e la scrivente, preso atto della rinuncia formale della difesa al teste di lista Es., revocava l'ordinanza ammissiva della prova e rinviava il processo al 27.01.2022.

In tale data venivano escusse due testi di lista della difesa, Pi. Fi. e La. Pa..

A tal punto il processo veniva rinviato all'udienza del 26.05.2022, nel corso della quale quest'Autorità, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili gli atti legittimamente acquisiti, dava la parola alle parti per le rispettive richieste conclusive; in seguito si ritirava in camera di consiglio ed emetteva il dispositivo di condanna, letto in udienza alla presenza delle parti.

Motivi della decisione
Il compendio probatorio acquisito all'esito della completa istruttoria espletata consente di pervenire, con la necessaria certezza richiesta dalla legge, all'affermazione della penale responsabilità di FA. Gi. per il reato a lei ascritto, nei cui confronti va pertanto emessa una sentenza di condanna.

Il principale elemento di prova a carico dell'imputata per il reato in contestazione sono le dichiarazioni rese da Sc. Ma., teste principale dell'accusa, il quale ha di fatto confermato e ribadito integralmente in dibattimento le dichiarazioni a suo tempo rese dinanzi ai Carabinieri nei confronti dell'imputata.

Orbene, partendo dall'escussione dibattimentale di Ma. Ma., occorre immediatamente evidenziare come il teste sia apparso particolarmente attendibile, per la precisione del narrato offerto, che - oltre a confermare integralmente quello a suo tempo reso in sede di denuncia - è apparso assolutamente lineare e privo di contraddizioni, quindi particolarmente credibile.

Venendo al contenuto di tali dichiarazioni, l'uomo - che ha dichiarato di essere un medico e di vivere a (omissis) - riferiva di conoscere l'imputata perché, nel 2017, assieme alla madre, avevano stipulato con lei un contratto di comodato a titolo gratuito di un locale adibito a garage adiacente alla loro abitazione, una villetta, che alla FA. serviva come deposito per alcuni oggetti personali e, viste le condizioni di indigenza nelle quali la donna versava, essendo sola e madre di due bimbe in tenera età, di cui erano a conoscenza tramite amici e avevano deciso di consentirle l'utilizzo gratuito del locale, che era adiacente ad un appartamento a loro in uso. Il teste precisava che anche la madre era stata per lungo a tempo a (omissis) assieme a lui, in quanto aveva avuto dei problemi di salute che stavano curando là, e che alternava a brevi periodi di permanenza ad (omissis), e ad un certo punto si erano trovati l'appartamento adiacente invaso dalla FA. e da una moltitudine di persone facenti parte della cerchia di amici e parenti della donna (il teste riferiva che una volta, in cui lui era presente a casa, ne aveva contati fino a 11), che ad un certo punto avevano presso possesso dell'intero immobile.

