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Estorsione: la minaccia può essere implicita e subdola, idonea a creare timore e sudditanza psicologica nella vittima

Estorsione

Cassazione penale sez. II, 16/02/2024, n.12633

Il reato di estorsione (art. 629 c.p.) può configurarsi non solo in presenza di minacce esplicite e dirette, ma anche quando le richieste di denaro sono avanzate con modalità larvate, subdole o indirette, purché tali da incutere timore nella vittima e coartarne la volontà. La minaccia estorsiva, quindi, può essere implicita e indeterminata, purché nelle circostanze concrete sia idonea a creare un clima di sudditanza psicologica e timore, tenendo conto della personalità dell’agente e delle condizioni soggettive e ambientali in cui opera la vittima.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. L'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia del 3/05/2023, con la quale veniva confermata la sentenza di condanna alla pena di giustizia resa dal Gup del Tribunale di Rovigo, in ordine ai reati di atti persecutori ed estorsione. Al riguardo, la difesa deduce. 1.1. Inutilizzabilità della prova per violazione dell'art. 15 Cost. e 191 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione. La censura attiene all'avvenuta acquisizione della messaggistica whatsapp e di altri social riferibile all'imputato in assenza di un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria. 1.2. Vizio di motivazione, travisamento della prova ed error in procedendo ex art. 533 cod. proc. pen., in relazione all'accertamento dell'elemento oggettivo dei reati. La doglianza attiene all'omessa motivazione sul rilievo della messaggistica whatsapp con riguardo all'arco temporale in cui si sarebbe realizzata la condotta punibile, da circoscriversi in ragione dei messaggi scambiati dall'ottobre al 26 novembre 2021 (allorché sono cessati i contatti tra le parti) e non estensibile al periodo precedente e, in particolare, dal maggio 2020, come erroneamente ritenuto dal giudice del merito sulla scorta del dichiarato della p.o., privo di riscontri a carattere documentale (ossia dimostrativi dell'insorgere di uno stato di malattia o sofferenza) o rinvenibili nelle affermazioni di terzi. 1.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle condotte di minaccia e molestia. Si sostiene che la corretta chiave di lettura della vicenda - da cui conseguiva il logico precipitato dell'assenza di qualsiasi costrizione e della prospettazione di un male ingiusto - andava ricercata nel fatto che si trattava di un menage consensuale e caratterizzato da una forte violenza verbale, ma mai coartato, con la conseguenza che ogni dazione effettuata dalla p.o. doveva ritenersi pienamente frutto delle sue libere determinazioni. Le circostanze del fatto e (tra cui le modalità di versamento tutte tracciabili, proponendosi l'imputato ed attivandosi anche per la restituzione) escludevano che la p.o. potesse considerarsi soggetto particolarmente vulnerabile o in totale sudditanza psicologica. Né la minaccia estorsiva poteva ravvisarsi nella prospettazione della rottura sentimentale, priva dei connotati del ricatto affettivo, a fronte, peraltro, dell'affermato intento della donna di allontanarsi dall'imputato. Infine, andava esclusa la consumazione del reato estorsivo posto che le dazioni sono state liberamente effettuate dalla p.o. in costanza di menage (ella bloccava il numero dell'imputato il 18/11/2021; il 16/11/2021 i due stavano ancora programmando incontri erotici insieme); la sottrazione alle richieste dell'imputato, infatti, è conseguenza dell'instaurarsi di una nuova e successiva relazione, con conseguente riconducibilità del fatto nell'alveo del tentativo per come ritenuto in sede cautelare. 1.4. "L'evento dell'art. 629 cod. pen. (capo B). La qualificazione giuridica del fatto". La censura si rifà alle osservazioni svolte al motivo precedente in tema di corretta individuazione temporale delle condotte, sottolineando come, al più, possa ritenersi il tentativo a far data da metà novembre 2021, quando le dazioni di denaro, scollegate da minacce reali e percepite come tali dalla p.o., erano state già effettuate. 