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Ricorso per Cassazione: deducibilità del mancato riconoscimento della continuazione dopo l’appello

Violazione obblighi assistenza familiare

Cassazione penale sez. VI, 22/05/2024, n.23216

In tema di ricorso per cassazione, è deducibile quale violazione di legge il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione con reato già giudicato quando la relativa questione sia divenuta attuale solo all'esito del giudizio di appello. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di appello che, nel ritenere coperta da precedente giudicato parte della condotta di cui all'art. 570-bis c.p. ascritta all'imputato, lo aveva condannato per quella ascritta al periodo successivo senza valutare la continuazione con il reato già giudicato).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Salerno, riformando la sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato, in ordine al reato di cui all'art. 570-bis cod. pen., per i fatti commessi fino al marzo 2016, essendo già coperti da precedente giudicato (sentenza di applicazione pena del Tribunale di Lecce), mentre per il periodo successivo - decorrente da (Omissis) fino al (Omissis) (data del decreto di citazione a giudizio) - veniva riconosciuta la penale responsabilità del ricorrente. 2. Avverso tale sentenza, il ricorrente ha formulato tre motivi di impugnazione. 2.1. Con il primo motivo, deduce la violazione del principio del ne bis in idem sottolineando come l'imputazione prevedeva la contestazione del reato "dal (Omissis) ad oggi". Il riferimento "ad oggi" non consentiva di ritenere che il pubblico ministero avesse inteso formulare una contestazione aperta, bensì doveva individuarsi il termine di chiusura della contestazione nella data in cui l'imputazione veniva formulata, coincidente con il deposito dell'avviso di conclusione delle indagini ((Omissis)). Ove la Corte di appello avesse recepito tale soluzione, doveva ritenersi che il tempus commissi delicti era integralmente ricompreso nel periodo intercorrente tra il 2013 e marzo 2016, rispetto al quale era stata riconosciuta l'improcedibilità dell'azione stante l'intervenuto giudicato. 2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione dì legge e vizio della motivazione in merito alla diversa qualificazione del fatto, avendo ritenuto la Corte di appello che la condotta integrasse il reato di cui all'art. 570-bis cod. pen., anziché quello di cui all'art. 570 cod. pen. Il ricorrente rappresentava anche che, stante l'omissione parziale del versamento dell'assegno di mantenimento, si sarebbe dovuta verificare l'idoneità di tale inadempimento ad integrare il reato di cui all'art. 570-bis cod. pen. 2.3. Con il terzo motivo, si censura la sentenza nella parte in cui, pur avendo riconosciuto l'intervenuto giudicato su analoga condotta svolta fino al 2016, non riconosceva la continuazione dei fatti oggetto di giudizio. Del tutto immotivata, inoltre, era la scelta di irrogare la sanzione detentiva, in luogo di quella pecuniaria, nonostante la modesta gravità della condotta e la sussistenza di difficoltà economiche che avevano giustificato il parziale inadempimento. 2.4. Con il quarto motivo, infine, censure il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. 3. Il difensore della parte civile depositava memorie con le quali chiedeva il rigetto del ricorso. 4. Il ricorso è stato trattato con rito cartolare. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è parzialmente fondato. 2. Il primo motivo di ricorso pone la questione relativa all'esatta delimitazione temporale della contestazione, indicata dalla pubblica accusa con la locuzione "dal 14.04.2013 ad oggi". La Corte di appello ha ritenuto che l'indicazione del termine finale "ad oggi" dovesse essere riferita alla data di esercizio dell'azione penale, individuata nel 27 luglio 2018. Si tratta di una soluzione condivisibile. Deve in primo luogo precisarsi che la formulazione dell'imputazione è tale da consentire di escludere che si tratti di una contestazione "aperta" che, invece, si realizza quando l'imputazione indica la permanenza del reato. Nel caso in esame, vi è una indicazione temporale espressa, formulata con la locuzione "ad oggi" che, evidentemente, esprime un concetto di contestualità rispetto al momento in cui l'imputazione viene formulata. L'interpretazione letterale dell'atto processuale è tale da far ritenere che, nel momento in cui il pubblico ministero formula la contestazione e la delimita "dal 14.04.2013 ad oggi", ha inteso far riferito al momento in cui l'azione è stata esercitata, a nulla rilevando che la formulazione dell'imputazione coincide con la sottoscrizione dell'avviso di conclusione delle indagini. La scelta compiuta dall'organo dell'accusa di mantenere inalterata la formulazione dell'imputazione, nonostante il lasso temporale intercorso tra l'avviso di conclusione delle indagini e l'esercizio dell'azione penale, testimonia l'espressa volontà di aggiornare il tempus commissi delicti alla data di esercizio dell'azione, conservando l'indicazione "ad oggi". A supporto di tale soluzione, occorre sottolineare come la giurisprudenza sia consolidata nel ritenere che la contestazione contenuta nel decreto che dispone il giudizio con la formula "ad oggi" delimita la durata della contestazione e, quindi, la cessazione della permanenza alla data di formulazione dell'accusa (Sez.5, n. 4554 del 9/12/2010, Cambria, Rv. 249263; Sez. 6, n. 7605 del 16/12/2016, dep. 2017, Rv.269053). 