RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Palermo con la sentenza indicata in epigrafe ha confermato la pronuncia di primo grado, emessa in data 21/5/2020 dal Tribunale di Palermo con la quale gli odierni ricorrenti sono stati condannati alla pena ritenuta di giustizia in ordine ai delitti di trasferimento fraudolento di valori ed estorsione aggravata di cui ai capi f), h) ed i) (Sa.Lu.) ed ai capi h) ed i) (Bo.Gi.), esclusa l'aggravante di cui all'art. 7 d.l. 152/91 e la recidiva (per il solo Bo.Gi.).
1.1. Entrambi i giudici di merito hanno ritenuto provata la penale responsabilità di Sa.Lu. per il delitto di cui all'art. 512 bis cod. pen. (capo f), consistito nell'intestazione fittizia di una tabaccheria a Ve.Em., soggetto interposto (nei confronti del quale hanno dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione); hanno, altresì, ritenuto provata la penale responsabilità di Sa.Lu. e Bo.Gi., in concorso, in relazione al delitto di cui all'art. 512 bis cod. pen. (capo h), per l'intestazione fittizia della Focacceria M a Bo.Gi. ed hanno ritenuto la responsabilità di Bo.Gi. e Sa.Lu. per il delitto di estorsione aggravata (capo i), posto in essere in danno di Ve.Em., consistita nel costringerlo mediante minaccia esplicita ed implicita derivante dalla loro appartenenza mafiosa, a versare loro somme di denaro provenienti dalla gestione dell'esercizio commerciale tabaccheria, con l'aggravante di cui al'art. 628, comma 3, n. 3 cod. pen., per l'appartenenza dei correi all'associazione mafiosa "Cosa nostra", esclusa l'aggravante dell'art. 7 D.L. 152/91 e la recidiva per Bo.Gi.
2. Avverso la sentenza di appello propongono ricorso per cassazione, Sa.Lu. e Bo.Gi.
2.1. Il primo deduce: violazione di legge ed illogicità della motivazione in relazione all' affermazione di responsabilità per il delitto di estorsione di cui al capo i).
Ad avviso del ricorrente l'ipotizzato reato di intestazione fittizia a carico del Sa.Lu., contestato al capo f), renderebbe inconfigurabile il delitto di estorsione del Sa.Lu. in danno di Ve.Em. (intestatario fittizio) di cui al capo i), avendo il ricorrente agito quale titolare effettivo dell'attività commerciale, al fine di ottenere gli utili a lui spettanti.
Ritiene la difesa che la sussistenza del patto sottostante, sia pure di natura illecita, tra Ve.Em. e Sa.Lu. non renderebbe illecito il profitto conseguito per effetto dell'attività commerciale svolta dall'interposto.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per il delitto di intestazione fittizia, a Bo.Gi. della Focacceria M. La Corte di merito non si sarebbe spinta oltre la dimostrazione della gestione di fatto dell'attività da parte di Sa.Lu. e non avrebbe motivato in ordine alla provenienza dei capitali investiti dal socio occulto, elemento essenziale ai fini della configurabilità del reato di cui al'art. 512 bis cod. pen.
In tal senso non sarebbe sufficiente il richiamo all'inventario dell'amministratore giudiziario contenuto in sentenza, né il tenore delle conversazioni intercettate da cui si ricava che il ricorrente aveva effettuato ingenti investimenti per acquistare l'esercizio commerciale.
Argomenta ulteriormente che la Corte di appello non avrebbe motivato sull'elemento soggettivo del reato e cioè sulla finalità elusiva dell'applicazione della misura di prevenzione, tenuto conto che nel caso di specie si tratterebbe di intestazione fittizia in favore di un congiunto e non avrebbe superato, se non fornendo una motivazione apparente, le argomentazioni del GIP che aveva negato la misura cautelare ritenendo inverosimile che Bo.Gi., intestatario fittizio della Focacceria M (capo h), potesse concorrere alla consumazione dell'estorsione di cui al capo i).
