FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 24 ottobre 2022 la Corte di appello di L'Aquila, all'esito del gravame interposto da Po.Gi., in parziale riforma della pronuncia in data 13 dicembre 2019 del Tribunale di Teramo, ha rideterminato in tre anni la durata della pena della reclusione irrogata all'imputato e ha confermato nel resto la prima decisione, che ne aveva affermato la responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione.
2. Avverso la sentenza di secondo grado è stato proposto ricorso dal difensore dell'imputato, che ha formulato due motivi (di seguito esposti nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.).
2.1. Con il primo motivo sono state prospettate la violazione della legge penale e il vizio di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità dell'imputato. Ad avviso della difesa, la Corte di merito avrebbe acriticamente ratificato la decisione del Tribunale in relazione al mancato rinvenimento di beni aziendali indicati in elenchi aggiornati al 31 dicembre 2012 (ossia quasi tre anni prima rispetto alla dichiarazione di fallimento, quando ancora l'attività della fallita non risultava del tutto cessata), elenchi privi di valore probatorio e non contemplati nel bilancio del 2012, dimostrando di ignorare il funzionamento della contabilità aziendale e non considerando quanto emerso all'esito dell'istruttoria dibattimentale (segnatamente con riguardo all'assoluta carenza dei bilanci e della documentazione contabile inerente al 2013 e al 2014, che avrebbe reso impossibile accertare l'utilizzo e la destinazione dei beni in discorso; e difettando la prova aliunde dell'esistenza dei beni, alcuni dei quali sarebbero ancora nella disponibilità della curatela, che ha omesso di effettuare gli opportuni accertamenti presso gli immobili concessi in locazione dove le res erano installate), travisando quanto rassegnato dal curatore e non considerando che l'elenco dei cespiti ammortizzabili allegato all'avviso di conclusione delle indagini non era neppure l'effettivo libro cespiti della fallita Po. Diesel Services s.r.l. (come si trarrebbe dalla deposizione del teste Chiaffarelli).
In secondo luogo, in relazione alla distrazione dell'immobile in imputazione, dato in locazione dalla fallita, la Corte di merito avrebbe sindacato "scelte strategiche aziendali" , ignorando le regole che sottendono alla gestione di un'impresa, difettando in capo all'imputato la consapevolezza di diminuire la garanzia patrimoniale (essendo, anzi, state convenute condizioni vantaggiose per l'ente); inoltre, i canoni sarebbero stati "incassati - seppur indirettamente - dalla Po. Diesel s.r.l." (poiché ceduti in parte alla Po.Iv. & C. s.r.l., la cui amministratrice ha dichiarato di averli incassati, e in parte oggetto di pignoramento da Sa.Ti.) e il diritto di opzione contenuto nel contratto di locazione non costituiva affatto un vantaggio per il locatario poiché l'immobile era gravato da più ipoteche ed esso non era opponibile al fallimento.
2.2. Con il secondo motivo è stata prospettata la violazione della legge penale con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, nonché per l'eccessiva misura della irrogata, adducendo che al riguardo difetterebbe una adeguata motivazione da parte della Corte territoriale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è nel complesso infondato; è invece fondato - nei termini che si chiariscono - il secondo motivo di ricorso.
1. Con riguardo al primo motivo, deve premettersi che:
- la motivazione della sentenza di appello "è del tutto congrua se il giudice abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'ossatura dello schema difensivo dell'imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell'iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte" (Sez. 6, n. 1307 del 29/09/2002, Delvai, Rv. 223061 -01), poiché "il giudice d'appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell'impugnazione, giacché le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione effettuata" (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575 -01);
- "in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, va ritenuta l'ammissibilità della motivazione della sentenza d'appello per relationem a quella della decisione ivi impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell'effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall'appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico - giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità" (Sez. 2, n. 7667/2015, cit.; cfr. pure Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 -01; Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268360 -01; Sez. 3, n. 13926 del 10/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615).