Questa situazione, riferiva il teste, si era protratta per un certo periodo di tempo, tanto che la madre, che in quel periodo dimorava a (omissis), decideva di tornare ad (omissis) per un po' di tempo, per non farsi fuggire completamente di mano la situazione, ed in quel periodo era stata anche costretta a subire delle vessazioni dalla FA. e dal proprio entourage, che l'apostrofava con epiteti molto pesanti, soprattutto dopo il sopraggiungere di un ragazzo che loro, inizialmente, pensavano fosse un amico, data la sua giovane età (il teste riferiva che avrà avuti intorno ai 24-25 anni), ma successivamente si rendevano conto esserne il compagno, sebbene la donna all'epoca avesse 46-47 anni. Preso atto della situazione, lui e la madre avevano deciso di invitate la donna a liberare l'immobile, proponendole diverse soluzioni, che tuttavia la donna rifiutava tutte, dicendo loro che comunque sarebbe stata tutelata dalla legge avendo due bambine piccole. Lui, a quel punto, le ribatteva che avrebbe messo la situazione in mano ad un legale, che lui, essendo un medico, avrebbe potuto permettersi di pagare, ma per tutta risposta la donna gli eccepiva che lei avrebbe potuto accedere al patrocinio a spese dello Stato, per cui non aveva alcun timore che la vicenda potesse avere un risvolto giudiziario. Anzi, a quel punto, lo invitava a farle delle proposte per liberare l'immobile, profferendo minacce e ingiurie nei confronti della madre, dicendole - alludendo al fatto che la donna aveva avuto un trapianto di fegato - che "Io, il tuo fegato, te lo faccio schiattare", ed anche "Tu puoi fare qualsiasi cosa, ma io il tuo fegato te lo faccio schiattare, e non vi permettete mai di fare una qualsiasi cosa che vada contro le nostre volontà, perché ve la faremo pagare". A quel punto lui, per porre fine ad una situazione che era diventata insostenibile, aveva cercato di parlare con il fidanzato, con il padre con la stessa imputata, per trovare una soluzione e la donna per tutta risposta gli aveva chiesto del denaro: "Guarda - insomma - se tu vuoi che io vada via da questa casa - insomma - inizia a darmi 5 mila Euro", chiedendogli in aggiunta la cucina. Lui, a quella richiesta così esorbitante, per pendere tempo le rispondeva che ne avrebbe dovuto parlare con la propria famiglia, poi - ripensandoci e ritenendo la cifra esorbitante - ricontattava la FA., che a quel punto rilanciava la richiesta chiedendo non più 5.000,000 ma 10.000,00 Euro "Non mi sembrava giusto, allora li ho ricontattati, ho detto: "Guarda, forse 5 mila Euro sono un po' troppi", e lei disse: "Guarda, addirittura, non facciamo 5 mila, se vuoi che io vado via domani, me ne dai 10, compresa la cucina, e mi trovi tu la casa".

A questa nuova richiesta il Ma. riferiva di essersi rivolto al proprio avvocato (in questo frangente vi era stato lo scambio di battute sul fatto di potersi permettete un avvocato e dell'avvocato a spese dello Stato) e di aver denunciato la vicenda ai Carabinieri, poiché contemporaneamente continuavano succedere episodi incresciosi, in particolare nel parlare tra i loro gli abitanti del pianterreno rivolgevano ingiurie verbali pesanti e continue nei loro confronti ("Qìll Mèdk 'e mmèrda", eccetera eccetera, e mia mamma, insomma, "Qèra puttana, c'amma shkattà 'ufegat" questo è un poco...) e violenze nei confronti degli oggetti dell'immobile che rompevano e distruggevano.

Il teste, poi, narrava di alcuni episodi specifici accaduti in quei giorni; coi, una prima volta era accaduto che a causa del sovraffollamento dell'immobile - che non era predisposto per essere abitato da così tante persone e che dunque aveva un sistema di scarico precario - sì era creata un'ostruzione dell'impianto fognario e la FA. ed i suoi amici, pensando ad una loro ritorsione nei suoi confronti, avevano cominciato a buttare sassi alle finestre per richiamare la loro attenzione e non appena lui ed i suoi familiari (in quel momento in casa c'erano anche la madre, la cognata ed un nipote) l'imputata, rivolgendosi a lui, profferiva pesanti minacce al suo indirizzo "Guardati le spalle, perché da oggi in poi - insomma - la tua vita non sarà più la stessa". "Noi sappiamo tu dove vivi..."..."... A (omissis), in via (omissis), al terzo piano"..., indirizzo che effettivamente corrispondeva la suo, evento che accadeva circa una decina di giorni prima che la FA. ed il suo seguito lasciasse la casa, avendo lui in quell'occasione chiamato i Carabinieri. In una altro frangente avevano pesantemente insultato la madre, la quale, a loro dire, aveva sconfinato nella parte di giardino di loro pertinenza, che si erano arbitrariamente annessi delimitandola con delle fioriere; "perché poi mia mamma è ingenua, non è nemmeno la tipa che vede le fioriere, e dice: "Chi l'ha messe, qua, le fioriere, e perché?", e quindi era andata, insomma, a fare i limoni. Loro hanno inveito contro questa donna, insomma, che comunque è una donna invalida, per dire: "Si 'na pièzz 'e mmèrda, tu da qua non devi assolutamente entrare, perché questa è la zona mia, si vuoi il limone, tu' vai' accattà e "Non ti permettere - insomma - di accedere mai più in questa zona qua, perché veramente fai una brutta fine".