2.3. Con il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione avendo la Corte di merito rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria, consistente nell'assunzione della testimonianza di Bo.Ma. il quale avrebbe potuto riferire in merito all'accollo, da parte di Ve.Em., al momento dell'acquisto dell'attività, del debito che Bo.Ma., precedente titolare, aveva nei confronti del Sa.Lu.
2.4. Con il quarto motivo si invoca l'applicazione della circostanza attenuante della "lieve entità" di cui all'art. 629 cod. pen. come modificato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 120/2023, intervenuta successivamente alla sentenza di appello, avuto riguardo alla entità del danno (Euro 150,00) e anche alle modalità dell'azione.
2.5. Con il quinto motivo si censura la sentenza per omessa motivazione in relazione alla doglianza difensiva con la quale si contestava l'omessa motivazione in relazione all'aumento di pena ai sensi dell'art. 63, comma 4, cod. pen.
Nell'ambito di questo motivo il ricorrente lamenta anche vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche. A fronte del consistente ridimensionamento delle accuse, della esclusione dell' aggravante del metodo mafioso, della età avanzata dell'imputato, nonché della risalenza dei fatti, la Corte di appello avrebbe dovuto ridurre la pena. 3. Bo.Gi. articola cinque motivi di ricorso.
3.1. Con il primo motivo deduce carenza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione. La Corte di appello nel ritenere integrato il delitto di estorsione di cui al capo i), che vede Ve.Em. come persona offesa, avrebbe dovuto assolvere quest'ultimo dal delitto di intestazione fittizia a lui contestato e non dichiarare non doversi procedere per prescrizione del reato. Così facendo la sentenza presterebbe il fianco a censure di illogicità non potendosi ipotizzare che Ve.Em. fosse, ad un tempo, vittima di estorsione e correo del delitto di intestazione fittizia ; inoltre, dalle intercettazioni non si ricaverebbe alcuno stato di timore o paura ingenerato nella p.o. la quale invece, si contrapponeva al presunto estorsore rispondendo alle richieste in maniera sarcastica, addirittura minacciando di danneggiare il locale.
3.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata derubricazione del delitto di cui all'art. 629 cod. pen. in quello di cui all'art. 393 cod. pen.
Assume il ricorrente che la Corte di appello non avrebbe considerato che il discrimen tra le due fattispecie va individuato nell'elemento psicologico e non nelle modalità del fatto per cui se tra Ve.Em., Sa.Lu. e Bo.Gi., effettivamente sussisteva un pactum scleris, i proventi dell'attività economica fittiziamente intestata a Ve.Em., non potevano costituire l'ingiusto profitto dell'estorsione ma rappresentavano gli utili dovuti.
Inoltre, il fatto che il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni venga considerato un reato di "mano propria", non esclude che Bo.Gi. abbia agito quale negotiorum gestor, nell'interesse di titolare del credito concorrendo così nel delitto meno grave di cui all'art. 393 cod. pen.
3.3. Con il terzo motivo si contesta la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 629, comma 2, cod. pen. in relazione all'art. 628, comma 3, n. 3 cod. pen., non risultando provato che Ve.Em. fosse stato effettivamente intimidito dalla personalità del Sa.Lu. quale appartenente alla cosca "Cosa Nostra".
3.4. Con il quarto motivo ci si duole del diniego delle attenuanti generiche.
3.5. Il quinto motivo riguarda il capo h) l'intestazione fittizia, a Bo.Gi., della Focacceria M. Secondo la difesa la Corte di appello avrebbe motivato in maniera illogica perché non ha considerato che l'intestazione fittizia riguardava l'affine del Sa.Lu. sicché,, vigendo la presunzione relativa della fittizietà dell'intestazione, verrebbe meno la finalità elusiva, elemento caratterizzante la fattispecie, poiché anche Bo.Gi. poteva essere attinto dalla misura ablativa. Il ricorrente richiama al riguardo la pronuncia del GIP che, in merito a detto reato, aveva negato la misura cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono basati su motivi in parte infondati ed in parte inammissibili e vanno pertanto rigettati.
