RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 22/05/2023 la Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Napoli emessa in data 06/06/2022, impugnata dagli imputati Pr.Ra., Va.Gi. e Ba.Lu., previa concessione delle circostanze attenuanti generiche al Pr.Ra. e al Va.Gi., rideterminava la pena a costoro inflitta nella misura di anni sei di reclusione ed euro cinquemila di multa, confermando il giudizio di responsabilità per il reato di estorsione in concorso, aggravata anche ai sensi dell'art. 416-bis.1 cod. pen.; confermava altresì la condanna del Ba.Lu. alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione per il reato di cui all'art. 378 cod. pen., aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen.
2. In sintesi, secondo la ricostruzione dei giudici di merito i fatti in contestazione si inquadravano nel contesto di operatività criminale del clan Li. , con sede logistica nel territorio di S, ed erano attinenti a distinte vicende estorsive: la prima, inerente alla estorsione consumata, compiuta dal Pr.Ra. e dal Va.Gi. ai danni di Ci.Fi., titolare di una impresa edile che stava svolgendo lavori di rifacimento delle facciate di un immobile sito in S, il quale aveva versato agli estorsori la somma di novemila euro (capo a); la seconda, inerente all'estorsione tentata compiuta dallo stesso Va.Gi., unitamente ad altri soggetti, ai danni di Ba.Vi, anch'egli imprenditore edile, vicenda questa che non era oggetto di imputazione nel presente giudizio ma in relazione alla quale era emersa la condotta dello zio della vittima, Ba.Lu., il quale aveva comunicato a Li.Ma. la circostanza che il nipote aveva denunciato ai Carabinieri l'autore di quella tentata estorsione, notizia che aveva consentito al Va.Gi. di allontanarsi dal territorio, rendendosi irreperibile in fase di esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare emessa per i fatti oggetto di denuncia.
3. Avverso la sentenza di secondo grado ricorrono i difensori di fiducia degli imputati.
3.1. Nell'interesse di Pr.Ra. sono stati proposti due ricorsi, a firma, uno, dell'avv. Gennaro Pecoraro, e, l'altro, dell'avv. Salvatore D'Antonio.
Con il ricorso a firma dell'avv. Pecoraro sono stati articolati due motivi, eccependosi:
la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 416-bis.l cod. pen. sia per il profilo obiettivo del cd. metodo mafioso - atteso l'esclusivo riferimento al contesto ambientale, senza indici del fatto che la vicenda era collocata in un contesto di criminalità organizzata - sia per il profilo soggettivo dell'agevolazione della consorteria mafiosa, affermata sulla base di mere presunzioni (dalle conversazioni intercettate era emersa altresì la netta separazione fra l'azione del Va.Gi. e quella del Pr.Ra., con riferimento alla finalità di incrementare le casse del sodalizio);
vizio di motivazione relativamente all'aggravante di cui all'art. 628, comma terzo, n.3, cod. pen. per mancanza di prova dell'appartenenza al sodalizio, quanto meno nel periodo in contestazione, atteso il carattere generico e tutt'altro che convergente delle dichiarazioni sul punto dei collaboratori di giustizia.
Con il ricorso a firma dell'avv. D'Antonio si deducono vari profili di nullità della sentenza, con riferimento, innanzitutto, alla dichiarata inammissibilità dei motivi nuovi, senza considerare che l'appello principale del co-difensore non riguardava soltanto la configurabilità delle aggravanti contestate e il trattamento sanzionatorio ma si estendeva anche all'affermazione di responsabilità per il capo A), con sostanziale richiesta assolutoria, come poteva evincersi dal tenore complessivo dell'atto; inoltre, non era stata esaminata la richiesta di rinnovazione istruttoria ex art. 630, comma 3, cod. proc. pen. (escussione della persona offesa Ci.Fi.; acquisizione di documentazione, anche sanitaria, attestante la presenza dell'imputato in diverso territorio).
Si lamenta, inoltre, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, il mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. posto che l'integrale risarcimento del danno era avvenuto tempestivamente, dopo l'ammissione del rito abbreviato e prima della discussione delle parti.