Il teste riferiva infine che solo successivamente aveva appreso che uno dei suoi fratelli, Am., a sua insaputa aveva dato 500,00 Euro in contanti alla donna e l'aveva aiutata a trovare una nuova abitazione, per liberare la loro, mentre l'altro fratello, Do., le aveva comprato una cucina nuova, accondiscendendo, insomma, a quelle che erano le loro richieste, sebbene ridimensionate quanto al denaro, ma lui aveva già intrapreso le vie legali ed aveva proseguito per la propria strada.

Su domande della parte civile, poi, il teste aggiungeva che le minacce per ottenere non solo il denaro, ma anche il resto delle loro richieste, erano continue fino ad arrivare a minacciarlo dicendogli "... Guardati le spalle, perché la tua vita non sarà sempre la stessa. Noi ti incendiamo tutto. Tu vuoi la casa, ma io te la do bruciata".

Le dichiarazioni di Sc. Ma., altra persona offesa e denunciarne, transitate in dibattimento attraverso il verbale di sommarie informazioni rese dinanzi ai Carabinieri di (omissis) il 12 ed il 26 maggio 2017, ed acquisite con il consenso delle parti, quindi pienamente utilizzabili ai sensi dell'art 493 3° co. c.p.p., confermavano pienamente quanto dichiarato dal figlio Ma., in sede di denuncia e dibattimentale; infatti la donna dichiarava che____.

Il teste di P.G., M.llo C. Di Mi. An., in servizio presso la Stazione CC di (omissis), riferiva di aver solamente raccolto la denuncia integrativa del 26 maggio 2017 delle due persone offese, la cui prima denuncia era stata acquisita da un collega, e di non aver svolto attività delegata in relazione a quanto da lui acquisito, essendo già in corso accertamenti da parte dei colleghi, quindi il proprio contributo alla ricostruzione della vicenda è stato molto limitato, non potendo riferire sul contenuto della denuncia, comunque transitato nel fascicolo del dibattimento grazie al consenso prestato dalle parti all'acquisizione del relativo verbale.

Anche le due testi della difesa non hanno fornito un contributo significativo alla ricostruzione della vicenda.

Così, in particolare, la teste Pi. Fi. dichiarava di essere una amica della FA., di essere andata a casa sua (quando abitavano vicine, a via (omissis) di (omissis), e dunque quando quest'ultima abitava nell'immobile delle persone offese) solo una volta per prendere un caffè, che l'appartamento era ubicato a piano terra (per accedervi bisognava scendere tre gradini) ed era piuttosto piccolino, anche se perfettamente arredato, ubicato all'interno di una villetta al cui piano superiore vi abitava la proprietaria, che tuttavia lei - in quell'unica occasione in cui era andata a trovarla - non aveva incontrato.

La teste La. Pa. riferiva di conoscere pochissimo l'imputata, di essere andata qualche volta a casa sua, che (dichiarava) era più un garage che una vera abitazione. Infatti per accedervi si scendevano alcuni scalini e si entrava direttamente in cucina, poi vi era una camera da letto, una cameretta ed un bagno, il tutto perfettamente arredato. La teste riferiva di non aver mai incontrato la proprietaria (ma anche lei era andata a trovare la sua amica una volta solamente), che tuttavia sapeva vivere al piano di sopra.

Così ricostruita la vicenda, è evidente che l'assunto accusatorio a carico dell'imputata risulta ampiamente provato, sulla scorta delle dichiarazioni rese da Ma. Ma. e corroborate da quelle rese dalla madre.