2. Prendendo in considerazione dapprima i motivi che attengono ai delitti di intestazione fittizia (capi f) e h) i quali, nella comune ottica difensiva, non consentirebbero di ravvisare l'estorsione di cui al capo i) (motivo n. 1 del ricorso Sa.Lu. e motivo n. 1 del ricorso Bo.Gi.), occorre anzitutto ricordare che il delitto previsto dall'art. 512-bis cod. pen. è un reato di pericolo astratto, integrato quando l'agente, sottoposto o sottoponibile ad una misura di prevenzione, compia un qualsiasi negozio giuridico al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali; ne consegue che la valutazione circa il pericolo di elusione della misura va compiuta ex ante, su base parziale, ovvero, alla stregua delle circostanze che, al momento della condotta, erano conosciute o conoscibili da un uomo medio in quella determinata situazione spazio-temporale (v., ad es., Sez. 2, n. 12871 del 09/03/2016, Mandalari, Rv. 266661 nonché, più di recente, Sez. 2, n. 11881 del 06/03/2018, Szalska, Rv. 272903, in motivazione).
Per integrare il reato di trasferimento fraudolento di valori, inoltre, è sufficiente l'accertamento dell'attribuzione fittizia ad altri della titolarità o della disponibilità di denaro, beni o utilità, senza che al giudice sia anche richiesto l'apprezzamento della concreta capacità elusiva dell'operazione patrimoniale accertata, trattandosi di situazione estranea agli elementi costitutivi del fatto incriminato.
Detti principi hanno riflessi anche in ordine alla verifica della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, costituito dal dolo specifico (ex plurimis cfr. Sez. 3, n. 23097 del 08/05/2019,Rv. 276199 nonché Sez. 6, n.49832 del 19/04/2018, Rv. 274286), connotato dallo "scopo elusivo" che "prescinde dalla concreta possibilità dell'adozione di misure di prevenzione patrimoniali all'esito del relativo procedimento, essendo integrato anche soltanto dal fondato timore dell'inizio di esso, a prescindere da quello che potrebbe esserne l'esito" (così Sez. 2, n. 2483 del 21/10/2014, Rv.261980; in senso conforme v., ad es., Sez. 2, n. 22954 del 28/03/2017, Rv. 270480; Sez. 5, n. 13083 del 28/02/2014, Rv.262764; Sez. 6, n. 27666 del 04/07/2011; da ultimo cfr. Sez. 2, n.38053 del 05/10/2021, Rv. 282129, in motivazione).
Occorre infine precisare che ai fini dell'integrazione del reato occorre accertare la provenienza delle risorse economiche impiegate per l'acquisto da parte del soggetto che intenda eludere l'applicazione di misure di prevenzione (Sez. 6, Sentenza n. 26931 del 29/05/2018, Rv. 273419; Sez. 1, n. 42530 del 13/06/2018, Rv. 274024; Sez. 6, n. 5231 del 12/01/2018, Rv. 272128).
3. Tanto premesso in diritto, risulta immune da vizi coltivabili in questa sede il compendio argomentativo svolto dai giudici di merito circa la riconducibilità della tabaccheria (fittiziamente intestata a Ve.Em.) e della Focacceria M (fittiziamente intestata a Bo.Gi.), a Sa.Lu., vero dominus delle attività; né, sotto tale profilo, i ricorrenti oppongono rilievi censori essendo pacifica la dualità tra intestatario formale e intestatario reale, tipica del delitto.