Nel caso in esame, la Corte territoriale e il Tribunale hanno in maniera convergente osservato:
- quanto ai beni non rinvenuti in sede di inventario, che è rimasta sfornita di prova l'allegazione difensiva secondo cui essi - nella disponibilità della società fallita allo scadere dell'esercizio 2012, alla luce di quanto esposto nel libro dei cespiti ammortizzabili e nell'elenco delle rimanenze di magazzino - sarebbero stati impiegati nello svolgimento dell'attività sociale, ridotta al minimo nel periodo successivo; più in particolare, al riguardo si è evidenziata non solo la totale assenza di fatture di vendita relative ai detti beni ma anche l'assenza di elementi da cui desumerne l'uso per prestazioni rese dalla società, anche alla luce di quanto dichiarato dal Po.Gi. nel corso della procedura fallimentare (come puntualizzato dal Tribunale, l'imputato ha collocato la cessazione di fatto dall'attività della fallita nel dicembre del 2012 e, in seguito, nel gennaio 2013; e non consta neppure l'incasso di somme riferibili all'attività addotta dalla difesa);
- e, quanto all'edificio, dato in locazione a una società (Gi. s.r.l.) riferibile alla moglie del Po.Gi. quando lo stato di insolvenza si era già manifestato, sono state valorizzate le condizioni contrattuali (durata, facoltà di sublocare o dare in uso senza consenso del locatore, opzione di acquisto con scomputo dal prezzo dei canoni versati; come osservato dal Tribunale, il fatto che il contratto avesse ad oggetto soltanto i locali e non i beni aziendali, ragion per cui eventuali res presenti in loco avrebbero dovuto rimanere nella disponibilità della fallita e impiegati dalla fallita per proseguire la propria attività aziendale e, dunque, recuperati o rivendicati, nonché l'assenza di prova dell'identità dei beni de quibus con quelli di cui disponeva la Gi. s.r.l. eventualmente reperibili all'interno del capannone dato in locazione) e la mancata esazione dei canoni, senza neppure indirizzare al conduttore alcuna diffida.
Si tratta di una motivazione congrua e logica che ha disatteso compiutamente la prospettazione difensiva (perorata pure con l'atto di appello) e che non può essere utilmente censurata in questa sede neppure per il tramite del diverso apprezzamento del compendio probatorio (che il ricorso finisce col prospettare) rispetto al quale non può cogliersi un travisamento della prova atto a minare l'iter argomentativo sopra riportato (Sez. 2, n. 46288/2016, cit.). Ancora, il motivo in esame, con riguardo alla locazione dei locali aziendali, non considera che "costituisce condotta idonea ad integrare un fatto distrattivo riconducibile all'area d'operatività dell'art. 216, comma primo, n. 1, legge fall., l'affitto dei beni aziendali per un canone incongruo e mai riscosso che comporti la sostanziale privazione, per la società fallita, dei suoi beni strumentali" (Sez. 5, n. 12456 del 28/11/2019 - dep. 2020, Porreca, Rv. 279044 -01), ipotesi cui i Giudici di merito a ben vedere hanno ricondotto la menzionata operazione, tenuto conto che è lo stesso ricorso a ribadire che la società fallita non ha incassato i canoni in discorso (non soltanto, per vero, per la minor parte oggetto di pignoramento) perché ha ceduto il relativo credito: a tale ultimo riguardo, peraltro, è del tutto generico l'asserto del ricorso secondo cui la cessione dei crediti fosse funzionale a estinguere debiti della fallita verso la società cessionaria Po.Gi. Ivo & co. s.r.l., e tale genericità non consente di attribuire rilievo a tale allegazione neppure sub specie di una diversa qualificazione giuridica del fatto.
2. Il secondo motivo è fondato. Invero: - a fronte dell'atto di appello, che aveva osservato come erroneamente il Tribunale avesse escluso l'attenuante di cui all'art. 219, comma 3, legge fall., avendo riguardo all'ammontare del passivo fallimentare (cfr. Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019, Giannone, Rv. 277658 -01: "in tema di bancarotta fraudolenta, la speciale tenuità del danno, integrativa dell'attenuante di cui all'art. 219, comma 3, legge 16 marzo 1942, n. 267, va valutata in relazione all'importo della distrazione, e non invece all'entità del passivo fallimentare, dovendo aversi riguardo alla diminuzione patrimoniale determinata dalla condotta illecita e non a quella prodotta dal fallimento"); ed aveva addotto elementi di fatto a sostegno della chiesta concessione delle generiche;
- la sentenza impugnata si è limitata ad escludere, senza esplicitarne le ragioni, i presupposti per concedere l'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità; e a negare le circostanze attenuanti generiche mediante l'apodittico richiamo alle modalità del fatto e alla personalità dell'imputato "quale emergente dal fatto ascritto".
Ragione per cui in parte qua la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle chieste circostanze attenuanti con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 04/10/2023.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2024