Ulteriori profili di censura riguardano le aggravanti di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen. e all'art. 628, comma terzo, n.3 cod. pen. per non avere la corte territoriale considerato le argomentazioni difensive tese ad evidenziare l'assenza di contatti fra il Pr.Ra. e la Li.Ma., i rapporti di cordialità fra la persona offesa e l'imputato, l'idea di un'estorsione ambientale priva di manifestazioni concrete - come si rilevava dalle conversazioni intercettate che riguardavano l'imprenditore estorto, soggetto, egli stesso, coinvolto in vicende estorsive ai danni dei fratelli Ba. -l'insussistenza dell'intenzione di agevolare il clan; inoltre, era mancato uno specifico accertamento sull'appartenenza del Pr.Ra. alla cosca Li. , dovendosi ritenere inattendibili sul punto le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, per i profili sottolineati in appello e non riscontrati dalla corte territoriale.
Infine, si censurano le determinazioni relative al trattamento sanzionatorio, determinato in difformità dai criteri di legge e senza adeguata motivazione, in termini di quantificazione della diminuzione conseguente al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della misura della pena.
3.2. Nell'interesse di Va.Gi., con due motivi, si denuncia il travisamento della prova circa l'identificazione dell'imputato con tale Pe., menzionato nelle intercettazioni ambientali nonché il vizio di motivazione relativamente alla minima riduzione operata ai sensi dell'art. 62-bis cod. pen.
Con motivo aggiunto, la difesa del Va.Gi. ha esteso il vizio della motivazione al ritenuto coinvolgimento dell'imputato nel reato, correlato alla omessa valutazione da parte della Corte di Appello del dato, pur evidenziato dallo stesso imputato in sede di interrogatorio di garanzia e riscontrato da documentazione in atti, della ininterrotta detenzione carceraria dal 5 giugno 2015 al 31 dicembre 2019, con conseguente inverosimiglianza del fatto che, appena scarcerato, avesse posto in essere la condotta delittuosa contestata.
3.3. Nell'interesse di Ba.Lu. si articolano vari motivi di ricorso.
Con il primo si denuncia la violazione di legge (art. 378 cod. pen.), in relazione agli elementi, oggettivo e soggettivo, previsti in tema di favoreggiamento personale: la ricostruzione della condotta evidenziava che il Ba.Lu. aveva riferito alla Li.Ma. della denuncia presentata dal nipote nei confronti del Va.Gi. in merito alla richiesta estorsiva, notizia che in sé non poteva integrare una condotta di aiuto nel senso indicato dalla norma, non consistendo in un comportamento elusivo delle investigazioni o delle ricerche dell'autorità, in mancanza altresì di un obbligo di riserbo riguardo un'informazione appresa da terzi (il denunciante) su un atto al quale egli non aveva assistito o partecipato. Inoltre, non era stata provata la consapevolezza finalistica dell'azione (frustrare in concreto l'attività di investigazione o di ricerca dell'autorità, ad esclusivo vantaggio del soggetto favorito).
Con il secondo motivo, si eccepisce il vizio di motivazione nella valutazione del verbale di denuncia del 29 gennaio 2021, dal quale poteva evincersi con chiarezza che il Va.Gi. era a conoscenza, già durante il tentativo di estorsione, che Ba.Vi aveva richiesto l'ausilio delle forze dell'ordine.
Con il terzo motivo si lamenta l'inosservanza di norma processuale stabilite a pena di nullità nella sentenza di primo grado (artt. 521, comma 2, 178, comma 1, lett. b, 179, comma 1, 441-bis e 604, commi 1 e 4 cod. proc. pen.): a fronte della contestata aggravante agevolativa di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen., la sentenza di condanna riteneva la sussistenza della aggravante per il ricorso al metodo; nella sentenza di appello, pur a fronte della contestata violazione del principio di correlazione, la Corte di Appello recuperava l'aggravante, riconducendola nell'alveo della agevolazione, così omettendo di rilevare la sussistenza di una nullità assoluta, come tale non soggetta a sanatoria, né a termini di decadenza.