Ciò che si contesta (motivo 2 del ricorso Sa.Lu.) è la mancanza o illogicità della motivazione sulla provenienza degli investimenti dall'imputato. Sul punto la Corte di merito (cfr. pagg. 14 e 15 della sentenza impugnata) ha adeguatamente motivato in relazione al capo f), richiamando conversazioni in cui Sa.Lu. rivendicava la paternità delle risorse investite nella tabaccheria e, in relazione al capo h), sottolineando (a pag. 17) che la provenienza dei capitali investiti risultava per tabulas dall'inventario prodotto dall'amministratore giudiziario nominato in occasione del sequestro; a tal proposito la Corte territoriale, anche richiamando le diffuse argomentazioni del primo giudice (a pagg. 43 e segg.), ha disatteso i rilievi difensivi che non sono andati oltre la mera confutazione delle conclusioni.
4. Quanto poi all'elemento soggettivo del reato, dato dalla finalità elusiva delle disposizioni in materia di misure di prevenzione, la Corte di appello ha preso in considerazione i rilievi difensivi, in questa sede riproposti, ed ha sottolineato come Sa.Lu., già condannato per il delitto di cui all'art. 416 bis cod. pen., e destinatario di pregressi provvedimenti ablatori, potesse senz'altro prefigurarsi l'applicazione delle misura di prevenzione patrimoniale. Non si rinviene nella motivazione la dedotta contraddittorietà per il fatto che l'intestatario fittizio del delitto di cui al capo h) fosse Bo.Gi., un "affine" del Sa.Lu. poiché, come rilevato in sentenza, tale aspetto non confligge con la finalità elusiva potendosi ipotizzare che Sa.Lu. avesse scelto di affidare la titolarità formale dell'esercizio commerciale al genero, valutando come prevalente il vantaggio di ottenere una rendicontazione continua dell'esercizio commerciale , rispetto al rischio di un eventuale provvedimento ablativo.
Si tratta di un'argomentazione corretta in diritto e logicamente ineccepibile rispetto alla quale le argomentazioni difensive (tanto del Sa.Lu. quanto del Bo.Gi.), appaiono generiche e non si spingono oltre l'evidenziazione di una presunta illogicità.
5. Tanto premesso in relazione ai reati di intestazione fittizia, rileva il collegio che, quanto all'affermazione di responsabilità degli imputati in ordine al delitto di estorsione di cui al capo i), contestata con diversi accenti da entrambi i ricorrenti, le argomentazioni più suggestive attengono alla inconfigurabilità del delitto di cui all'art. 629 cod. pen. per la titolarità, in capo a Sa.Lu., quale socio occulto, del diritto a percepire gli utili della tabaccheria gestita da Ve.Em. ed alla inconciliabilità della posizione di Ve.Em., ritenuto ad un tempo, concorrente nel delitto di cui all'art. 512 bis cod. pen.(dichiarato prescritto) e persona offesa del delitto di estorsione.
Ed invero, sulla natura lecita del profitto derivante da attività economiche oggetto del delitto di intestazione fittizia, questa Corte ha affermato (Sez. 2, n. 33076 del 14/07/2016, Moccia, Rv. 267694), che esso "assume carattere illecito proprio in quanto apparente titolare dello stesso è un soggetto diverso da quello esposto all'applicazione della misura di prevenzione e quindi esposto alle misure ablatorie; diversamente opinando si finirebbe per attribuire un affetto "sanante" allo svolgimento di attività produttive di profitto economico pur oggetto di iniziale intestazione fittizia in palese dispregio dello scopo della norma".
