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Non costituisce estorsione la richiesta di rinuncia a parte della retribuzione come condizione per l’assunzione

Estorsione

Cassazione penale sez. II, 16/01/2024, n.6591

Non integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che, al momento dell'assunzione, prospetti agli aspiranti dipendenti l'alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell'opportunità di lavoro, in quanto, pur sussistendo un ingiusto profitto per il primo, costituito dal conseguimento di prestazioni d'opera sottopagate, ciò non significa che l'ottenimento di un impiego rechi un danno ai lavoratori rispetto alla preesistente situazione di disoccupazione.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO Fe.An., per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 01/12/2022 della Corte di appello di Genova, che ha confermato la sentenza in data 16/12/2021 del Tribunale di Imperia, che l'aveva condannata per il reato di estorsione (così riqualificando il fatto contestato al capo A) e per quello di minaccia. Deduce: 1. Violazione di legge in relazione all'art. 629 cod. pen. Il ricorrente premette che il fatto si è cristallizzato nel senso che la prospettazione dell'alternativa tra rinuncia a parte della retribuzione e perdita dell'opportunità di lavoro è avvenuta nella fase genetica del rapporto lavorativo, cioè al momento dell'assunzione. 1 Sulla base di ciò osserva che secondo la giurisprudenza di legittimità non integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che al momento dell'assunzione prospetti agli spiranti dipendenti l'alternativa la rinuncia a parte della retribuzione e la perdita dell'opportunità di lavoro, non essendovi la prova del danno rispetto alla preesistente situazione di disoccupazione. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. 1.1. Va preliminarmente verificato il fatto così come ritenuto e cristallizzatosi all'esito dei due gradi del giudizio di merito. A tale proposito va rilevato come entrambi i giudici della doppia sentenza conforme hanno puntualizzato che la condotta contestata all'imputata veniva da ella realizzata nel momento genetico del rapporto di lavoro. Infatti, i giudicanti dei due gradi di giudizio di merito - valorizzando quanto narrato dai testimoni ascoltati in dibattimento - hanno accertato che la Fe.An. procedeva all'assunzione soltanto ove l'aspirante lavoratore avesse previamente assentito a corrisponderle una parte della futura retribuzione. Così che gli aspiranti lavoratori venivano messi di fronte all'alternativa di essere assunti con l'intesa che avrebbero versato alla Fe.An. una parte della loro retribuzione ovvero di non essere assunti. Tanto emerge con evidenza nelle dichiarazioni del teste Callegari, il quale riferiva che aveva accettato le condizioni poste dalla Fe.An. “perché era in un momento che aveva bisogno di lavorare e quindi era stato ai suoi accordi”. 1.2. A fronte di tale pacifica ricostruzione, la ricorrente ha fondatamente obiettato che l'orientamento non contrastato di questa Corte di cassazione esclude che possa configurarsi il reato di estorsione quando la minaccia intervenga nel momento genetico del rapporto di lavoro, quando esso non è ancora in essere e, anzi, la minaccia costituisca la condizione cui viene subordinata l'assunzione. Nel caso in esame, dunque, trova applicazione il seguente principio di diritto: “non integra il reato di estorsione la condotta del datore di lavoro che, al momento dell'assunzione, prospetti agli aspiranti dipendenti l'alternativa tra la rinunzia a parte della retribuzione e la perdita dell'opportunità di lavoro, in quanto, pur sussistendo un ingiusto profitto per il primo, costituito dal conseguimento di prestazioni d'opera sottopagate, ciò non significa che l'ottenimento di un impiego rechi un danno ai lavoratori rispetto alla preesistente situazione di disoccupazione.”, (Sez. 6 -, Sentenza n. 6620 del 03/12/2021 Cc., dep. il 2022, Giovinazzo, Rv. 282903 -01; Sez. 2 -, Sentenza n. 21789 del 04/10/2018 Ud., dep. il 2019, Roscino, Rv. 275783 -01). La sentenza impugnata va conseguentemente annullata senza rinvio, limitatamente al reato contestato al capo 1), perché il fatto non sussiste. La conseguente eliminazione della pena riferita a tale titolo di reato importa la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Genova, che provvederà alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio in relazione all'ipotesi di reato residuata. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al capo 1) perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena. Rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Genova per la determinazione della pena per la residua imputazione. Così deciso il 16 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2024.
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