Il quarto e il quinto motivo si riferiscono alla ritenuta sussistenza dell'aggravante, sotto il duplice profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, per la mancata considerazione della direzione finalistica della volontà dell'agente nell'ottica agevolativa evocata dalla norma.
Con il sesto motivo si eccepisce la violazione degli artt. 270, comma 1 e 266, comma 1, cod. proc. pen. in relazione alla ritenuta utilizzazione delle intercettazioni acquisite in diverso procedimento, a carico di Li.Ma., in ordine alla sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 416-bis.1 cod. pen., pur in assenza di connessione ed. qualificata e della natura delle conversazioni intercettate, non espressive della commissione del reato contestato, prive, pertanto, della natura di corpo di reato, e insuscettibili di acquisizione al processo.
I motivi dal settimo all'undicesimo si riferiscono all'applicazione della recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen., al diniego delle attenuanti generiche, alla determinazione della pena, sostenendosi l'erronea applicazione della normativa di riferimento e la motivazione mancante, contraddittoria o erronea sulle singole questioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.I ricorsi di Pr.Ra. e Va.Gi. sono inammissibili perché basati su motivi non consentiti e comunque privi della specificità necessaria ex artt. 581, comma 1, e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., oltre che manifestamente infondati.
2. Ricorsi proposti nell'interesse di Pr.Ra..
2.1. Con il ricorso a firma dell'avv. Gennaro Pecoraro si censura la sentenza impugnata in relazione al riconoscimento delle aggravanti di cui agli artt. 416-bis. 1 e 628, comma terzo, n.3 cod. pen., oggetto anche dei due motivi di cui alle pagine da 14 a 23 del ricorso a firma dell'avv. D'Antonio.
Si contesta, in primo luogo, la sussistenza del metodo mafioso e della finalità di agevolare il clan camorristico Li. , con argomentazioni già sottoposte all'esame del giudice di appello e definite in termini adeguati.
II Pr.Ra., infatti, è stato ritenuto responsabile del reato di estorsione in danno dell'imprenditore edile Ci.Fi., in concorso con Va.Gi., con la consapevolezza che la richiesta di danaro proveniva dal clan Li. e con il fine di avvantaggiare il prestigio e il predominio sul territorio di S di quell'organizzazione mafiosa (capo A).
La corte territoriale ha esaminato entrambi i profili (pagine 9 e 10), evidenziando, quanto al metodo mafioso come dalle conversazioni intercettate il Ci.Fi. avesse pagato la protezione offerta in qualità di imprenditore che ben conosceva la realtà di S, zona di provenienza e dove stava eseguendo lavori edili, dichiarando espressamente alla richiesta di danaro che ben conosceva le dinamiche per poter lavorare e che aveva preventivato il versamento del pizzo; agli estorsori, pertanto, era sufficiente far leva sulla formazione culturale della vittima, consapevole di essere assoggettato alle pretese criminali provenienti dai clan operanti nella zona in cui egli esercitava l'attività imprenditoriale.
La giurisprudenza di legittimità ha a riguardo affermato, infatti, in fattispecie analoga, che in tema di estorsione ed. ambientale, integra la circostanza aggravante del metodo mafioso la condotta di chi, pur senza fare uso di una esplicita minaccia, pretenda dalla persona offesa il pagamento di somme di denaro per assicurarle protezione, in un territorio notoriamente soggetto all'influsso di consorterie mafiose, senza che sia necessario che la vittima conosca l'estorsore e la sua appartenenza ad un clan determinato (Sez. 2, n. 21707 del 17/04/2019, Barone, Rv. 276115 - 01).
Quanto all'agevolazione mafiosa, la Corte di appello, integrando la motivazione del primo giudice, ha valorizzato i seguenti elementi di fatto: l'indubbia esistenza nel territorio di S del clan Li. (in tal senso numerose conversazioni intercettate e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia), con particolare riferimento alla figura di Li.Ma. nel controllo delle attività illecite in zona; il collegamento del Pr.Ra. alla Li.Ma., per conto della quale egli operava, in occasione anche della vicenda delittuosa in argomento, nella consapevolezza che le somme estorte incrementavano le casse del clan camorristico (significative in tale senso le due intercettazioni riportate a pagina 10 della sentenza impugnata).