6. Quanto alla contraddittorietà della decisione in merito all'estorsione per la cointeressenza del Ve.Em. negli affari del Sa.Lu., rileva il collegio che la natura plurioffensiva del delitto di estorsione, tradizionalmente riconosciuta (Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, Rv. 280173; Sez. 2, n. 46504 del 13/09/2018, Rv. 274080; Sez. 2, n. 45985 del 23/10/2013, Rv. 257755; Sez. 2, n. 12456 del 04/03/2008, Rv. 239749), relega in secondo piano l'eventuale condizione di illiceità in cui versi la persona offesa, anche in relazione alla provenienza del bene oggetto della pretesa dell'agente; la tutela apprestata dall'ordinamento alla libertà morale della vittima del reato ed al suo patrimonio trova esplicazione quante volte il profitto che l'agente intenda conseguire sia ingiusto, perché sfornito di qualsivoglia base legale, pur se sussista un collegamento eventuale con la causale illecita caratterizzante l'oggetto della pretesa (Sez. 2, n. 40457 del 07/06/2023; Rv. 285101; Sez. 3, n. 9880 del 24/01/2020, Rv. 278767) e non può certo affermarsi che la pretesa dei ricorrenti di ottenere il provento dell'attività commerciale fittiziamente intestata Ve.Em., fosse tutelabile.
Come già affermato in epoca risalente, con argomento che il Collegio condivide, "a nulla rileva, per escludere il danno e l'ingiustizia del profitto, il fatto che il soggetto passivo sia venuto illecitamente nella disponibilità della cosa mobile o comunque dell'utilità cui mira l'agente, atteso che la valutazione relativa va fatta con riferimento ai rapporti tra questi e la vittima e non già tra quest'ultima e i terzi" (Sez. 2, del 5/6/1963, Lama, nello stesso, Sez. 1, del 19 aprile 1961, Cubadda); il che implica l'irrilevanza, al fine di valutare l'ingiustizia del profitto e il danno per la persona offesa, della composizione del patrimonio della vittima anche attraverso proventi di attività illecite o vietate (Sez. 3, n. 27257 del 11/05/2007, Rv. 237211).
In conclusione, la circostanza che l'oggetto della pretesa dei ricorrenti derivasse da una comune attività illecita, non esclude il carattere ingiusto del profitto perseguito dagli agenti, né la sussistenza del danno che avrebbe subito la vittima.
7. Tali argomentazioni hanno, altresì, consentito alla Corte di merito di disattendere la richiesta difensiva di derubricazione del reato di estorsione in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (cfr. pag. 21).
Derubricazione, non ammissibile, neppure astrattamente nei confronti di Bo.Gi., estraneo a qualsiasi ipotetico rapporto creditorio (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Rv. 280027). Le Sezioni Unite, sul punto, hanno affermato che "pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, ovvero che il diritto oggetto dell'illegittima tutela privata sia realmente esistente, deve, peraltro, trattarsi di una pretesa non del tutto arbitraria, ovvero del tutto sfornita di una possibile base legale(Sez. 5, n. 23923 del 16/05/2014, Demattè, Rv. 260584; Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268362), poiché il soggetto attivo deve agire nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale avente, in astratto, apprezzabili possibilità di successo (Sez. 2, n. 24478 dei 08/05/2017, Salute, Rv. 269967)", circostanze queste che, nel caso in esame, sono rimaste sfornite del pur minimo supporto probatorio avendo la Corte di merito più volte rimarcato che stante la natura illecita del patto sottostante alcuna pretesa civilmente azionabile era ravvisabile in capo agli imputati i quali, per effetto delle reiterate minacce, hanno conseguito l'ingiusto profitto rappresentato dal versamento da parte di Ve.Em. delle somme di denaro provento della gestione dell'esercizio commerciale tabaccheria sito in via (omissis) di cui si aveva dimostrazione plastica con la corresponsione di Euro 150,00.
8. Quanto al motivo n. 4 del ricorso Sa.Lu. e cioè all'applicazione dell'attenuante del fatto di lieve entità di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 2023, deve considerarsi che la Corte Costituzionale con la sentenza citata, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 629 cod. pen. - per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., - nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità, ha sottolineato, anzitutto, l'affinità con l'attenuante di lieve entità introdotta dalla sentenza della stessa Corte cost. n. 68/2012 in relazione al delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione ed ha rimarcato che gli indici dell'attenuante di lieve entità del sequestro estorsivo individuati dalla giurisprudenza di legittimità consistenti nell'estemporaneità della condotta, scarsità dell'offesa personale alla vittima, esiguità delle somme estorte e assenza di profili organizzativi (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 22 febbraio-20 aprile 2017, n. 18981), "risultano coerenti con la fisionomia oggettiva del delitto di estorsione. Essi garantiscono che la riduzione della pena - in misura non eccedente un terzo, come vuole la regola generale dell'art. 65, primo comma, numero 3), cod. pen. - sia riservata alle ipotesi di lesività davvero minima, per una condotta che pur sempre incide sulla libertà di autodeterminazione della persona".
