RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 15.9.2020, il Tribunale di Novara aveva riconosciuto Am.Gi. e Pe.Ag. responsabili del delitto di estorsione loro in concorso ascritto al capo a) della rubrica, escludendo peraltro la aggravante contestata e, l'Am.Gi., anche del delitto di cui al capo b), riqualificato ai sensi dell'art. 612, comma secondo, cod. pen.; aveva perciò condannato l'Am.Gi. alla pena di anni 6 e mesi 9 di reclusione ed Euro 3.000 di multa ed il Pe.Ag. a quella di anni 6 di reclusione ed Euro 2.000 di multa; aveva applicato, ad entrambi, le pene accessorie conseguenti alla entità di quella principale e li aveva condannati al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile; aveva infine assolto l'Am.Gi. dalla imputazione di cui al capo c) dell'imputazione, perché il fatto non sussiste;
2. la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'Am.Gi. per il delitto a lui ascritto al capo b) della rubrica perché estinto per intervenuta prescrizione; ha riconosciuto al solo Pe.Ag. le circostanze attenuanti generiche rideterminando perciò la pena, per l'Am.Gi., in anni 6 e mesi 6 di reclusione ed Euro 2.600 di multa e, per il Pe.Ag., in anni 4 e mesi 6 di reclusione ed Euro 1.500 di multa, provvedendo, inoltre, quanto alle pene accessorie e confermando nel resto la decisione impugnata;
3. ricorrono per cassazione l'Am.Gi. ed il Pe.Ag. a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia deducendo:
3.1 l'Avv. Marcello De Fraia per conto dell'Am.Gi.:
3.1.1 vizio di motivazione in relazione agli artt. 110,629, commi 1 e 2, cod. pen., 546, comma l, lett. e), cod. proc. pen., per avere la Corte di appello reso una motivazione illogica, contraddittoria e meramente apparente, sia sotto il profilo soggettivo che sotto il profilo oggettivo, con riferimento alla ritenuta attendibilità delle persone offese, nonostante i fondati dubbi in termini di credibilità ed affidabilità del propalato: in particolare:
per avere la Corte d'appello, con riferimento a quanto dedotto dalla difesa circa il comportamento ambiguo o quantomeno sospetto della persona offesa Is.Na., da un lato, omesso qualsiasi valutazione critica circa le dichiarazioni di costui, trascurando le argomentazioni illustrate dalla difesa; dall'altro, pur individuando, alla stregua del giudice di prime cure, "il ruolo di tramite per l'assunzione di altro personale cui estorcere denaro e regalie varie", si è sottratta all'obbligo di indicare i motivi per i quali ha stimato irrilevanti gli elementi altamente indizianti emersi a suo carico soprattutto alla luce della circostanza, significativa, relativa alla sopravvenienza della confessione resa dal coimputato Pe.Ag., idonea non solo ad inficiare il costrutto accusatorio circa la condotta concorsuale contestata al prevenuto, ma compatibile con una ricostruzione dei fatti alternativa;
per avere la Corte d'appello, in relazione alla sussistenza di elementi probatori a carico dell'odierno ricorrente, omesso qualsiasi valutazione critica del propalato della persona offesa Es.He., utilizzato, addirittura come riscontro alle altre dichiarazioni, pur in presenza di circostanze che lo rendevano quanto mai opportuno quali l'assoluzione dell'imputato dal reato di cui al capo c) "perché il fatto non sussiste" avente ad oggetto accuse di minacce e violenza rivolte all'Es.He., rivelatesi del tutto infondate; sottraendosi, in tal modo, all'obbligo di indicare i motivi per i quali ha ritenuta attendibile il narrato della predetta persona offesa, pur in presenza di numerosi elementi idonei ad incidere sulla sua credibilità;
per avere la Corte d'appello offerto, al pari del giudice di prime cure, una motivazione meramente congetturale in relazione alle dichiarazioni rese dai testi a discarico, incorrendo in una omessa e-o apparente motivazione;
