La massima
Non risponde di concorso in estorsione colui che, per incarico della vittima di un furto e nell'esclusivo interesse di quest'ultima, si metta in contatto con gli autori del reato, per ottenere la restituzione della cosa sottratta mediante esborso di denaro, senza conseguire alcuna parte del prezzo.
1. Premessa
Il problema dell’individuazione del confine tra condotta penalmente irrilevante e contributo concorsuale nel delitto di estorsione è tornato all’attenzione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 16350 del 2024, in cui la Seconda Sezione ha annullato con rinvio una decisione di condanna pronunciata nei confronti di un soggetto accusato di aver partecipato, in qualità di “intermediario”, ad una trattativa per la restituzione di un trattore agricolo precedentemente sottratto alla persona offesa.
Si tratta di un tema classico, ma ancora capace di suscitare inquietudini interpretative, specialmente quando la condotta si colloca al confine tra solidarietà personale e partecipazione al disegno criminoso altrui.
2. Il fatto: la condanna dell’intermediario
Il sig. De.Ro. era stato condannato, in primo e secondo grado, alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione per concorso nel reato di estorsione (art. 110, 629 c.p.), per aver preso parte – secondo la ricostruzione dei giudici di merito – ad una trattativa finalizzata alla restituzione di un trattore agricolo sottratto alla persona offesa (Sa.), mediante il pagamento di una somma di denaro all’autore del furto (Da.).
La Corte d’Appello di Napoli aveva confermato la condanna, valorizzando il ruolo attivo del De.Ro. nell’intermediazione, la presunta pressione psicologica esercitata sulla vittima e taluni elementi tratti dalle intercettazioni (come l’uso del plurale o il tono confidenziale nelle conversazioni con il ladro), ritenendo che l’imputato avesse agito anche nell’interesse dell’autore del furto, contribuendo a realizzare il pactum sceleris tipico del delitto estorsivo.
3. Il principio affermato dalla Corte: esclusione del concorso se l’intermediario agisce nell’interesse esclusivo della vittima
La Suprema Corte, ribaltando l’esito dei precedenti giudizi, ha riaffermato un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: non risponde del reato di concorso in estorsione colui che, per incarico della vittima e nell’interesse esclusivo di quest’ultima, si adoperi per ottenere la restituzione del bene sottratto mediante il pagamento di una somma di denaro, senza trarre alcun vantaggio personale né favorire l’interesse dell’autore del furto.
In particolare, il Collegio richiama precedenti significativi (Sez. 2, n. 37896/2017, Benestare; Sez. 2, n. 6824/2017, Bonapitacola; Sez. 2, n. 6329/2023, Raduano), per ribadire che il criterio distintivo tra la responsabilità penale per concorso e la condotta lecita va individuato nell’elemento soggettivo: l’intermediario che agisce per mera solidarietà e su iniziativa della persona offesa, senza alcuna partecipazione al disegno criminoso del ladro, non può essere considerato correo.
4. Le carenze motivazionali nella sentenza impugnata
Ciò che ha indotto la Corte ad annullare la decisione è la fragilità del percorso argomentativo seguito dai giudici di merito, incapace di superare la soglia del ragionevole dubbio in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
La Corte evidenzia:
> l’assenza di una prova del tornaconto personale da parte dell’imputato;
> la mancata valutazione del comportamento post factum della persona offesa, che aveva continuato a frequentare il De.Ro. anche dopo la restituzione del mezzo, senza mostrare segni di ostilità o disagio;
> la contraddizione logica tra la pretesa complicità e il comportamento tenuto dal De.Ro., che aveva ottenuto una riduzione del prezzo richiesto, circostanza più compatibile con un tentativo di mediazione in favore della vittima che con una condotta estorsiva;
> l’assenza di motivazione specifica circa il significato delle intercettazioni, limitandosi i giudici ad un generico riferimento al tono colloquiale e all’uso del plurale.
Il Collegio sottolinea inoltre come sia stata sottovalutata la tesi difensiva secondo cui l’imputato si era limitato ad agevolare la restituzione del mezzo su richiesta del parente, senza coinvolgimenti con l’ambiente criminale né volontà di favorire il furto o trarne beneficio.
5. Il ruolo del giudice nella valutazione del concorso
La sentenza in esame ricorda – sia pure implicitamente – al giudice di merito il dovere di non sovrapporre automatismi ricostruttivi alla concreta verifica del fatto, soprattutto in materia di concorso di persone nel reato.
Il tratto distintivo dello stile coppiànamente rigoroso è proprio la capacità di isolare il punto vulnerabile della motivazione: la confusione tra la disponibilità ad aiutare una vittima e la compartecipazione ad un disegno criminoso. La sentenza in commento ricolloca l’interprete su un terreno più solido, nel quale la qualificazione giuridica della condotta deve sempre muovere da una esatta ricostruzione del fatto storico e da un accertamento rigoroso dell’elemento soggettivo.
6. Conclusioni: la riabilitazione della solidarietà
Il principio di diritto riaffermato dalla Cassazione tutela non solo la legalità, ma anche un principio minimo di razionalità e umanità dell’ordinamento penale: punire chi si attiva per aiutare una vittima, senza trarne vantaggio né colludere con il reo, significherebbe criminalizzare comportamenti che, se non socialmente virtuosi, sono almeno privi di disvalore.
La solidarietà familiare o amicale – quando non si traduca in favoreggiamento o in compartecipazione consapevole al reato – non può essere elevata a manifestazione del dolo concorsuale, se non a prezzo di una forzatura interpretativa che la giurisprudenza più avveduta ha ormai chiaramente respinto.
Con la sentenza in commento, la Corte torna a marcare i confini della responsabilità penale, ribadendo che non ogni intervento in una vicenda illecita configura un concorso nel reato, e che il giudizio di responsabilità non può fondarsi su suggestioni induttive, ma deve radicarsi in prova certa, logica e coerente, secondo i dettami dell’art. 533 c.p.p.
Cassazione penale sez. II, 22/02/2024, n.16350