RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 10.07.2018 la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Bergamo in data 19.09.2016 (che aveva dichiarato R.A.M. colpevole dei reati di rissa aggravata e di lesione personale grave - di cui all'art. 110 c.p. e art. 588 c.p., comma 2 e artt. 110 e 582 c.p. e art. 583 c.p., comma 1, n. 1 - e condannato lo stesso, previa concessione delle attenuanti generiche, alle pene condizionalmente sospese - di Euro 300 di multa, per la rissa, e di mesi sei di reclusione per le lesioni, ha convertito la pena detentiva irrogata nei confronti del predetto nella corrispondente pena pecuniaria (della multa pari ad Euro 45.000,00), confermando nel resto la sentenza di primo grado.
2.Avverso la suddetta sentenza ricorre per Cassazione l'imputato tramite il difensore di fiducia, articolando i seguenti motivi.
2.1. Col primo motivo deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) l'erronea applicazione dell'art. 588 c.p. in relazione all'art. 52 c.p.; nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte d'Appello nega il carattere soltanto difensivo della condotta tenuta dal R.. Si lamenta che la sentenza di secondo grado desuma l'atteggiamento, non soltanto difensivo, che sarebbe stato tenuto dal R., unicamente dal fatto che il Brokshi fosse ormai privo di sensi mentre l'imputato continuava a "bloccarlo" stando sopra di lui. Tuttavia, nella sentenza di primo grado, alla quale il Giudice d'Appello dichiara di riferirsi nella ricostruzione dei fatti, si era ritenuto che soltanto "probabilmente" il R. si trovasse effettivamente sopra il B. nel momento in cui quest'ultimo era privo di sensi.
E' invero vagliata come possibile anche l'alternativa ricostruzione secondo cui l'azione si sarebbe compiuta sin tanto che il B. stesse effettivamente continuando l'aggressione che aveva per primo intrapresa; pertanto, non può ritenersi oltre ogni ragionevole dubbio esclusa la possibilità che l'azione del R. avesse natura meramente difensiva.
2.2. Col secondo motivo si deduce ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) l'erronea applicazione dell'art. 588 c.p. in relazione all'art. 43 c.p.; nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione laddove la Corte territoriale ritiene sussistente il reato di cui all'art. 588 c.p. (nonostante abbia descritto una successione temporale nella quale la fattispecie si sarebbe perfezionata soltanto nel momento in cui si inserì nella lite anche il P., per bloccare il B.).
Orbene, seguendo la ricostruzione operata dal Tribunale di Bergamo, la vicenda si sarebbe snodata attraverso le seguenti fasi: dall'aggressione iniziata dal B. in danno del R., a cui ha fatto seguito la lotta fra i due, in seguito finiti entrambi a terra e l'uno (il R.) sopra l'altro (il B.); all'intervento del P., con calci e pugni nei confronti dell'imputato, e del C. in soccorso dello stesso R., per difenderlo dal P.. Ne consegue che se questa è la ricostruzione del fatto, condivisa anche dalla Corte d'Appello di Brescia, appare evidente che l'imputato, trovandosi a terra impegnato a bloccare i colpi del B. frattanto che subiva l'aggressione del P., non si sia di certo potuto avvedere dell'intervento, in sua difesa, da parte del C..
Si ritiene dunque che sia il Tribunale di Bergamo che la Corte territoriale avrebbero dovuto quanto meno motivare in ordine alla ragione per la quale il R. potesse rendersi effettivamente conto che si trattava di una rissa, in modo tale da potersi sottrarre dalla stessa, così da evitare l'integrazione del reato.
2.3. Col terzo motivo si deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), l'erronea applicazione degli artt. 582 e 583 c.p. in relazione all'art. 52 c.p.; nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte d'Appello esclude l'esimente della legittima difesa sul presupposto che il R. avesse accettato lo scontro fisico dal quale sarebbe derivata la caduta del B., nonostante il primo Giudice avesse, con motivazione espressamente richiamata dalla Corte d'Appello, riconosciuto l'impossibilità di stabilire se quest'ultimo fosse caduto per lo scontro con il primo ovvero per l'impeto della sua stessa aggressione.
Tanto il Tribunale di Bergamo quanto la Corte territoriale descrivono la causa delle lesioni derivate al B. così come illustrata dal consulente tecnico della difesa, il quale ha attestato che dal punto di vista medico-legale la lesione è stata causata dall'urto del capo contro il suolo, non potendosi spiegare con altre modalità. A fronte di tale accertamento della causalità, il Giudice di primo grado riconobbe però espressamente di non poter stabilire se il B. fosse caduto a terra in quanto era stato spinto dal R. o se invece fosse stata la propria condotta particolarmente violenta ad aver trascinato entrambi a terra. Orbene, la Corte di Appello nulla dice a proposito dell'alternativa ricostruzione indicata dal primo Giudice, escludendo l'esimente della legittima difesa - pure eccepita nell'atto di Appello - sul presupposto, affermato in maniera apodittica, che la lesione sia stata causata dalla risposta aggressiva del R..