Tanto premesso in fatto, questo Tribunale si conforma all'orientamento consolidato ed uniforme della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione che ormai da tempo hanno fissato i parametri di riferimento che il giudice di merito deve adottare nella valutazione della prova, quando questa sia rappresentata dalle dichiarazioni testimoniali della persona offesa dal reato.

Quando infatti, come nel caso di specie, la persona offesa rappresenti il principale testimone che abbia avuto percezione diretta del fatto da provare e sia, quindi, sostanzialmente l'unico soggetto processuale in grado di introdurre una tale percezione nel processo, anche la sola deposizione di essa può, nell'ambito del libero convincimento del giudice, essere posta a fondamento del giudizio.

Tuttavia, non potendosi tale dichiarazione equiparare puramente e semplicemente a quella del testimone, è necessario che il giudice sottoponga il contenuto della deposizione ad una puntuale analisi critica, mediante la comparazione con il rimanente materiale probatorio acquisito (laddove la piattaforma probatoria su cui dovrà fondarsi il convincimento del giudice presenti una pluralità di elementi di prova) ovvero, laddove una verifica "ab estrinseco" non sia possibile, attraverso un esame attento e penetrante della testimonianza, condotto con rigore e spirito critico, che investa la attendibilità della dichiarazione e la credibilità soggettiva di chi l'ha resa (cfr., tra le altre, Cass. Sez. II sent. 19 novembre 1998 n. 12000).

Ebbene le dichiarazioni rese in dibattimento dalla persona offesa, riscontrate da quelle rese dalla madre in sede di sommarie informazioni e di denuncia, dichiarazioni lineari, non contraddittorie e non efficacemente contrastate da altro materiale probatorio emerso in dibattimento, sono idonee a fondare un giudizio di piena responsabilità della FA., avendo l'uomo confermato quanto a suo tempo denunciato. Infatti, in applicazione del su enunciato canone di valutazione, ritiene questo Tribunale che la persona offesa escussa in dibattimento sia risultata intrinsecamente credibile e che le sue dichiarazioni attendibili, sebbene non confortate anche da elementi estrinseci, ma neppure contraddette da altri elementi emersi nel corso del dibattimento e che pertanto siano idonee a fondare un giudizio di certezza in ordine alla penale responsabilità dell'imputata; la quale, peraltro, esercitando la propria facoltà di non essere presente nel processo, non ha inteso fornire alcuna versione alternativa in grado di confutare le chiare risultanze dibattimentali.

In punto di diritto, il reato di estorsione si caratterizza in quanto la condotta deve necessariamente consistere in una costrizione realizzata attraverso la violenza o la minaccia. Tra la violenza o la minaccia e la costrizione deve, quindi, sussistete un rapporto strumentale ed eziologico, posto che le prime devono rappresentare lo strumento per la realizzazione della seconda, e, al contempo, la costrizione deve costituire l'effetto della violenza o della minaccia. Qualora, dunque, vi sia una costrizione ma non sia stata posta in essere una violenza o una minaccia, ci si trova di fronte ad una mera induzione, la quale non è idonea ad integrare il delitto in esame.

Per quanto riguarda, innanzitutto, la violenza, essa, per rilevare ai sensi dell'art. 629 del c.p., deve essere tale da non coartare completamente la volontà della vittima, in quanto, in caso contrario, si configurerebbe il più grave delitto di rapina, ex art. 628 del c.p.

La minaccia va, invece, intesa come la prospettazione di un male ingiusto e notevole da parte del soggetto minacciante. Essa può essere posta in essere sia in modo esplicito che in modo implicito, ma è, in ogni caso, necessario che sia idonea a coartare la volontà del soggetto passivo. La minaccia può anche avere ad oggetto un'omissione, qualora l'agente prospetti il mancato impedimento di un male che avrebbe l'obbligo giuridico di impedire.

Nonostante, però, la condotta sia unica, gli oggetti materiali verso cui essa si rivolge sono molteplici. Suo oggetto materiale immediato, al pari della violenza privata, è, infatti, la persona che subisce la violenza o la minaccia; oggetto materiale mediato è, invece, quella "qualunque cosa" che l'agente vuole conseguire come utile. Si deve, quindi, trattare di una cosa in cui si trova incorporata un'utilità idonea a produrre un profitto per qualcuno e, al contempo, un danno per altri.