rileva, quindi, che il costrutto accusatorio è stato fondato esclusivamente sulle dichiarazioni rese da un gruppo di cittadini extracomunitari con scarsa conoscenza della lingua italiana rispetto alle quali la Corte d'appello ha omesso di operare il doveroso e necessario scrutinio; evidenzia che, tra i diversi testi escussi, soltanto tre (Sa.Ah., Is. e Be.Ga.) hanno affermato di aver corrisposto i compensi estorsivi nelle mani dell'Am.Gi. laddove il ruolo del Is.Na. quale "tramite", "procacciatore", "riscossore", per conto del solo Pe.Ag., non è stato adeguatamente considerato ai fini della valutazione della sua attendibilità, invece specificamente contestata dalla difesa che, in particolare, aveva sottolineato la assenza di ogni elemento comprovante un rapporto diretto tra costui, nei cui confronti non si era ritenuto di procedere, e l'Am.Gi.; segnala, ancora, come la confessione del Pe.Ag., intervenuta nel corso del giudizio di appello, non aveva coinvolto in alcun modo l'Am.Gi. e ribadisce che dei tre testi che avevano riferito in merito al ricorrente, è stata la stessa Corte d'appello a dar corpo al rilievo di intrinseca illogicità del percorso motivazionale ammettendo che il Sa.Ah. e l'Is. avevano stretto con lui un rapporto di amicizia e frequentazione mentre il Be.Ga. aveva reso dichiarazioni che lo stesso interprete aveva faticato a comprendere; rileva, inoltre, la omessa considerazione della attendibilità delle dichiarazioni rese dal teste Es.He., di cui evidenzia aspetti di ambiguità non risolti; segnala, ancora, come la vicenda fosse emersa a séguito della proposta avanzata dalla Cooperativa di un contratto a tempo indeterminato in favore di tutti i denunzianti, evidenziando come la sentenza impugnata non abbia tenuto in alcun conto le dichiarazioni dei testi della difesa, essi stessi lavoratori extracomunitari, che avevano tuttavia negato di essere mai stati destinatari di richieste di natura estorsiva, ma che la Corte ha tacciato come "fotocopie" senza operare alcuna verifica o approfondimento e, pertanto, effettuando una valutazione sulla base di una mera congettura;
3.1.2 vizio di motivazione in relazione all'art. 62-bis cod. pen. per avere la Corte territoriale offerto una motivazione meramente apparente frutto di un inaccettabile pregiudizio laddove non ha tenuto in alcuna considerazione le doglianze e le argomentazioni prospettate dalla difesa nell'atto di appello in ordine agli innumerevoli elementi suscettibili di positiva valutazione: rileva come la motivazione della Corte d'appello sia frutto di un pregiudizio in danno del ricorrente per la legittima scelta processuale da lui assunta;
3.2 l'Avv. Fabrizio Cardinali, per conto del Pe.Ag.:
3.2.1 violazione dell'art. 125, comma terzo, cod. proc. pen. in relazione all'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. ed all'art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen.: rileva come la giurisprudenza di legittimità abbia escluso la configurabilità del delitto di estorsione nel caso in cui la assunzione sia stata subordinata alla rinuncia ad una parte della retribuzione, con orientamento che la Corte d'appello ha apoditticamente disatteso; evidenzia, peraltro, la illogicità della argomentazione della Corte d'appello non coerente con la posizione degli odierni ricorrenti che non erano i datori di lavoro e non avevano il potere di procedere alle assunzioni potendo, al più, ostacolarle o ritardarle;
3.2.2 violazione dell'art. 125, comma terzo, cod. proc. pen., in relazione all'art. 606, comma primo, cod. proc. pen., quanto al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non nella massima estensione: rileva che la discrezionalità del giudice deve essere sorretta da una adeguata motivazione al fine di rendere il giudizio verificabile;