3. Il secondo motivo di ricorso, concernente la qualificazione giuridica della condotta, è manifestamente infondato, oltre che genericamente formulato. Premesso che la contestazione attiene all'omesso versamento dell'assegno di mantenimento in favore della coniuge e del figlio, è innegabile che la condotta rientri appieno nella previsione normativa di cui all'art. 570-bis cod. pen., integralmente riproduttiva della previgente fattispecie descritta all'art. 3, L. 8 febbraio 2006, n. 54. Del tutto generica è, inoltre, la deduzione difensiva concernente il rilievo che assumerebbe la parziale corresponsione degli assegni, posto che il ricorrente non specifica neppure se e in che misura ha provveduto ad adempimenti che, pur non essendo integralmente satisfattivi, escluderebbero la configurabilità del reato. 4. Parimenti aspecifico è il quarto motivo di ricorso concernente l'omesso riconoscimento delle attenuanti generiche, negate dalla Corte di appello sulla base di una motivazione logica e coerente (precedenti condanne, assenza di comportamenti positivamente apprezzabili), rispetto alle quali il ricorrente deduce argomenti non direttamente afferenti agli aspetti valutati dal giudice di merito. In particolare, del tutto irrilevante è la circostanza secondo cui l'inadempimento non avrebbe determinato particolari difficoltà economiche per la moglie e per il figlio minore, posto che l'art. 570-bis cod. pen. sanziona l'inadempimento in quanto tale, a prescindere dalle conseguenze negative che ne conseguono. Del tutto irrilevante è, inoltre, la circostanza secondo cui sarebbe stata la moglie dell'imputato ad allontanarsi di casa, trattandosi di condotta che non incide sull'esistenza dell'obbligazione e, quindi, sul suo inadempimento. 5. È fondato, invece, il terzo motivo relativo al trattamento sanzionatorio. Il ricorrente lamenta l'omesso riconoscimento della continuazione tra la porzione di condotta illecita oggetto del presente giudizio (decorrente da aprile 2016 fino al 27 luglio 2018, così come stabilito nella sentenza impugnata) e l'analoga condotta precedente già oggetto di giudizio. Trattandosi di una condotta sostanzialmente unitaria, rispetto alla quale la scissione temporale è esclusivamente frutto delle vicende processuali che hanno condotto alla pronuncia di due diverse sentenze di condanna, la Corte di appello avrebbe dovuto valutare la sussistenza dei presupposti della continuazione. E opportuno rilevare che l'omesso riconoscimento del trattamento più favorevole è stato legittimamente dedotto con il ricorso per Cassazione, posto che la configurabilità della continuazione è sorta solo ed esclusivamente per effetto della sentenza con la quale la Corte di appello ha ritenuto che una parte della condotta contestata fosse oggetto di precedente sentenza di applicazione della pena. Ne consegue che nel giudizio di appello l'imputato non avrebbe avuto interesse, né vi erano i presupposti giuridici e fattuali, per chiedere il riconoscimento della continuazione. Deve, conseguentemente, affermarsi il principio secondo cui con il ricorso per cassazione è deducibile quale violazione di legge il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione con reato già giudicato quando la relativa questione sia divenuta attuale solo all'esito del giudizio di appello (Sez.5, n. 51473 del 24/9/2019, Falco, Rv. 277754) Quanto detto impone sul punto una rivalutazione di merito, dovendo la Corte di appello verificare se tra il reato commesso fino al marzo 2016, oggetto sentenza resa dal Tribunale di Lecce, e l'affermazione di responsabilità per le analoghe condotte successive, sia ravvisabile un medesimo disegno criminoso. L'accoglimento di tale doglianza determina il sostanziale assorbimento dell'ulteriore contestazione concernente l'omessa motivazione in ordine alla scelta di applicare la pena detentiva (mesi 3 di reclusione) anziché quella pecuniaria, prevista in via alternativa dall'art. 570-bis cod. pen. Ove il giudice di merito dovesse ritenere sussistente la continuazione, ne conseguirà necessariamente la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, nell'ambito del quale occorrerà motivare in ordine alla quantificazione dell'aumento. Solo qualora non dovesse essere riconosciuta la continuazione, il giudice del merito dovrà rivalutare il trattamento sanzionatorio, accertando in concreto l'entità dell'inadempimento riferito al periodo di tempo di commissione del reato, così come riparametrato in sentenza, al fine di giustificare la scelta di irrogare la pena detentiva, dando atto delle ragioni del discostamento non marginale rispetto al minimo edittale. 6. Alla luce di tali considerazioni, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio, nell'ambito del quale - fermo restando l'accertamento del fatto - la Corte di appello dovrà valutare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della continuazione con i fatti già giudicati e rivalutare il trattamento sanzionatorio secondo le indicazioni sopra fornite. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli. Così deciso il 22 maggio 2024. Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2024.
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