Tutto ciò considerato, deve anzitutto essere chiarito che la lieve entità del delitto estorsivo, secondo quanto ricostruito dalla Corte costituzionale, non costituisce fattispecie autonoma di reato ma circostanza attenuante, in quanto l'interesse protetto dalla norma riguarda pur sempre la libertà di autodeterminazione della vittima identificando l'oggetto sul quale va ad incidere la condotta illecita, conseguentemente, non è dato sostenere che si tratti di due fattispecie distinte, ma di un' attenuante la quale introduce un elemento ulteriore rispetto all'ipotesi tipica prevista dall'art. 629 cod. pen. incidente sulla entità della pena che presuppone una valutazione oggettivamente riferita al fatto nel suo complesso, sicché essa non è configurabile se il requisito della lieve entità manchi o in rapporto all'evento di per sé considerato; ovvero in rapporto a natura, specie, mezzi, modalità e circostanze della condotta; ovvero, ancora, in rapporto all'entità del danno o del pericolo conseguente al reato.
Non ha fondamento quindi il motivo con il quale si lamenta il mancato riconoscimento dell'attenuante sul presupposto che l'estorsione avrebbe avuto ad oggetto la dazione della somma di Euro 150,00. Infatti, le caratteristiche dell'azione, posta in essere da soggetto appartenente ad associazione mafiosa, consentono di escludere, in radice, la possibilità di applicare detta diminuente (Sez. 2, Sentenza n. 32569 del 16/06/2023, Rv. 284980). A ciò si aggiunga che la Corte di appello ha ritenuto che le richieste estorsive nei confronti del Ve.Em., fossero sistemiche e ciò confligge con il ridotto disvalore del fatto riconosciuto all'ipotesi di lieve entità che, secondo il dictum della Corte costituzionale, riguarda episodi caratterizzati dalla più o meno marcata "occasionalità" dell'iniziativa delittuosa.
9. Il rilievo attribuito dalla difesa al profilo patrimoniale dell'offesa e cioè all'entità della somma oggetto della pretesa estorsiva (Euro 150,00), al fine riconoscere l'attenuante comune di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen., poi, è infondato poiché la sua configurabilità in relazione al delitto di estorsione, non postula il solo modestissimo valore del danno cagionato, essendo necessario valutare anche gli effetti connessi alla lesione della persona contro cui la violenza o la minaccia sono state esercitate, attesa la natura plurioffensiva del delitto di estorsione, lesivo non solo del patrimonio, ma anche della libertà e dell'integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto. (Sez. 2, n. 50660 del 05/10/2017, Rv. 271695).
10. A completamento della disamina dei motivi riguardanti la fattispecie estorsiva va precisato che il terzo motivo del ricorso Bo.Gi. con cui si contesta la configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 628 comma 3, n.3 cod. pen., non è consentito in quanto non devoluto in appello mentre l'argomentazione con la quale si sostiene l'inconfigurabilità dell'estorsione per mancanza del metus da parte della vittima è contraddetta dai consolidati principi della giurisprudenza di legittimità . Sez. 1, n. 14951 del 06/03/2009, Rv. 243731; Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, Rv. 277222; Sez. 2, n. 6683 del 12/01/2023, Rv. 284392).
11. Il terzo motivo del ricorso Sa.Lu., concernente la mancata rinnovazione istruttoria mediante audizione del teste Bo.Ma., è manifestamente infondato. Nel giudizio di appello la rinnovazione istruttoria costituisce un istituto eccezionale fondato sulla presunzione che l'indagine istruttoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicché il potere del giudice di disporre la rinnovazione è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, Ricci, Rv. 266820).