4. la Procura Generale ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell'art. 23, comma 8, del D.L. 137 del 2020 concludendo per la inammissibilità del ricorso: rileva la tardività della questione della patologia cerebrale, che affliggerebbe il ricorrente, in quanto non proposta in sede di appello dove la difesa aveva insistito sulla insussistenza della prova della minaccia non già dell'impossibilità del ricorrente di porla consapevolmente in essere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Gli odierni ricorrenti erano stati chiamati a rispondere, e sono stati ritenuti responsabili, nei due gradi di merito ed all'esito di una conforme valutazione delle medesime emergenze istruttorie, del delitto di estorsione continuata in concorso "… perché … , agendo rispettivamente quale capo squadra (Am.Gi.) e vice capo squadra (Pe.Ag.), presso il reparto drogheria della cooperativa COOPITAL, e disponendo di fatto della possibilità di influire sulle assunzioni e sui rinnovi dei contratti di lavoro, con violenze e minacce consistite: -1) nel creare e consolidare una prassi in forza della quale nessuno dei dipendenti (assunti a tempo determinato) a loro sottoposti, nonché nessuno delle persone che a loro si proponevano per essere assunte, potessero ottenere il rinnovo del contratto di lavoro o l'assunzione senza il pagamento di somme di denaro a favore dei medesimi Am.Gi. (che chiedeva alla persona offesa Sa.Ah. due collane e un anello in oro) e Pe.Ag.; 2) in abituali e plurimi rimproveri, nella assegnazione delle mansioni più sgradevoli, nel comandare turni spezzati o turni di lavoro ridotti, in tal modo di fatto condizionando l'ammontare dello stipendio, ai lavoratori che non versavano o ritardavano il versamento di somme di denaro dai medesimi richieste; - costringendo Is.Na., Rh.Sa., Ho.Dm., Ah.Sa., Va.Bi., Sa.Ah., Se.Ha., Be.Ga. … ' , Pa.Di.; Is.Na., a consegnare loro (sia in modo diretto che in modo indiretto ovvero solitamente tramite Is.Na., ma altresì attraverso Ah.Sa.): 1) somme di denaro da 600 a 3.000 Euro circa, (..,) per essere assunto (a tempo determinato) presso la cooperativa COOPITAL; 2) somme di denaro da 500 a 1.500 circa per ottenere il rinnovo dei contratti di lavoro ovvero per ottenere un contratto di lavoro a tempo indeterminato, si procuravano un ingiusto profitto .. , con pari danno patito dalle persone offese sopra indicate …"
1. Il ricorso di Pe.Ag.
Il ricorso del Pe.Ag. è, complessivamente, infondato.
1.1 Con il primo motivo del ricorso la difesa del Pe.Ag. - confesso sul "fatto" nel corso del giudizio di appello - pone la questione, di diritto, della stessa configurabilità del delitto di estorsione invocando alcune decisioni in cui, in qualche occasione, questa Corte ha avuto modo di affermare che non integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che, al momento dell'assunzione, prospetti agli aspiranti dipendenti l'alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell'opportunità di lavoro, in quanto, pur sussistendo un ingiusto profitto per il primo, costituito dal conseguimento di prestazioni d'opera sottopagate, ciò non significa che l'ottenimento di un impiego rechi un danno ai lavoratori rispetto alla preesistente situazione di disoccupazione (cfr., in tal senso, Sez. 6 -, n. 6620 del 03-12-2021, (Omissis), Rv. 282903 01; Sez. 2 -, n. 21789 del 04-10-2018 Ud. (dep. 17-05-2019), (Omissis), Rv. 275783 -01 in cui la Corte ha invece precisato che deve invece ritenersi sussistente il reato nel caso in cui il datore di lavoro, nella fase esecutiva del contratto, corrisponda ai lavoratori, sotto minaccia della perdita del posto di lavoro, uno stipendio ridotto rispetto a quanto risultante in busta paga, essendo in tal caso evidente il danno recato ai predetti).
Si tratta, peraltro, di un orientamento non univoco a fronte di altre decisioni in cui si è invece e ripetutamente ribadito che integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, in presenza di una aspettativa di assunzione, costringa l'aspirante lavoratore, quale "contropartita" per essere assunto, ad accettare condizioni di lavoro contrarie alla legge o ai contratti collettivi (cfr., Sez. 2 -, n. 8477 del 20-02-2019, (Omissis), Rv. 275613 01; Sez. 2, n. 11107 del 14-02-2017, (Omissis), Rv. 269905 01; Sez. 2, n. 677 del 10-10-2014, (Omissis), Rv. 261553 01; Sez. 2, n. 50074 del 27-11-2013, (Omissis), Rv. 257984 01; Sez. 2, n. 16656 del 20-04-2010, (Omissis), Rv. 247350 01; Sez.2, n. 36642 del 21-09-2007, (Omissis), Rv. 238918 -01).