La diversa interpretazione delle conversazioni con la Li.Ma. - a base delle tesi difensiva che, pur non potendo negare la conoscenza di quest'ultima dell'azione estorsiva, lamenta la mancanza di prova circa la volontà del Pr.Ra. di agire in favore del clan - costituisce una questio facti, un'alternativa lettura cioè del dato probatorio che non inficia la linearità logica delle conclusioni di merito.
Reiterativi risultano le censure di entrambi i difensori sull'aggravante di cui all'art. 628, comma terzo, n. 3 cod. pen.
Premesso che ai fini della configurabilità di tale circostanza aggravante, non è necessario che l'appartenenza dell'agente a un'associazione di tipo mafioso sia accertata con sentenza definitiva, ma è sufficiente che tale accertamento sia avvenuto nel contesto del provvedimento di merito in cui si applica la citata aggravante (Sez. 2, n. 33775 del 04/05/2016, Bianco, Rv. 267850 - 01), la corte territoriale da conto degli elementi dai quali dedurre l'appartenenza del Pr.Ra. al clan Li. , all'epoca dei fatti diretto da Li.Ma.: prove ritenute plurime e convergenti, con precisi richiami alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ritenuti attendibili, ed ai riscontri provenienti dalle conversazioni intercettate nell'abitazione della Li.Ma. (pagina 11). Al contrario, le censure difensive sul punto risultano generiche, con riferimenti di sintesi al propalato dei collaboratori e agli atti processuali, acritiche nella confutazione del significato attribuito alle conversazioni intercettate.
Inoltre, come affermato dalla condivisibile giurisprudenza della Corte, in tema di rapina ed estorsione, la circostanza aggravante di cui all'ari:. 7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203 (attualmente, art. 416-bis.l cod. pen.) può concorrere con quella di cui all'art. 628, comma terzo, n. 3, richiamata dall'art. 629, comma secondo, cod. pen., in quanto la prima presuppone l'accertamento che la condotta sia stata commessa con modalità di tipo mafioso, pur non essendo necessario che l'agente appartenga al sodalizio criminale, mentre la seconda si riferisce alla provenienza della violenza o minaccia da soggetto appartenente ad associazione mafiosa, senza che sia necessario accertare in concreto le modalità di esercizio di tali violenza e minaccia, né che esse siano state attuate utilizzando la forza intimidatrice derivante dall'appartenenza all'associazione mafiosa (Sez. 1, n. 4088 del 06/02/2018, dep. 2019, Poerio, Rv. 275131 - 02), con conseguente manifesta infondatezza della tesi difensiva secondo cui i giudici di merito hanno confuso i piani delle due aggravanti, potendosi riscontrare al più solo quella dell'agevolazione di un contesto camorristico (pagina 20 del ricorso a firma dell'avv. D'Antonio).
2.2. Gli ulteriori motivi del ricorso dell'avv. D'Antonio sono ugualmente reiterativi e privi di effettivo confronto critico con le argomentazioni del giudice di merito.
Correttamente la corte territoriale ha rilevato la inammissibilità dei motivi nuovi formulati in sede di appello, dal momento che quelli relativi alla insussistenza del reato di cui al capo A) erano stati sollevati tardivamente, non essendo stato dedotto nulla a riguardo con l'appello principale a firma dell'avv. Pecoraro (la lettura dell'atto evidenzia che l'impugnazione si riferiva esclusivamente alle aggravanti dell'art. 416-bis.1 cod. pen. e dell'art. 628, comma terzo, n. 3 cod. pen. nonché alla richiesta di riconoscimento dell'attenuante d cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. e di mitigazione della pena).
La richiesta di rinnovazione istruttoria è stata esaminata e disattesa con identica motivazione, sottolineandosi che essa era attinente al profilo di responsabilità (testimonianza della persona offesa, acquisizione di documenti comprovanti l'assenza del Pr.Ra. dal territorio napoletano all'epoca dei fatti).
