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Violazione dell’art. 570 c.p.: l’incapacità economica deve essere assoluta e incolpevole

Violazione obblighi assistenza familiare

Cassazione penale sez. VI, 10/09/2024, n.35786

L'incapacità economica dell'obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'art. 570 cod. pen., deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti che non può ritenersi dimostrata sulla base della mera documentazione dello stato formale di disoccupazione dell'obbligato.

Violazione degli obblighi familiari: stato detentivo non esclude il dolo se l’inadempimento è colposo

Omessa somministrazione di mezzi di sussistenza: pluralità di reati per più soggetti conviventi

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Violazione degli obblighi familiari: lo stato detentivo rileva solo con impossibilità incolpevole di reddito

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Omessa somministrazione di mezzi di sussistenza: pluralità di reati per più soggetti conviventi

Violazione degli obblighi familiari: impossibilità assoluta esclude il dolo solo con dignitosa sopravvivenza

Attenuanti generiche negate per inadempimenti prolungati agli obblighi familiari senza giustificazioni valide

Violazione degli obblighi familiari: reato configurabile solo con inadempimenti gravi e protratti

Violazione degli obblighi familiari: reato solo se l’omissione priva i figli dei mezzi di sussistenza

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Potenza confermava la sentenza di condanna emessa a carico del ricorrente in ordine al reato di cui all'art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen., commesso mediante l'omesso versamento dell'importo dell'assegno mensile di mantenimento disposto in favore del figlio minore. 2. Avverso tale sentenza, il ricorrente ha formulato cinque motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo, deduce il vizio di motivazione e il travisamento della prova, sostenendo che i giudici di merito avevano immotivatamente escluso la rilevanza dello stato di disoccupazione, costituente motivo giustificativo dell'inadempimento. A seguito dell'avvenuto licenziamento (avvenuto nel 2003), il ricorrente era rimasto privo di redditi, tant'è che viveva presso l'abitazione di amici e ricorreva al sostentamento da parte della madre. Tale condizione, ove fosse stata correttamente vagliata, avrebbe condotto all'esclusione dell'elemento soggettivo del reato. 2.2. Con il secondo motivo, censura l'omesso riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in relazione alla quale era positivamente valutabile lo stato di indigenza del ricorrente. 2.3. Con il terzo motivo, deduce l'omessa notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, posto che la notifica presso il domicilio eletto non si perfezionava, né andava a buon fine la notifica agli ulteriori indizi presso i quali si riteneva che l'imputato potesse essere rintracciato. 2.4. Con il quarto motivo chiede l'applicazione della pena alternativa in sostituzione di quella detentiva. 2.5. Nell'interesse del ricorrente è stata depositata una memoria difensiva sostanzialmente riproduttiva dei motivi di impugnazione. 3. Il ricorso è stato trattato in forma cartolare. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 2. Il primo motivo di ricorso tende a confutare l'irrilevanza dello stato di disoccupazione dedotto dall'imputato. Invero, si tratta di un aspetto che la Corte di appello ha correttamente valutato sotto il duplice profilo probatorio e della rilevanza giuridica. Per quanto attiene al primo aspetto, la Corte ha sottolineato come, a fronte della mera deduzione della condizione di disoccupazione, non era stata fornita alcuna prova specifica in ordine all'effettivo mancato espletamento di qualsivoglia ulteriore attività lavorativa. A fronte di tale affermazione, il ricorrente si limita a ribadire la circostanza in fatto, senza specificare quale prova fosse stata fornita nel giudizio di merito ed erroneamente valutata. In ordine al secondo profilo, si ribadisce che, ove pure fosse stato dimostrato lo stato di disoccupazione, la circostanza non avrebbe inciso sulla configurabilità del reato, dovendosi dare continuità al principio secondo cui l'incapacità economica dell'obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall'art. 570 cod. pen., deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti che non può ritenersi dimostrata sulla base della mera documentazione dello stato formale di disoccupazione dell'obbligato (Sez.6, n. 49979 del 9/10/2019, Rv. 277626). 3. Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile, avendo la Corte di appello adeguatamente motivato in ordine all'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della particolare tenuità del fatto, a fronte di un inadempimento rispetto agli obblighi di mantenimento protrattosi per oltre un decennio, evidentemente incompatibile con il requisito dell'occasionalità della condotta. Per consolidata giurisprudenza, infatti, la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto non si applica al reato di omesso versamento del contributo al mantenimento dei figli minori previsto dall'art. 570 cod. pen., essendo l'abitualità del comportamento ostativa al riconoscimento del beneficio e non rilevando la particolare tenuità di ogni singolo inadempimento (Sez.6, n. 20941 del 20/4/2022, Rv. 283304). 4. Il terzo motivo è volto a censurare la corretta vocatio in iudicium per il giudizio di appello. Tale doglianza, tuttavia, risulta del tutto generica e non si confronta con la puntuale specificazione contenuta nella sentenza di appello, lì dove si dà atto che il tentativo di notifica del decreto di citazione a giudizio presso il domicilio dichiarato è risultato impossibile. A fronte dell'inidoneità del domicilio dichiarato, pertanto, la notifica è stata correttamente eseguita ai sensi dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen. 5. Infine, deve rilevarsi l'inammissibilità della richiesta di sostituzione della pena detentiva avanzata in sede di legittimità, posto che tale istanza andava formulata nel corso del giudizio di merito. 4. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Cosi deciso in Roma, il 10 luglio 2024. Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2024.
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