Tanto premesso, rileva il collegio che il caso in esame esula da quelli cui si riferisce il principio di diritto evocato dalla difesa: come risulta dalla stessa imputazione e, quindi, dalla ricostruzione della vicenda restituita dalle due sentenze di merito, la condotta ascritta agli odierni ricorrenti non riguardava la sola fase della costituzione "originaria" del rapporto di lavoro ma, soprattutto, quella relativa al suo concreto e dinamico svolgimento nel corso del quale il lavoratore dipendente è soggetto, da parte del datore di lavoro o di chi, come nel caso di specie, è risultato di fatto delegato alla "gestione" della attività dei dipendenti, all'esercizio del potere organizzativo che è proprio di una struttura aziendale.
Più in particolare, in capo al datore di lavoro, o chi per lui, vi è una potestà di organizzazione del lavoro che si concretizza, ad esempio, nella predisposizione dei turni, nella individuazione delle mansioni (pur nel rispetto delle relative qualifiche e dell'art. 2103 cod. civ.), nella gestione degli eventuali straordinari ovvero delle ferie.
Come è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte in materia lavoristica, la facoltà del datore di lavoro di adottare anche unilateralmente -sulla base del potere di organizzazione e di direzione, che gli compete ai sensi degli artt. 2086 e 2104 cod. civ. - disposizioni interne di regolamentazione attinenti all'organizzazione tecnica e disciplinare del lavoro nell'impresa, con efficacia vincolante per i prestatori di lavoro, non è privo di limiti e, affinché non sconfini nell'arbitrio e non perda ogni collegamento con l'interesse all'ordinato svolgersi dell'attività lavorativa, occorre, a norma di principi desumibili principalmente dall'art. 1175 cod. civ., che il suo esercizio sia effettivamente funzionale alle esigenze tecniche, organizzative e produttive dell'azienda; deve invece escludersi che il datore di lavoro possa impartire prescrizioni che, imponendo limitazioni alle libertà del prestatore d'opera, risultino prive di fondamento logico o del tutto avulse dalle ragioni attinenti all'organizzazione, alla disciplina e all'attività produttiva; non trovano quindi legittimazione nei poteri datoriali quei provvedimenti che arrechino danno o siano di ingiustificato disagio per i lavoratori, senza realizzare alcun apprezzabile interesse dell'impresa (cfr., in tal senso, Sez. L, n. 1892 del 18-02-2000 (Rv. 534122 01) ; conf., Sez. L, n. 13967 del 28-05-2008 (Rv. 603192 01); Sez. L, n. 11821 del 05-08-2003 (Rv. 565662 01) ; Sez. L, n. 17644 del 29-07-2009 (Rv. 609873 -01) in cui la Corte ha ribadito che, in tema di prestazioni di lavoro straordinario, il principio secondo cui, essendo rimesso alla discrezionalità del datore di lavoro il potere di richiedere le dette prestazioni, grava sul lavoratore l'onere di provare, a giustificazione del proprio rifiuto di corrispondere alla richiesta, una inaccettabile arbitrarietà della medesima, avendosi altrimenti inadempimento sanzionabile disciplinarmente, non è applicabile nel caso in cui sia il datore di lavoro ad agire in giudizio per l'accertamento della legittimità della sanzione disciplinare, incombendo, in tal caso, su di lui l'onere di provare di aver esercitato il proprio potere discrezionale secondo le regole di correttezza e buona fede poste dagli artt. 1175 e 1375 cod. civ., nel contenuto determinato dall'art. 41, comma secondo, Cost.).
In definitiva, è assolutamente pacifico che l'esercizio del potere direttivo ed organizzativo del datore di lavoro deve conformarsi a criteri di buona fede e correttezza che - come peraltro desumibile dall'art. 1375 cod. civ. - sono norme cogenti ed integrative degli obblighi specificamente dedotti nel contratto (cfr., ad esempio, Sez. L, n. 9701 del 18-09-1991 (Rv. 473908 -01) in cui si è affermato che, con riguardo al sistema di scelta del personale da promuovere alla qualifica superiore, ancorché le norme della contrattazione collettiva non lo abbiano previsto, l'obbligo da parte del datore di lavoro della motivazione nell'esternazione della procedura selettiva va desunto dall'applicabilità al rapporto contrattuale dei generali principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., atteso che la mancata menzione dell'obbligo di motivazione configura una lacuna della clausola del contratto collettivo destinata ad essere integrata dagli stessi principi, dai quali deriva l'obbligo del datore di lavoro di fornire la motivazione delle proprie scelte, allo scopo di consentire un controllo sulla validità delle stesse e la repressione di quelle illecite e irrazionali in coerenza con il principio della dignità sociale del lavoratore, tutelato dall'art. 41 Cost.).