1.5. "L'evento dell'art. 612 - bis cod. pen. Riqualificazione ai sensi dell'art. 660 cod. pen.". Difettava la prova degli eventi di fattispecie: mutamento delle condizioni di vita; verificarsi di uno stato d'ansia e di paura. 1.6. Vizio di motivazione, 546 lett. e) cod. proc. pen., travisamento della prova e error in procedendo ex art. 533 cod. proc. pen. in relazione all'accertamento dell'elemento soggettivo dei reati contestati. Dal contesto di fatto si ricavava che le ragioni delle richieste di denaro erano dovute a difficoltà economiche e, dunque, si trattava di prestiti con promessa di restituzione, 1.7. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen., in ragione della misura delle erogazioni effettuate e del fatto che l'imputato si è sempre offerto di restituire ogni somma, non accettata dalla p.o., tanto che lo stesso ha fatto anche un'offerta reale. 1.8. "Vizio di motivazione, art. 546 lett. e) cod. proc. pen., in relazione alla mancata concessione della nuova attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. Nullità della sentenza per violazione dell'art. 129 - bis cod. proc. pen. in relazione all'art. 178 lett. c) cod. proc. pen.". Il rilievo attiene al diniego dell'accesso dell'imputato ad un programma di mediazione stante la mancata attuazione della norma (non erano ancora attivi i centri di mediazione), invece di immediata applicazione. La Corte di merito, a fronte dell'istanza del difensore munito di procura speciale, avrebbe dovuto rinviare l'udienza, sospendendo il processo. La difesa allega in questa sede certificazione dell'associazione Pe.Pa. Group del 18/10/2023 (successiva alla sentenza impugnata deliberata il 3/05/2023) attestante l'avvenuta conclusione del percorso di reinserimento. 1.9. Violazione di legge e nullità della sentenza ex art. 178 lett. c) cod. proc. pen. per violazione dell'art. 545 - bis cod. proc. pen., avendo la Corte di merito omesso di dare avviso all'imputato della facoltà di chiedere una pena sostitutiva (lavoro di p.u.), disponendo un rinvio del processo per interloquire con le parti a tale fine. 1.10. Vizio di motivazione, art. 546 lett. e) cod. proc. pen., travisamento della prova in relazione alla concessione della provvisionale. La doglianza attiene per un verso all'assenza dell'indicazione degli elementi giustificativi della liquidazione del danno morale e, per altro, al mancato scomputo di quanto versato dall'imputato a titolo di offerta reale (Euro 1.450,00). 2. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Ettore Pedicini, con requisitoria del 13/01/202.4, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. 3. Con motivi aggiunti del 26/01/2024, la difesa dell'imputato ha insistito per l'accoglimento die motivi di ricorso. 4. Con nota del 29/01/2024, la difesa dell'imputato ha replicato sotto tre profili (inutilizzabilità della prova, vizio di motivazione della sentenza impugnata, violazione dell'art. 545 - bis cod. proc. pen.) alle conclusioni del P.G., insistendo per l'accoglimento del ricorso. 5. Con nota aggiuntiva del 5/02/2024, la difesa dell'imputato ha chiesto comunque disporsi l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili esponendo che, successivamente al deposito delle conclusioni dell'imputato, è intervenuta la revoca della costituzione di parte civile (il 22/01/2024 è intervenuta transazione tra le parti). CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è fondato limitatamente al rilievo in ordine alla sopravvenuta estinzione delle statuizioni civili. Va, invece, rigettato nel resto essendo i motivi infondati e/o manifestamente infondati. 1. Il primo motivo di ricorso in punto di inutilizzabilità della messaggistica whatsapp è manifestamente infondato, in quanto nel caso in esame non vi è stata un'acquisizione del contenuto dei messaggi telefonici scambiati tra le parti ad opera della polizia giudiziaria, bensì una produzione degli stessi ad opera della persona offesa che li ha allegati alla denunzia. Si è quindi, al cospetto di un caso del tutto assimilabile a quello della produzione ad opera dell'offeso di messaggi sms mediante la realizzazione di una fotografia dello schermo di un telefono cellulare sul quale gli stessi sono leggibili (Sez. 3, n. 8332 del 