L'esercizio di un simile potere è affidato al prudente apprezzamento del giudice di appello, restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato (Sez. 3, n. 6595 del 06/04/1994, Farnese, Rv. 198068; Sez. 3, n. 7908 del 29/07/1993, Giuffida, Rv. 194487).
Ciò posto, l'argomentazione espressa dal giudice in relazione alla negatoria della prova si profila sufficiente e congrua per il richiamo al contesto di prova raccolto e alla motivazione sulla non necessità della richiesta integrazione.
12. Con riguardo al trattamento sanzionatorio non si rinvengono illogicità o carenze motivazionali né con riferimento a Sa.Lu., né con riguardo a Bo.Gi. La Corte di merito ha escluso che i ricorrenti potessero beneficiare delle attenuanti generiche in difetto di qualsiasi elemento favorevole e già questo potrebbe essere sufficiente a giustificare il diniego (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Rv. 283489), a ciò si aggiunga che la Corte di appello ha ampiamente motivato sul punto, valorizzando elementi oggettivi rientranti tra quelli valutabili secondo i criteri di cui all'art. 133 c.p.(modalità dell'azione, personalità dei rei), ritenuti decisivi (Sez. 3 n. 2233 del 17/06/2021 Rv. 282693; Sez. 3, Sentenza n. 23055 del 23/04/2013, Rv. 256172).
13. Quanto all'incremento di pena ex art. 63, comma 4, cod. pen., deve rilevarsi che la Corte di merito ha recepito il calcolo della pena effettuato dal primo giudice avuto riguardo alla determinazione della pena base per il delitto più grave di estorsione aggravata, pari ad anni sei di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa ed all'aumento di pena (di mesi sei) per il concorso con altre aggravanti ad effetto speciale (art. 99, comma 4 cod. pen., e art. 71 D.Lgs. 159/2011). Lo specifico dovere di motivazione, che incombe sul giudice nell'ipotesi ritenga di procedere ad un aumento di pena ex art. 63, comma quarto, cod. pen., si ritiene adeguatamente assolto posto che detto dovere risulta particolarmente cogente nel caso si ritenga di applicare l'aumento nella misura massima (Sez. 6, n. 18748 del 05/02/2014, Rv. 259447; Sez. 3, n. 40765 del 30/04/2015, Rv. 264904; Sez. 2, n. 22763 del 10/07/2020, Rv. 279478), mentre nel caso di specie, esso ha comportato un incremento minimo e comunque, avuto riguardo al complesso costrutto motivazionale relativo al trattamento sanzionatorio, si ricava, per implicito, anche la risposta al rilievo censorio avendo la Corte di merito valorizzato circostanze quali la personalità del reo, già condannato per associazione mafiosa e sottoposto a misure di prevenzione personali e patrimoniali, che appaiono giustificative dell'esercizio del potere discrezionale in relazione all'incremento di cui all'art. 63, comma 4, cod. pen.
14. Con riferimento a Bo.Gi. che pure censura l'incremento di pena, ex art. 63, comma 4, cod. pen., il motivo dedotto non è sostenuto da interesse posto che l'aumento di pena, sia pure nominalisticamente indicato, non è stato in concreto operato (la pena è stata aumentata solo per continuazione).
15. Tanto premesso, in applicazione del principio affermato dalla S. Unite Aiello (sent. n. 6903 del 27/05/2016, Rv. 268966) secondo cui in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione, impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, i ricorsi vanno rigettati con riferimento al reato di cui all'art. 629 cod. pen., e dichiarati inammissibili nel resto, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi limitatamente al reato di cui all'art. 629 cod. pen.; dichiara inammissibili nel resto i ricorsi e condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, Roma, 26 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria l'8 marzo 2024.