RITENUTO IN FATTO
1. Con l'impugnata sentenza la Corte d'Appello di Perugia confermava la decisione del Tribunale di Terni che, in data 7/1/2021, aveva riconosciuto l'imputato colpevole del delitto di estorsione, condannandolo - previo riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva qualificata - alla pena di anni cinque di reclusione ed Euro 1000,00 di multa.
2. Ha presentato ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato, Avv. Balzano, il quale ha dedotto la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo
2.1 alla ritenuta configurabilità del delitto di estorsione in luogo di quello ex art. 393 cod. pen. ovvero ex art. 640, comma 2 n. 2 bis, cod. pen.;
2.2 all'affidabilità dell'individuazione fotografica effettuata dalla p.o. dinanzi alla P.g.
2.3 Con memoria in data 24/10/23 a firma dell'Avv. Cristiano Conte il difensore argomentava l'applicabilità al caso in esame dell'attenuante della lieve entità del fatto, introdotta a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 120 del 15/6/2023, sull'assunto della minima lesività della condotta e dell'occasionalità dell'iniziativa delittuosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, originariamente assegnato alla Settima Sezione sulla base di una prognosi di inammissibilità delle doglianze articolate, veniva in seguito trasmesso alla sezione ordinaria in attesa della pronunzia della Corte Costituzionale circa la configurabilità dell'attenuante della lieve entità del fatto in relazione al delitto di estorsione, avendo l'Avv. Balzano prospettato incidente di costituzionalità in termini sovrapponibili alla questione già pendente dinanzi al Giudice delle Leggi.
2. Ciò premesso, osserva il Collegio che le censure in punto di qualificazione giuridica sono inammissibili per le ragioni di seguito esposte. Deve preliminarmente rilevarsi che la richiesta di sussunzione dell'illecito nella fattispecie ex art. 640, comma 2 n. 2 bis, cod. pen. non risulta devoluta in appello e, ad ogni buon conto, era stata ampiamente scrutinata e disattesa con corretti argomenti giuridici dal primo giudice (pagg. 4/5), in piena aderenza ai principi declinati da questa Corte in materia (Sez. 2, n. 24624 del 17/07/2020, Rv. 27949201). Con riguardo alla riconduzione della condotta nell'alveo del delitto di ragion fattasi di cui all'art. 393 cod. pen., la Corte di merito ha ampiamente argomentato la reiezione della prospettazione difensiva, concludendo per la simulazione del sinistro ed escludendo, per l'effetto, che l'imputato fosse portatore di un diritto suscettibile di tutela in sede giudiziaria.
2.1 Quanto all'individuazione fotografica dell'imputato effettuata in sede investigativa, la difesa ne contesta i contenuti sulla scorta di un'affermazione della p.o. in sede dibattimentale, isolata dal complessivo contesto dichiarativo, assumendo che il Luciani l'abbia operata in base ad una mera rassomiglianza del soggetto effigiato con l'autore del reato. La valutazione dei giudici di merito non è scalfita dalle obiezioni difensive ove si consideri che il primo giudice, che presiedette all'assunzione della prova dichiarativa, ha affermato (pag. 3) che" anche in aula la p.o. riconosceva senza ombra di dubbio l'uomo coinvolto nei fatti riportati nell'odierno imputato ... " e la Corte di merito ha logicamente interpretato il passaggio dichiarativo (di natura retrospettiva) riportato dalla difesa come dovuto all'affievolimento del ricordo conseguente al tempo trascorso e all'età avanzata della p.o.
2.2 Ne hanno pregio i rilievi svolti al riguardo nella prima memoria difensiva in quanto, per costante avviso della giurisprudenza di legittimità, il riconoscimento dell'imputato operato in udienza, nel corso dell'esame testimoniale, è atto di identificazione diretta, effettuato con dichiarazioni orali, valido e processualmente utilizzabile anche senza l'osservanza delle formalità prescritte per la ricognizione personale (Sez. 2, n. 23970 del 31/03/2022, Rv. 283392-01; Sez. 4, n. 47262 del 13/09/2017, Rv. 271041-01; Sez. 6, n. 12501 del 27/1/2015, Rv. 262908).