Trattandosi, perciò, di norme comportamentali cogenti che trovano fondamento nei principi di buona fede e correttezza quali fonti di integrazione del contratto, ad esse corrisponde un diritto soggettivo del lavoratore subordinato che non può essere destinatario di decisioni per lui ingiustificatamente penalizzanti ovvero che non corrispondano ad una obiettiva e verificabile utilità nell'ordinato svolgersi dell'attività aziendale e, nel contempo, ove possibile, ad una equa ripartizione tra tutti i possibili interessati.
È dunque in questa prospettiva che, certamente, debbono ritenersi sussistenti gli estremi del reato laddove, come si è accertato nel caso in esame, taluni dipendenti venivano comandati allo svolgimento dei turni "spezzati" o "ridotti", in modo tale da incidere negativamente sulla organizzazione individuale della giornata, con sacrificio, ad esempio, di esigenze di natura familiare, a fronte di un orario di lavoro esiguo e di uno stipendio altrettanto ridotto; e ciò, come è pacifico, senza alcuna giustificazione in esigenze di natura organizzativa o aziendale.
Analogamente va detto con riguardo alla richiesta di denaro pretesa con la minaccia di intervenire negativamente sulla decisione aziendale di rinnovare i contratti a termine ovvero sulla loro trasformazione in contratti a tempo indeterminato dovendosi a tal fine sottolineare come la natura delle attività di cui si discute - di carattere prettamente materiale - non comportava la adozione di criteri di scelta tali da supporre un particolare rapporto fiduciario o un particolare affidamento sulle capacità o abilità di un qualche singolo lavoratore piuttosto che di un altro.
Ne consegue che la pretesa di somme di denaro a fronte della minaccia di interferire o intervenire sulla aspettativa - non ingiustificata - al rinnovo del contratto a tempo determinato ovvero alla sua trasformazione in contratto a tempo indeterminato, ben può integrare gli estremi del delitto di estorsione contestato.
Va peraltro ribadito che la prospettazione dell'esercizio di una facoltà o di un diritto spettante al soggetto agente integra gli estremi della minaccia "contra ius" quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato come conseguenza diretta di tale condotta, si faccia ricorso alla stessa per coartare la volontà altrui ed ottenere scopi non consentiti o risultati non dovuti, né conformi a giustizia (Sez. 6, n. 47895 del 19-06-2014, Rv. 261217; Sez. 2, n. 119 del 04-11-2009, Rv. 246306).
1.2 Il secondo motivo del ricorso proposto nell'interesse del Pe.Ag. è manifestamente infondato: la Corte d'appello, infatti, ha preso in esame la posizione del ricorrente, subordinata rispetto a quella dell'Am.Gi., nonché la confessione che ha definito "tardiva e parziale" giustificando, in tal modo, sia pure implicitamente, l'incidenza delle circostanze attenuanti generiche non nella loro massima valenza.
Ed è d'altra parte appena il caso di ribadire, d'altra parte, che l'ampia discrezionalità, inoltre, che caratterizza l'entità della riduzione per le ritenute attenuanti, permette di ritenere adempiuto l'obbligo di motivazione da parte del giudice di merito in ordine alla misura della riduzione della pena per effetto dell'applicazione di un'attenuante, attraverso l'adozione, in sentenza, di una formula sintetica, quale "si ritiene congruo" (cfr., Sez. 4, n. 54966 del 20.9.2017, (Omissis)).
2. Il ricorso di Am.Gi.
Il ricorso dell'Am.Gi. è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
1.1 La difesa, infatti, deduce vizio di motivazione non essendo allora inutile ribadire che il sindacato di legittimità sulla motivazione del provvedimento impugnato deve essere mirato a verificare che quest'ultima:
a) sia "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;
b) non sia "manifestamente illogica", perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell'applicazione delle regole della logica;
c) non sia internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;
d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. 1, n. 41738 del 19-10-2011, Pmt in proc. (Omissis), Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15-03-2006, (Omissis), Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04-07-2017, (Omissis), Rv. 270801).
Non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17-03-2015, O., Rv. 262965; Sez. 2 -, n. 9106 del 12-02-2021, (Omissis), Rv. .(280747).