2.4. Col quarto motivo si deduce, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), l'erronea applicazione dell'art. 168 c.p. e della L. n. 689 del 1981, artt. 53 e 58 nonchè inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità con riferimento all'art. 597 c.p.p., comma 5 nella parte in cui la Corte d'Appello sostituisce la pena detentiva con la pena pecuniaria corrispondente in violazione del principio devolutivo, essendo la domanda proposta con l'atto di appello comprensiva tanto della sostituzione quanto della riduzione della pena attraverso l'applicazione del minimo edittale attualmente vigente (mesi tre di reclusione), con la diminuzione massima consentita dalle circostanze attenuanti generiche invocate come prevalenti. Come è evidente dalla lettura dell'atto di appello, la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria della specie corrispondente è stata richiesta, in via subordinata, unitamente alla riduzione della pena al minimo edittale ed alla concessione delle circostanze attenuanti generiche valutate come prevalenti sulla contestata aggravante, in modo tale da giungere ad una pena pecuniaria finale di Euro 15.000,00. Tuttavia, risulta che la Corte d'Appello si è limitata a sostituire la pena detentiva con la pena pecuniaria della specie corrispondente, senza però accogliere la domanda di riduzione della pena nè di concessione delle prevalenti circostanze attenuanti generiche, statuendo in tal modo d'ufficio in violazione del principio del devolutum in sede d'appello.
2.5. Col quinto motivo si deduce ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) l'inosservanza della legge penale con riferimento agli artt. 69,132 e 133 c.p.; mancanza e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte d'Appello non motiva il diniego del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche nè la misura della pena inflitta se non richiamando il danno patito dalla persona offesa, nonostante la stessa sia pari al doppio del minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.La sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla statuizione sul trattamento sanzionatorio, essendo fondato il motivo sulla conversione della pena detentiva nella corrispondente pecuniaria.
Il ricorso è inammissibile nel resto.
1.1. Le prime tre censure - che ruotano intorno alla ricostruzione del fatto, sotto il profilo oggettivo e soggettivo oltre che alla prospettata ipotesi alternativa della legittima difesa sono inammissibili, non solo perchè non si confrontano con le puntuali descrizioni e valutazioni contenute nelle conformi pronunce di merito ma anche perchè attraverso presunte violazioni di legge o vizi argomentativi appuntano piuttosto, in maniera diretta, anche rilievi su aspetti fattuali non suscettibili di vaglio in sede di legittimità, e finiscono quindi col pretendere una verifica della decisione impugnata come se si agisse nell'ambito di un terzo grado di merito.
Ed invero, attraverso il confronto con la sentenza impugnata - che, si rammenta, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si integra, vicendevolmente, con quella di primo grado formando un tutto organico ed inscindibile - balza evidente che è stata, invece, vagliata l'alternativa ricostruzione prospettata dalla difesa ed esclusa per non essere stata ritenuta compatibile con la sequenza delle condotte, che hanno scandito le due fasi della vicenda (quella in cui si sono verificate le lesioni, intervenute nell'ambito della zuffa tra l'imputato e il B. poi sfociata nella rissa); condotte che sono state peraltro considerate indicative della piena consapevolezza dell'imputato circa quanto stava accadendo in ogni momento dei due segmenti fattuali, tenuto conto che il R. era stato scorto da più di un testimone - uno dei quali il G. - proprio mentre si trovava a cavalcioni sul B., che giaceva a terra dopo la caduta e lo teneva bloccato con le mani strette al collo mentre un altro individuo inveiva contro di lui colpendolo con calci e pugni (da qui poi l'unione in soccorso dell'amico del R., C. che a sua volta colpiva il giovane che stava colpendo il R. e il verificarsi della rissa); il ragazzo giacente a terra era stato poi trovato esanime dai verbalizzanti sopraggiunti sul posto.
La Corte territoriale, nel condividere l'impostazione ricostruttiva del primo giudice, ha anche escluso che potesse ravvisarsi la scriminate della legittima difesa, rilevando che sebbene fosse vero che era stata la parte offesa ad aggredire il R. tuttavia questi non si era limitato ad una mera difesa ma avena assunto una condotta aggressiva tanto che finì col sopraffare il suo avversario - come dimostra lo stesso tipo di lesione riscontrata che depone per una caduta a terra della persona offesa senza possibilità di controllo dell'impatto nè di difesa con le mani - tenendolo a terra, stringendolo per la gola.