V'è da aggiungere che il profilo relativo all'attendibilità della p.o. risulta congruamente scrutinato dal primo giudice (pag. 4) con esiti convalidati dalla sentenza impugnata.
2.3 I motivi nuovi a firma dell'Avv. Balzano sono irricevibili a norma dell'art. 585, comma 4, cod. proc. pen. secondo cui "l'inammissibilità dell'impugnazione si estende ai motivi nuovi".
3. La Corte ritiene, infine, che la richiesta di riconoscimento nella specie dell'attenuante della lieve entità del fatto a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 120/23 non possa trovare accoglimento in quanto infondata.
Con la richiamata decisione la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 629 cod. pen. - per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
3.1 A detto esito il Giudice delle Leggi è pervenuto sulla base del rilievo che gli interventi di inasprimento sanzionatorio succedutisi nel tempo in relazione alla fattispecie non hanno previsto "una "valvola di sicurezza" che consenta al giudice di moderare la pena, onde o adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo", evitando "l'irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza". Come già rilevato con la sent. 68 del 2012 in tema di sequestro estorsivo ex art. 630 cod. pen. "anche l'art. 629 cod. pen. è capace di includere nel proprio ambito applicativo "episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, rispetto a quelli avuti di mira dal legislatore dell'emergenza", in particolare "per la più o meno marcata "occasionalità" dell'iniziativa delittuosa", oltre che per la ridotta entità dell'offesa alla vittima e la non elevata utilità pretesa".
Per tal via risulta allo stato applicabile anche all'estorsione la diminuente della lieve entità del fatto, mutuata dall'art. 311 cod. pen. ("quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità"), i cui indici qualificanti vanno individuati - sulla scorta dell'elaborazione giurisprudenziale - nell'estemporaneità della condotta, nella modestia dell'offesa personale alla vittima, nell'esiguità delle somme estorte e nell'assenza di profili organizzativi.
Questa Corte ha già chiarito che l'attenuante prevista dall'art. 311 ha natura oggettiva (Sez. 1, n. 28468 del 23/04/2013, Rv. 256117-01) e la valutazione di levità investe la condotta delittuosa nel suo complesso sicché la stessa deve essere esclusa se il requisito della lieve entità manchi o in rapporto all'evento di per sé considerato ovvero in rapporto a natura, specie, mezzi, modalità e circostanze della condotta; ovvero, ancora, in rapporto all'entità del danno o del pericolo conseguente al reato, avuto riguardo a tempi, luoghi e modalità del fatto ed all'ammontare delle somme estorte (Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017 Rv. 269933-01).
3.2 Alla luce delle richiamate coordinate ermeneutiche non appare nella specie predicabile l'applicabilità dell'attenuante in questione alla fattispecie a giudizio, ostandovi in particolare le modalità esecutive del fatto, commesso in danno di soggetto ottantenne, mediante preordinazione e sfruttando la scarsa capacità reattiva della p.o., e la necessità di tener conto che il danno, attesa la plurioffensività della condotta, deve essere parametrato non solo all'esborso conseguito alla coercizione ma anche alle conseguenze pregiudizievoli ulteriori accusate dalla vittima. Deve aggiungersi che, ai fini dell'esclusione dell'invocata circostanza, deve attribuirsi, altresì, rilievo all'impossibilità di ritenere il fatto occasionale, alla luce della biografia criminale dell'imputato, attinto da recidiva qualificata ex art. 99, comma 4, cod. pen., confermata dal giudice d'appello con congrua motivazione che evidenzia la spiccata proclività a delinquere nel settore dei delitti contro il patrimonio.
4. La complessiva infondatezza dell'impugnazione impone il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso in Roma, 26 gennaio 2024.
Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2024.