Anche i motivi sul trattamento sanzionatorio sono privi di specificità rispetto alla motivazione della sentenza impugnata: ai fini del riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen., nel giudizio abbreviato la riparazione del danno mediante risarcimento o restituzione, deve intervenire prima che sia pronunciata l'ordinanza di ammissione al rito (Sez. 5, n. 223 del 27/09/2022, dep. 2023, Casagrande, Rv. 284043 - 0:L), mentre nel caso di specie è intervenuta dopo tale fase processuale, nel corso del giudizio di primo grado (pagina 11 della pronuncia di secondo grado nonché pagine 6 e 7, con riferimento ad analoga censura del Va.Gi.); l'entità della diminuzione della pena per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ha tenuto conto del disvalore complessivo dell'azione delittuosa, in un plausibile contemperamento di elementi opposti di valutazione; i criteri di cui all'art. 133 cod. pen., genericamente contestati, sono congruamente rapportati alla gravità dei fatti e alla personalità del colpevole, in conformità con la valutazione del primo giudice.
3. Il ricorso di Va.Gi. è all'evidenza generico, e, con riferimento al primo motivo, estraneo alla verifica di legittimità, essendo incentrato su aspetti fattuali e valutativi propri della sede di merito.
La Corte di appello ha spiegato le ragioni per le quali il Va.Gi. è da ritenersi responsabile dell'estorsione ai danni del Ci.Fi., ritenendo frammentaria e riduttiva la lettura del compendio probatorio effettuato dalla difesa; lettura reiterata con il ricorso in esame. Sono stati riportati i passaggi significativi delle conversazioni intercettate (pagine 4 e 5) attestanti il collegamento tra la vicenda estorsiva e il soggetto a nome Pe., da identificarsi in Va.Gi. per i motivi indicati, analizzati con rigore logico, incentrati sul ruolo della Li.Ma. e sul tenore non equivoco delle sue affermazioni circa il coinvolgimento del Va.Gi. e del Pr.Ra. nelle estorsioni ai danni del Ci.Fi. e di Ba.Lu..
Anche nel caso del Va.Gi. la contestazione dell'entità della riduzione della pena è generica, avendo la corte motivato, come evidenziato nel paragrafo che precede, le ragioni del contenimento del beneficio, nell'esercizio di un potere discrezionale insuscettibile di censure in sede di legittimità.
4. Il ricorso di Ba.Lu., in relazione alla conferma della condanna per il favoreggiamento personale contestato al capo B).
Le censure introducono aspetti nuovi, estranei all'atto di appello, e, comunque infondati, non contestandosi più con il ricorso la condotta in sé (aver riferito a Li.Ma. della denuncia presentata dal nipote Ba.Vi nei confronti di Va.Gi.) ma la inidoneità di tale iniziativa a compromettere il bene giuridico tutelato dalla norma, con riferimento all'elemento oggettivo e soggettivo del reato.
Circa il primo aspetto sostiene il ricorrente che il mero riferire di una denuncia, da parte di un soggetto non qualificato, che non rivestiva la qualifica di pubblico ufficiale in relazione ad un atto del procedimento penale, e che non era tenuto all'obbligo di riservatezza non costituiva condotta di aiuto nel senso evocato dalla disposizione di cui all'art. 378 cod. pen.
Innanzitutto, secondo l'incipit normativo, l'autore del reato può essere chiunque, tranne il concorrente nel delitto commesso dalla persona che si intende agevolare ad eludere lo svolgimento delle indagini o a sottrarsi alle ricerche, con la conseguenza che è irrilevante la qualifica di pubblico ufficiale e l'accertamento di un obbligo di segretezza derivante da tale funzione.