06/11/2019, dep. 2020, R., Rv. 278635 - 01; Sez. 5, n. 12062 del 05/02/2021, Di Calogero, Rv. 280758 - 01), ovvero del contenuto della conversazione registrata con l'imputato (Sez. 2, n. 12347 del 10/02/2021, D'Isanto, Rv. 280996 - 01). E tanto, dunque, a prescindere dall'orientamento, pure espresso dalla Corte di legittimità in materia, secondo cui i messaggi whatsapp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ex art. 234 cod. proc. pen., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non applicandosi né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all'acquisizione di corrispondenza ex art. 254 e.p.p.: infatti, non si è in presenza della captazione di un flusso di comunicazioni in corso, bensì della mera documentazione ex post di detti flussi (Sez. 6, n. 38678 del 21/09/2023, n. 38678, C., non mass.; Sez. 6, n. 22417 del 16/03/2022, Sgromo, Rv. 283319). 2 - 6. I motivi dedotti in punto di sussistenza di entrambi i delitti contestati {sub 1.2 - 1.6) sono inammissibili poiché riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dai giudici di merito, con cui il ricorrente omette specificamente di confrontarsi. In particolare, la messaggistica puntualmente richiamata in sentenza, unita alle precise dichiarazioni della vittima dei reati, dà ragionevolmente conto di come le risposte ai messaggi e gli incontri comunque avvenuti sino all'applicazione della misura cautelare siano riconducibili alla condizione di assoggettamento e di sudditanza psicologica che il reiterato comportamento dell'imputato ha ingenerato nei confronti della persona offesa sin da epoca antecedente a quella ben più contenuta indicata dalla difesa (v. pagg. 5 e 6). In tale contesto, la circostanza che le parti, nell'ambito del loro menage, abbiano accettato un'interlocuzione dai toni spinti, non rende affatto privi di rilievo, neutralizzandone il disvalore penale ai fini del delitto di atti persecutori, le pesanti offese, gli insulti, le minacce di morte e il reiterato disprezzo che il giudice del merito ha precisato essere stati rivolti costantemente nei confronti della vittima del reato e manifestati in modo del tutto sproporzionato rispetto alle asserite mancanze della donna e rispetto anche a quei presupposti di necessaria "reciprocità" che dovevano fondare tale tipo di relazione ed interlocuzione. Asseverata, quindi, l'esistenza di una prevaricazione e sudditanza psicologica della persona offesa, correttamente il giudice del merito ha escluso che le dazioni di denaro fossero prive di coartazione in quanto riferibili ad una libera scelta della vittima, riconducendosi tali corresponsioni nell'alveo dell'estorsione consumata, ravvisabile non solo allorché le richieste di denaro siano state avanzate con toni aggressivi o minacciosi, ma anche in modo larvato e subdolo, in ossequio al principio stabilito dalla Corte di legittimità a mente del quale la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere esplicita, palese e determinata, può essere manifestata anche in maniera indiretta, ovvero implicita ed indeterminata, purché sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell'agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui opera (ex multis, v. Sez. 2, n. 11922 del 12/12/2012, dep. 2013, Lavitola, Rv. 254797 - 01). Con la conseguenza che anche l'intimazione della rottura di una relazione sentimentale ben può assumere valenza minacciosa allorché, lungi dal rappresentare la manifestazione di una propria libera scelta, costituisca espressione di ricatto. Valenza di merito assume poi la circostanza che le richieste di denaro sarebbero dovute a difficoltà economiche accompagnate da promesse di restituzione. La sentenza impugnata, infatti, non solo ha precisato che dette condizioni fossero falsamente rappresentate, ma ha chiaramente ricondotto le corresponsioni all'esigenza, manifestata dalla persona offesa, di salvaguardare la propria incolumità. 