In particolare, le doglianze articolate in termini di violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. riguardanti l'attendibilità dei testimoni dell'accusa, non essendo l'inosservanza di detta norma prevista a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ma soltanto nei limiti indicati dalla lett. e) della medesima norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame (cfr., Cass. Pen., 1, 20.10.2016 n. 42.207, (Omissis); conf., Cass. Pen., 3,17.10.2012 n. 44.901, F.; conf., da ultimo, (Omissis) SS.UU., 16.7.2020 n. 29.541, (Omissis)).
A questo punto è utile ricordare che le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci (che, tuttavia, la Corte d'appello ha puntualmente e congruamente individuato nella deposizione del teste Ca.), essere poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità penale dell'imputato previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (cfr., Sez. U, n. 41461 del 19-07-2012, (Omissis), RV.253214 01; Sez. 4 -, n. 410 del 09-11-2021, (Omissis), Rv. 282558 01; Sez. 5 -, n. 21135 del 26-03-2019, Rv. 275312 01; Sez. 2, n. 43278 del 24-09-2015, (Omissis), Rv. 265104 -01).
Tanto premesso, rileva il collegio che la Corte territoriale ha fornito una risposta congrua ed esaustiva rispetto alle questioni che erano state sottoposte alla attenzione dei giudici Torinesi e di cui si lamenta, invece, una inadeguata risposta o esame da parte di costoro.
Ha ricordato che già il Tribunale aveva spiegato che "Am.Gi. e Pe.Ag. erano responsabili del reparto aziendale nel quale si sono verificati i fatti ed erano i punti di riferimento della direzione generale della cooperativa per l'individuazione dei lavoratori il cui contratto a tempo determinato doveva essere rinnovato o meno o, addirittura, sostituito con uno a tempo indeterminato" (cfr., pag. 4) avendo, nel contempo, la possibilità di ; oltre a poter incidere sul rapporto di lavoro dei dipendenti della cooperativa propri subordinati, tale ruolo consentiva agli imputati anche di metter mano ai turni, agli straordinari, ed alle ore di lavoro prestate da ciascuno" (cfr., pag. 4 e pag. 5 ove i giudici torinesi hanno fatto riferimento alle dichiarazioni del Ga. circa l'affidamento dell'azienda al giudizio degli imputati in merito al rinnovo dei contratti).
La Corte d'appello ha quindi richiamato le dichiarazioni del Sa.Ah. e quelle del Is.Na., che ha stimato particolarmente significative in quanto costui "… oltre ad essere stata una vittima degli imputati, costretto a consegnare una stecca di sigarette ogni quindici giorni per ottenere il rinnovo del contratto per altri sei mesi, a pagare 1.000 Euro per una cena ed infine altri 500 Euro per un altro rinnovo, egli ha detto anche di avere, su indicazione di Pe.Ag., cercato nuovi dipendenti da assumere, ai quali doveva dire che, se volevano il posto, dovevano pagare una certa somma di denaro" (cfr., ivi, pagg. 4-5).
Ha inoltre riportato le dichiarazioni dei tre dipendenti (Sa.Ah., Is. e Be.Ga.) che avevano riferito di aver corrisposto le somme oggetto delle richieste estorsive nelle mani dell'Am.Gi. oltre che quelle degli altri che avevano riferito di aver pagato nelle mani di Is.Na.
I giudici di merito non hanno mancato di prendere in esame le considerazioni difensive concernenti le deposizioni di numerosi (altri) dipendenti che avevano riferito di non aver mai ricevuto richieste di alcun genere; hanno a tal proposito osservato, con argomentazione tipicamente "di merito", che le pretese erano indirizzate soltanto ad alcuni che " … vuoi per il bisogno particolare di denaro che avevano, vuoi per il fatto di non conoscere le tutele offerte dall'ordinamento italiano, apparivano più deboli" (cfr., ivi, pag. 5).
Più in particolare, ed a fronte delle censure articolate con gli atti di appello, la Corte territoriale ha potuto far leva sulla confessione del Pe.Ag. (cfr., pag.9) traendo inoltre elementi di valutazione anche dalla mancata impugnazione dei licenziamenti che erano stati intimati agli odierni ricorrenti una volta emersa la vicenda.