Ai fini dell'integrazione del delitto in esame è sufficiente che sussista, in capo all'agente, il dolo generico, quale coscienza e volontà di costringere, attraverso la violenza o la minaccia, un'altra persona, a compiere un atto di disposizione patrimoniale a proprio danno, procurando, a sé o ad altri, un ingiusto profitto.

Così inquadrato il delitto per cui i procede, dalla descrizione dei fatti sopra effettuata emerge con chiarezza che l'imputata si è resa colpevole del reato a lei ascritto. Nella ricostruzione degli eventi fatta dal principale teste dell'accusa - le violenze psicologiche e fisiche che la FA. ha esercitato su di lui e la madre per ottenere il denaro e gli altri oggetti che pretendeva da loro per liberare la casa di proprietà della Sc., che lei occupava a titolo di mera liberalità, è emerso con chiarezza la ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi del reato in oggetto, i cui caratteri sono stati prima ricordati. È stato appurato che la FA. ha cominciato ad accampare pretese e a chiedere denaro e oggetti, oltre alla loro mediazione per trovare un'altra abitazione, esercitando sull'anziana e malata donna e sul figlio una forte pressione psicologica, assumendo altresì atteggiamenti violenti per raggiungere lo scopo dell'ottenimento delle proprie richieste, sempre più esose, e che tale risultato non è stato ottenuto solamente per la ferma resistenza mostrata dal Ma., che alla fine si è risolto a rivolgersi al proprio legale ed ai Carabinieri, elemento che ha comportato che la realizzazione della condotta si sia arrestata alla forma del tentativo. Sul punto, occorre osservare che il denaro e i beni che la donna ha effettivamente ottenuto dai fratelli del denunciante, di cui lo stesso ha parlato in dibattimento e che non aveva denunciato essendone venuto a conoscenza in un momento successivo, non hanno costituito oggetto di contestazione nel capo di imputazione, sicché, pur ricorrendone tutti gli elementi costituitivi, fattuali e psicologici, del reato in oggetto, per tale condotta estorsiva non può emettersi sentenza di condanna.

Venendo, dunque, al trattamento sanzionatone da applicarsi in concreto, nella determinazione della pena da irrogare, applicando i criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p., è da escludersi in primis la possibilità del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non avendo l'imputata mostrato alcun pentimento per la propria condotta e non avendo fornito alcun contributo concreto alla ricostruzione della vicenda.

Pertanto, si stima equo infliggere la pena di anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 600,00 di multa, determinata partendo dalla pena base di anni cinque di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa per il reato consumato, sulla quale occorre poi praticare la riduzione per il tentativo, nella misura della metà, quindi inferiore alla massima riduzione prevista, considerando le modalità particolarmente pervasive della condotta e la condizione di fragilità di una delle due vittime, una signora anziana e malata costretta a subire le minacce e le vessazioni dell'imputata.

Non ricorrono, infine, le condizioni di legge per la concessione della sospensione condizionale della pena. Segue invece per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

L'assenza della parte civile all'udienza di discussione, con il conseguente mancato deposito delle memorie scritte conclusive, porta con sé, per legge, la revoca della costituzione di parte civile, su cui nulla, dunque, deve statuirsi.

Atteso il carico di lavoro e le diverse sentenze assunte in decisione alla medesima udienza, vi è riserva del termine per il deposito delle motivazioni.

P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.,

dichiara FA. Gi. colpevole dei reati a lei ascritti e, per l'effetto, la condanna alla pena di anni due e mesi 6 di reclusione ed Euro 600,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Letto l'art. 544 III° co. c.p.p., indica in giorni 90 il termine per il deposito dei motivi.

Così deciso in Nola, il 26 maggio 2022

Depositata in Cancelleria il 19 agosto 2022

bottom of page