Inoltre, il delitto di favoreggiamento personale, in quanto reato di pericolo a forma libera, è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, idonea a realizzare l'effetto di fornire ausilio a taluno a eludere le investigazioni dell'autorità o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti - nel caso di specie, in previsione dell'esecuzione di una misura cautelare - a prescindere dall'effettivo vantaggio conseguito dal soggetto favorito, salvo restando, sotto un primo profilo, che l'agente abbia fornito un contributo materiale idoneo alla realizzazione delle anzidette finalità e, sotto un secondo, che si sia rappresentato la portata del proprio agire e abbia effettivamente voluto apportare, con la propria condotta, siffatti aiuti (Sez. 6, n. 43548 del 15/05/2019, Alvaro, Rv. 277202 - 03).
La corte territoriale ha quindi ricostruito la condotta del ricorrente, con accertamento in fatto insindacabile in questa sede, pervenendo a conclusioni giuridicamente corrette, alla stregua dei suddetti principi di diritto, e persuasive secondo i canoni della logica (pagine da 14 a 18 della sentenza impugnata): il 3 febbraio 2021, dopo cinque giorni dalla presentazione della denuncia da parte del nipote, vittima della tentata estorsione, il ricorrente si recò a casa di Li.Ma. per informarla che costui aveva denunciato Va.Gi., in modo che quest'ultimo potesse sottrarsi ad un provvedimento di custodia cautelare (puntuale a riguardo il riferimento alle conversazioni intercettate dalle quali emerge non solo l'obiettivo dell'imputato di accreditarsi presso la Li.Ma., aiutando il Va.Gi. ad eludere le investigazioni o a sottrarsi alla cattura, così intralciando il corso della giustizia, ma anche la consapevolezza di aiutare l'esecutore materiale della tentata estorsione con il più ampio intendimento di guadagnarsi la considerazione del capo del clan che controllava il territorio).
Attraverso l'analisi della sequenza temporale degli eventi (la denuncia sporta il 29 gennaio 2021, l'informazione resa dall'imputato alla Li.Ma. il 3 febbraio 2021, la fuga immediatamente successiva del Va.Gi.), si è altresì escluso che la denunzia della vittima fosse di dominio pubblico allorché fu riferita dal Ba.Lu., atteso che nelle intercettazioni del 3 febbraio e dei giorni successivi, la notizia in questione era commentata dalla Li.Ma. stessa come una novità.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce il vizio di motivazione rispetto alla deduzione difensiva secondo cui "va ricordato quanto si evince dal verbale di denuncia presentato in data 29.01.2021, laddove emerge che il Ba.Vi ha subito esplicitato ai presunti estorsi di voler richiedere l'intervento delle Forze dell'Ordine", circostanza che "già, di per sé dovrebbe indurre a riflettere circa la prevedibilità della denuncia che il Ba.Vi ebbe poi effettivamente a presentare" (pag. 17 dell'atto di appello).
Così posta la questione, deve ritenersi che la corte territoriale abbia adempiuto all'onere motivazionale, indicando le ragioni - sintetizzate nel punto precedente - della affermata sussistenza della condotta di favoreggiamento, idonea a consentire l'irreperibilità del Va.Gi..
Va ribadito a riguardo che in sede di legittimità non è censurabile la sentenza, per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa (Sez. 2, n. 35817 del 10/07/2019, Sirica, Rv. 276741 - 01); nel caso di specie, l'appellante faceva riferimento ad una denuncia prevedibile - in quanto paventata all'estorsore - ma non effettivamente formalizzata, sì che non era necessario che la corte territoriale si soffermasse su una circostanza di fatto non certa, contraddetta dalla sequenza di eventi successivi, attestanti non solo la presentazione della denunzia ma l'immediata comunicazione della notizia inedita alla Li.Ma. perché, a sua volta, mettesse in allarme il Va.Gi..
Il ricorrente non può altresì richiedere in sede di legittimità una rilettura della denuncia al fine di trarne un diverso elemento fattuale di giudizio, prospettando in tal modo un travisamento della prova, in quanto nel caso di cosiddetta "doppia conforme", tale vizio, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777 - 01), circostanza non verificatasi nel caso di specie.