Non ha inoltre trascurato i rilievi difensivi circa il contenuto della deposizione del Sa.Ah. osservando (cfr., pag. 9 della sentenza) che, dalla parole del teste, era emerso che le sue non erano affatto delle regalie spontanee ma frutto di vere e proprie pretese (cfr., ivi, pag. 9: "… per noi è una cosa bruttissima che vado a pagare soldi per lavorare" aggiungendo che "… lui usava la sua responsabilità contro i poveri") quali quella legata al matrimonio dell'Am.Gi. (cfr., pag. 9: "… mi hanno voluto dirmi che dovevo andare" e che " … però c'è differenza che vado a dare qualcuno un regalo come amico").
Ha richiamato le parole del teste Ah.Sa. (cfr., pag. 10 il quale ha fatto riferimento, quali destinatari del denaro, a "Giacomo e Gino") e che aveva imbastito una "trattativa" con Am.Gi. per ottenere turni più umani (cfr., ivi: " … come animale, tutti i giorni 12-14 ore a piedi, poi siamo stanchi, poi spinge ancora, a come si può ?") avendogli offerto 100 Euro al mese (cfr., ivi, "i turni li decideva Am.Gi. …").
I giudici di secondo grado hanno dato atto che il teste Is. aveva riferito di essere entrato in confidenza ed in amicizia con l'Am.Gi. non senza, tuttavia, aver prima dovuto provvedere al pagamento periodico di somme di denaro che costui pretendeva per consentirgli di lavorare qualche ora in più (cfr., ivi, pag.10); analogamente aveva riferito il teste Pa.Di. (cfr., ivi) il quale aveva affermato di dover pagare, a tal fine, 50 Euro mensili.
La Corte d'appello, smentendo la lettura fornitane dalla difesa, ha richiamato la deposizione del teste Va.Bi. (cfr., ivi, pagg. 10-11) spiegando che costui non aveva affatto sostenuto che l'Am.Gi. aveva rifiutato la somma di 100 Euro ma aveva al contrario preteso, da lui e dal suo amico, "100 Euro a testa" (cfr., ivi), avendo inoltre il teste aggiunto che " … se il denaro non arrivava c'erano … delle rappresaglie, con turni ridotti, che causavano salari molto bassi e continue riprese sul lavoro" (cfr., ivi).
Tra le deposizioni valorizzate dai giudici di merito v'è anche quella del Is.Na. il quale, come è pacifico, aveva fatto anche da "tramite" per la consegna delle somme pretese dagli imputati: la difesa dell'Am.Gi. ha denunziato la omessa valutazione, da parte dei giudici di secondo grado, della attendibilità delle dichiarazioni rese dal predetto proprio in considerazione del ruolo che costui avrebbe assunto nella vicenda.
In realtà, come emerge chiaramente dalla lettura delle due sentenze di merito, la deposizione del Is.Na. si inserisce in maniera del tutto coerente nel quadro delineato dalle diverse e conformi acquisizioni testimoniali con cui risulta assolutamente in linea.
Non è stata, invece, sollevata una questione di "inutilizzabilità" di tale deposizione dovendosi ad ogni modo ricordare che qualora il ricorso per cassazione lamenti l'inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 7986 del 18-11-2016 Ud. (dep. 20-02-2017), (Omissis), Rv. 269218 -01; conf., Sez. 2, n. 30271 del 11-05-2017, (Omissis), Rv. 270303 -01; cfr., da ultimo, Sez. 4 -, n. 50817 del 14-12-2023, (Omissis), Rv. 285533 -01, in cui la Corte ha ribadito che nel giudizio di legittimità, laddove risulti l'inutilizzabilità di prove illegalmente assunte, è consentito ricorrere alla cd. "prova di resistenza", valutando se, espunte le prove inutilizzabili, la decisione sarebbe rimasta invariata in base a prove ulteriori, di per sé sufficienti a giustificare la medesima soluzione adottata).