A differenza di quanto assume la difesa che si limita in buona sostanza a valorizzare la circostanza che l'imputato fu aggredito dalla vittima e ad affermare apoditticamente che per tale motivo non si possa concludere che accettò lo scontro, i giudici di merito ritengono che invece alla stregua della dinamica del fatto e dei suoi esiti si debba ritenere che il R. non rifuggendo lo scontro, accettò tutte le conseguenze che da esso potevano prevedibilmente derivare, ivi inclusa la probabilità di una rovinosa caduta in terra, e ciò pur in assenza di un pericolo attuale per la propria incolumità fisica tale da rendere necessitata e priva di alternative la reazione all'offesa (ad un'offesa peraltro neppure descritta)
In tema di cause di giustificazione, la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all'applicazione di un'esimente, non accompagnata dall'allegazione di precisi elementi idonei ad orientare l'accertamento del giudice, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530 cpv. c.p.p. (Sez. 6, n. 28115 del 05/07/2012 - dep. 13/07/2012, Sottoferro e altri, Rv. 25303601); incombe, invero, sull'imputato, che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell'operatività di un'esimente, se non un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza o quanto meno la probabilità di sussistenza dell'esimente.
Ne consegue che la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all'applicazione di un'esimente, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530 cpv. c.p.p., risolvendosi il dubbio sull'esistenza dell'esimente nell'assoluta mancanza di prova al riguardo (Sez. 6, n. 15484 del 12/02/2004 Rv. 229446 - 01; Sez. 6, 12 febbraio 2004, n. 15484, Raia).
Nel caso di specie, in definitiva, gli aspetti indicati nei motivi di ricorso - anche con riferimento all'elemento soggettivo e alla scriminate della legittima difesa - che corrispondono ad analoghe obiezioni sollevate con i motivi di gravame, sono state oggetto di esame e di confutazione da parte della Corte territoriale, e prima ancora di puntuale vaglio da parte del primo giudice nella sentenza di primo grado, e null'altro essi aggiungere.
1.4. Il quarto motivo è fondato. Dall'atto di appello emerge che effettivamente la richiesta di sostituzione della pena detentiva nella corrispondente pecuniaria con conseguente revoca della sospensione condizionale della pena era subordinata alla concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante affinchè la pena potesse essere contenuta in termini minimi e come tale essere convertita; ne consegue che non avendo la Corte inteso accogliere l'istanza di rivalutazione del bilanciamento nei termini richiesti (prevalenza), non avrebbe dovuto procedere alla sostituzione ad esso subordinata.
Il giudice di appello non ha il potere di applicare d'ufficio le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi se nell'atto di appello non risulta formulata alcuna specifica e motivata richiesta con riguardo a tale punto della decisione, dal momento che l'ambito di tale potere è circoscritto alle ipotesi tassativamente indicate dall'art. 597 c.p.p., comma 5, che costituisce una eccezione alla regola generale del principio devolutivo dell'appello e che segna anche il limite del potere discrezionale del giudice di sostituire la pena detentiva previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 58. (Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017 - dep. 17/03/2017, Punzo, Rv. 26912501 in cui si è, peraltro, escluso che potesse ritenersi ricompresa nel punto sul trattamento sanzionatorio la statuizione in ordine alla sanzione sostitutiva implicante una serie di questioni autonome e sue proprie, e ciò sempre ragionando alla luce del chiaro tenore del disposto normativo di cui all'art. 597 codice di rito, comma 5 ritenuto di stretta interpretazione in quanto eccezione rispetto al principio devolutivo).
Statuendo nei termini anzidetti, nel caso di specie la Corte territoriale ha finito con l'adottare d'ufficio la detta sostituzione in violazione del principio del devolutum in sede d'appello di cui all'art. 597 c.p.p., comma 5, sostituzione che ha peraltro comportato la revoca della sospensione condizionale che era invece anch'essa condizionata alla preventiva riduzione (anche perchè nel caso di specie l'operazione complessiva non si è risolta in una statuizione più favorevole rimasta nell'ambito della richiesta operata dall'appellante - come sarebbe stato se chiesta la riduzione della pena detentiva al minimo editale il giudice avesse determinato una riduzione inferiore - ma la sostituzione ha comportato il passaggio ad una ‘penà comunque di tipo diverso e con un proprio statuto.).
2. Ne discende che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Brescia per nuovo esame (ritenuto assorbito il quinto motivo nel devolutum); va invece dichiarata la inammissibilità, nel resto, del ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla conversione della pena detentiva in pena pecuniaria con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Brescia per nuovo esame; dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2020