4.1. Per quanto riguardo il terzo motivo, dalla lettura del capo d'imputazione risulta la contestazione della ed. finalità agevolatrice ex art. 416-bis.1 cod. pen. che il giudice di primo grado ha correttamente riscontrato (pag. 16, atteso l'esplicito riferimento al supporto che l'organizzazione criminale riceve non solo da chi comanda e dagli affiliati ma anche da soggetti che, come il ricorrente, risultano apparentemente estranei a logiche delinquenziali ma che con il loro contributo rafforzano la presenza del clan sul territorio); la corte territoriale ha confermato la sussistenza dell'aggravante, così come contestata.
L'infondatezza dell'eccezione processuale si estende anche ai rilievi di carattere sostanziale, avendo il giudice di appello adeguatamente motivato in ordine alla finalità agevolatrice in favore della cosca Li. , sulla base delle captazioni riportate, attestanti come la notizia idonea a consentire al Va.Gi. di sottrarsi alla fuga non fu comunicata a quest'ultimo ma al capo clan, allo scopo di preservare uno degli affiliati, in tal modo accreditandosi anche presso la Li.Ma., condotta funzionale al consolidamento del prestigio e del predominio del sodalizio (paragrafo 4.3.2).
Riscontrata l'aggravante in questione, in relazione al reato ascritto al ricorrente, risultano certamente utilizzabili le intercettazioni espletate in diverso procedimento, con conseguente genericità dell'eccezione di inutilizzabilità riproposta in sede di legittimità (sesto motivo di ricorso).
4.2. Circa le censure relative al trattamento sanzionatorio, occorre, invece, distinguere.
Alcune risultano reiterative e, quindi, generiche, riguardando questioni adeguatamente definite dalla corte di merito (paragrafo 4.3.3): il diniego delle attenuanti è giustificato con la personalità negativa dell'imputato, desumibile dall'iter deviante e dalle allarmanti modalità della condotta contestata; la pena base risulta congruamente determinata, secondo il parametro della media edittale, con preciso riferimento alla gravità dei fatti e alla connotazione soggettiva dell'autore del reato; l'aumento per l'aggravante ex art. 416-bis. 1 cod. pen. è contenuto (sei mesi di reclusione).
Per quanto attiene, invece, alla recidiva, la sentenza impugnata motiva l'applicazione sul presupposto che i "precedenti penali, per quanto risalenti, costituiscono indice di una pregressa capacità a delinquere che con la ricaduta nel reato per cui si procede - ancor più grave in ragione dell'aggravante ex art. 416-bis. 1 c.p. - risulta senza dubbio aggravata oltre che persistente" (pag. 20).
Dall'esame del certificato penale risulta in realtà un solo precedente per " ricettazione (reato commesso nel 1977), in quanto la pena ed ogni altro effetto penale per la condanna di cui alla sentenza della Corte di Appello di Roma del 16/12/1988 sono stati dichiarati estinti per esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale, misura alternativa alla detenzione.
Ha precisato a riguardo il giudice di legittimità che l'estinzione di ogni effetto penale, determinata dall'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale, comporta che delle relative condanne non si deva tener conto ai fini della recidiva (sez. 3, n. 41697 del 08/05/2018, G., Rv. 273941-01; in motivazione la Corte ha precisato che detta estinzione può essere rilevata nel giudizio di legittimità, qualora - come nel caso di specie - sia stata documentata dal ricorrente e riguardi un punto, oggetto di ricorso per cassazione, devoluto ai giudici di merito).
Si rende necessario, pertanto, una nuova valutazione della censura relativa all'applicazione della recidiva reiterata, alla stregua dell'unico precedente penale a tal fine rilevante.
5. In definitiva, la sentenza impugnata va annullata nei confronti del Ba.Lu. limitatamente alla recidiva, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli, con rigetto nel resto del ricorso e dichiarazione di irrevocabilità dell'affermazione di responsabilità per il reato contestato.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi del Pr.Ra. e del Va.Gi. consegue, invece, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Ba.Lu. limitatamente alla recidiva, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli.Rigetta nel resto il ricorso e dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilità.Dichiara inammissibili i ricorsi di Pr.Ra. e Va.Gi., che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 2 febbraio 2024.
Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2024.