In ogni caso, la Corte d'appello ha puntualmente vagliato la complessiva attendibilità della ricostruzione emersa dalle deposizioni acquisite in dibattimento sottolineando come non fosse affatto contraddittorio - ma anzi assolutamente significativo - che le somme di denaro venissero pretese anche dopo l'assunzione, proprio perché, a quel punto, le vittime erano sottoposte al potere organizzativo sostanzialmente delegato all'Am.Gi. dai vertici della Coopital che, dal canto loro, una volta venuti a conoscenza dei fatti, si erano adoperati positivamente per coadiuvare i dipendenti nel formalizzare le relative denunce; la Corte, a tal proposito, ha congruamente osservato che la Coopital non aveva alcun interesse ad assecondare un disegno calunnioso da parte dei singoli dipendenti ai danni dei due ricorrenti che, una licenziati, come già accennato, si sono ben guardati dall'impugnare il licenziamento.
Ha confutato la tesi difensiva secondo cui i due imputati non avrebbero avuto alcuna voce in capitolo sulle assunzioni e sui rinnovi dei contratti a termine e perciò non sarebbero stati in grado e nella condizione di esercitare alcuna credibile pressione nei confronti delle persone offese: a tal proposito, hanno richiamato la deposizione del Ga. (cfr., pag.14) sulla sostanziale "delega" ai capireparto in quanto direttamente a contatto con i lavoratori e che pertanto erano titolari di un rilevante potere "di fatto" non soltanto nella instaurazione del rapporto ma, soprattutto, nella selezione di coloro cui rinnovare il contratto o trasformarlo a tempo indeterminato; oltre che, come si è detto, nella gestione dei turni.
Ed è proprio nella scorretta strumentalizzazione di questo potere delegato "di fatto" che i giudici di merito hanno potuto rinvenire gli estremi della condotta materiale costitutiva del delitto in esame essendo appena il caso di ribadire che, in tema di estorsione, non è necessario che la libertà di autodeterminazione della vittima sia del tutto annullata, essendo, invece, sufficiente che la richiesta, con il pregiudizio patrimoniale che ne consegue, sia accolta anche soltanto per mera convenienza, per evitare un male che agli occhi della vittima appaia più grave (cfr., in tal senso, ad esempio, Sez. 2 -, n. 32033 del 21-03-2019, (Omissis), Rv. 277512 -04).
1.2 Il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato: la Corte d'appello ha infatti vagliato la sollecitazione difensiva volta ad ottenere il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche che, peraltro, contrariamente a quanto dedotto in ricorso, non risultava affatto corredata dal richiamo ad "innumerevoli elementi positivi" poiché la difesa fatto riferimento al solo stato di incensuratezza del ricorrente (cfr., pag. 12 dell'atto di appello) che la sentenza impugnata ha giudicato insufficiente a fronte della natura e gravità dei fatti di cui egli si era reso responsabile nei confronti di persone "", economicamente e culturalmente deboli .. ," (cfr., pag. 15 della sentenza).
È pacifico che il giudice di merito, inoltre, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente che egli faccia riferimento a quelli da lui ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo in tal modo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (cfr., Sez. 2 -, n. 23903 del 15-07-2020, (Omissis), Rv. 279549 02; Sez. 3 -, n. 1913 del 20-12-2018, (Omissis), Rv. 275509 -03; Sez. 5, n. 43952 del 13-04-2017, (Omissis), Rv. 271269 -01; Sez. 2, n. 3896 del 20-01-2016, (Omissis), Rv. 265826 -01).
E' vero, inoltre, che l'imputato non può essere penalizzato, con il diniego delle circostanze attenuanti generiche, a causa della scelta (legittima) di non presentarsi al processo e, quindi, di difendersi anche in maniera decisa e persino puntigliosa dalle accuse che gli vengano mosse; è anche vero che altrettanto legittima è la decisione che da questa condotta, ed in mancanza di altri elemento positivamente valutabili, ritenga di non poter ricavare alcun elemento favorevole per la concessione delle circostanze attenuanti generiche (cfr., sul punto, Sez. 2, n. 28388 del 21.4.2017, (Omissis)).
3. Il rigetto del ricorso del Pe.Ag. comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
L'inammissibilità del ricorso dell'Am.Gi. comporta la condanna del predetto al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., della somma - che si stima equa - di Euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi ragione alcuna d'esonero.
I ricorrenti vanno infine condannati alla rifusione delle spese sostenute, nel presente grado, dalla costituita parte civile, liquidate alla luce della nota allegata e della normativa vigente.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso di Am.Gi. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Rigetta il ricorso di Pe.Ag. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, gli imputati, in solido, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Coopital Società Cooperativa in liquidazione, che liquida in complessivi Euro 3.700,00 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2024
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2024.