7. Manifestamente infondato è il motivo dedotto in ordine al diniego dell'attenuante comune di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen. Il giudice del merito, infatti, risulta avere fatto corretta applicazione del principio affermato dalla Corte di legittimità secondo cui: - ai fini della concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen. è necessario che il danno sia non solo lieve, ma di speciale tenuità, ossia di rilevanza minima, di entità quasi trascurabile, per il danneggiato (Sez. 2, n. 7207 del 12/04/1984, Fusar, Rv. 165497; Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Sicu, Rv. 269241; Sez. 2, n. 7806 del 20/11/2020, non mass.); - la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della "res", senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato (Sez. 4, n.6635 del 19/01/2017, Rv. 269241; Sez. 2, n. 7806 del 20/11/2020, non mass.). Nel caso in esame, la misura degli importi corrisposti non è affatto irrisoria e/o trascurabile sul piano economico e, tanto, a prescindere dalla natura plurioffensiva del delitto di estorsione, in ragione anche del pregiudizio subito dalla persona offesa sulla libertà fisica e morale di cui le sentenze di merito hanno dato atto nel ricostruire la condotta illecita realizzata dall'imputato ai danni della vittima. 8. Manifestamente infondata è la censura spiegata in ordine alla violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Corte di merito per non avere sospeso il processo in ragione della sottoposizione dell'imputato ad un percorso di giustizia riparativa. A norma dell'art. 92, comma 2 - bis, del D.Lgs. n. 150 del 2022 le disposizioni in materia di giustizia riparativa si applicano nei procedimenti penali e nella fase dell'esecuzione della pena decorsi sei mesi dall'entrata in vigore del decreto medesimo. Il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162 ha, infatti, prorogato al 30/12/2022 l'entrata in vigore inizialmente stabilita per l'1/11/2022. Pertanto, alla data della deliberazione della sentenza (3/05/2023) non erano ancora decorsi i sei mesi di vacatio stabiliti dalla legge. La questione, pertanto, potrà essere proposta in sede di esecuzione laddove ne ricorrano i presupposti. 9. Infondato è l'ultimo motivo, alla luce del principio recentemente affermato dalla Corte di legittimità, al quale il Collegio intende aderire, a mente del quale in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, il giudice non è tenuto a proporre, in ogni caso, all'imputato l'applicazione di una pena sostitutiva, essendo investito di un potere discrezionale al riguardo, sicché l'omessa formulazione, subito dopo la lettura del dispositivo, dell'avviso di cui all'art. 545 - bis, comma 1, cod. proc. pen., non comporta la nullità della sentenza, presupponendo un'implicita valutazione dell'insussistenza dei presupposti per accedere alla misura sostitutiva (Sez. 1, n. 2090 del 12/12/2023, dep. 2024, S., Rv. 285710 -01). 10. Va, invece accolto il motivo nuovo dedotto dalla difesa con i motivi aggiunti in ordine all'annullamento delle statuizioni civili, stante l'avvenuta revoca della costituzione di parte civile che rende inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse il decimo motivo di ricorso. La revoca della costituzione, infatti, determinando l'estinzione del rapporto processuale civile inserito nel processo penale, impedisce al giudice di legittimità, anche in presenza di ricorso inammissibile, di mantenere ferme le statuizioni relative al capo civile e impone l'annullamento della sentenza in ordine alle statuizioni civilistiche senza rinvio (cfr. Sez. 4, n. 3454 del 16/01/2019, Scozzafava, Rv. 275195; nello stesso senso, Sez. 2, n. 43311 dell'8/10/2015, Vismara, Rv. 265250 - 01; Sez. 2, n. 25673 del 19/05/2009, Bove, Rv. 244169 che precisa: "Tale deliberazione (di annullamento senza rinvio, ndr) deve disporsi (anche) di ufficio, conclusione coerente con il dato normativo, posto che in caso di revoca della costituzione di parte civile cessano gli effetti di tale costituzione (art. 76, co. 2 c.p.p.), con conseguente caducazione della condanna risarcitoria sottesa all'iniziativa processuale della parte offesa". 11. In conclusione: - va rigettato il ricorso, condannandosi il ricorrente al pagamento delle spese processuali; - va annullata senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili. Così deciso, il 16 febbraio 2024 Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2024.
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