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Rissa tra gruppi: la legittima difesa si configura solo con una condotta passiva

Rissa

Cassazione penale sez. V, 08/10/2020, n.33112

In tema di rissa, è configurabile la legittima difesa in uno scontro tra gruppi contrapposti solo quando coloro che si difendono si pongono in una posizione passiva, limitandosi a parare i colpi degli avversari o dandosi alla fuga, così da far venir meno l'intento aggressivo, e non quando la difesa si esplica attivamente (nella specie, tentando di sferrare calci e pugni agli oppositori).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte d'Appello di Bologna ha confermato la decisione del Tribunale di Reggio Emilia, all'esito di giudizio abbreviato, con cui B.M., P.A. ed Pi.Em. sono stati condannati per i delitti di rissa aggravata (capo a) e, il solo P., di lesioni aggravate ai danni degli altri due (capo c), rispettivamente alle pene di: mesi tre e giorni dieci di reclusione, ritenuta la recidiva reiterata specifica, per B. e Pi.; mesi sei di reclusione, ritenuta la recidiva reiterata infraquinquennale, per P.; la Corte ha confermato, altresì, l'assoluzione di quest'ultimo dalla contravvenzione di porto abusivo di oggetto atto ad offendere, contestata al capo b dell'imputazione, riferito alla stampella utilizzata per colpire gli altri due contendenti. 2. Avverso la sentenza d'appello propone ricorso il solo B.M., tramite il difensore di fiducia, avv. Federico Bertani, deducendo tre distinti motivi. 2.1. Il primo argomento di censura eccepisce vizio di motivazione e travisamento della prova costituita dalle dichiarazioni dei corrissanti P. e Pi., i quali concordemente hanno escluso qualsiasi azione violenta da parte di B., che non era in grado quasi neppure di reggersi in piedi per le condizioni fisiche in cui versava, avendo assunto medicinali, ed ha tenuto un atteggiamento sempre passivo durante la lite, non colpendo nessuno. Anche l'intervento dei Carabinieri, cristallizzato nel verbale di arresto, evidenzia come fu trovato in atteggiamento violento soltanto P. nei confronti di Pi. ed il generico riferimento, operato dalla polizia giudiziaria in tale verbale, alla "fazione" rappresentata da quest'ultimo e da B., colto nel mentre tentava di sferrare calci e pugni contro chi li stava aggredendo con una stampella, rappresenta solo l'immagine di una loro maldestra difesa. 2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce vizio di motivazione manifestamente illogica quanto all'esclusione della scriminante della legittima difesa in favore del ricorrente, fondata dalla Corte d'Appello sulla constatazione che B. e Pi. fossero rimasti sul posto ed avessero continuato a colpirsi con P., nonostante questi fosse oramai da solo e in inferiorità numerica rispetto ai due contendenti. Tale argomentazione appare inadeguata a sostenere l'esclusione della scriminante alla luce del fatto che P., benchè solo, aveva con sè una stampella che stava utilizzando per colpire gli altri due coimputati, tanto che ha provocato loro le lesioni accertate per le quali è stato condannato. 2.3. Il terzo argomento difensivo eccepisce vizio di motivazione quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, negate in ragione dei precedenti penali del ricorrente, che sono, tuttavia, risalenti, mentre non si è tenuto conto dell'atteggiamento collaborativo dal punto di vista processuali assunto dall'imputato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è complessivamente inammissibile. 2. Il primo ed il secondo motivo sono stati formulati con argomentazioni e censure del tutto svolte in fatto e si chiede a questa Corte di legittimità, in ultima analisi, non già di pronunciarsi sulla bontà e correttezza del percorso motivazionale adottato dal provvedimento impugnato, bensì di valutarne l'esattezza degli snodi decisionali rispetto ad una alternativa ricostruzione della piattaforma fattuale utilizzata. Un'operazione siffatta non è consentita al giudice di legittimità che, come noto, vede l'orizzonte della sua verifica circoscritto alla ricerca di vizi logici ed argomentativi della sentenza, direttamente da essa desumibili nel confronto con i principi dettati dal diritto vivente per l'interpretazione delle norme applicate. Invero, costituisce giurisprudenza consolidata quella che afferma l'insindacabilità da parte di questa Corte di profili ricostruttivi della prova e della versione dei fatti articolata dai giudici di merito, in assenza di vizi di manifesta illogicità della motivazione ovvero di profili di travisamento della prova (cfr. ex multis Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, 0., Rv. 262965). Nel caso di specie, per giunta, la motivazione impugnata si salda con quella di primo grado a formare il canone valutativo della cd. doppia pronuncia conforme, cui si connettono limiti anche dal punto di vista della deducibilità del vizio di travisamento della prova, dedotti in qualche modo, sia pur non esplicitamente, nei motivi di ricorso. 2.1. Il ricorso, altresì, si rivela manifestamente infondato, oltre che in parte generico poichè si confronta solo apparentemente con la motivazione impugnata: non vi sono, infatti, come invece sostenuto dal ricorrente, versioni del tutto coerenti degli altri corrissanti avuto riguardo alla sua posizione nella lite violenta, ma invece le dichiarazioni dei correi risultano divergenti quanto al particolare fondamentale relativo a chi abbia cominciato la rissa mentre la versione fornita dal ricorrente circa il fatto che egli stesse solo difendendosi dagli assalti e dall'aggressione di P. non trova alcun fondamento concreto nella prova esposta in entrambi i provvedimenti di merito e nient'affatto travisata. Tale ricostruzione si deduce dalla doppia pronuncia conforme in cui confluiscono entrambe le sentenze di merito coerentemente tra loro. In particolare, e con effetti decisivi riguardo alla manifesta infondatezza delle argomentazioni difensive, emerge che il verbale d'arresto dà atto di come i Carabinieri intervenuti abbiano assistito alla fase finale di una rissa tra i tre coimputati in cui B., così come il suo amico Pi., stavano sferrando calci e pugni al P., in un atteggiamento che correttamente la Corte d'Appello ha valutato non certo di difesa passiva nè sovrapponibile a quello di chi si agita solo per difendersi, come invece rappresentato in chiave difensiva nell'atto di appello e pedissequamente ripetuto nel ricorso. 2.2. Quanto alla scriminante della legittima difesa, pure invocata con argomentazioni che chiamano la Corte di cassazione ad una inammissibile verifica in fatto, è il ricorrente ad aver equivocato la motivazione dei giudici d'appello e non la Corte di merito ad aver travisato la prova. Invero, il provvedimento impugnato ha messo in risalto come, all'intervento dei Carabinieri, fosse stato chiaro che nessuna delle due fazioni versasse in uno stato d'inferiorità rispetto all'altra, sicchè ciascuno avrebbe potuto, in prospettiva difensiva, interrompere la lite e la colluttazione: B. e Pi., sottolinea la Corte d'Appello, perchè erano in due e, dunque, in superiorità numerica rispetto al P.; quest'ultimo perchè era armato, a differenza degli altri due. Ma vi è di più. A riprova della volontà delittuosa, la sentenza impugnata sottolinea come neppure l'intervento dei carabinieri fosse stato in grado di placare gli animi e far cessare il violento litigio tra i tre coimputati, mentre, quanto alla convergenza delle dichiarazioni di P. e Pi. a scagionare il ricorrente da azioni violente di sorta poste in essere nel frangente, la Corte d'Appello, con un argomentare scevro da vizi di manifesta illogicità, fornisce plausibili ragioni alla base della scarsa credibilità che ha conferito a tali dichiarazioni ( Pi. era amico di B.; P. aveva interesse a far passare la linea del litigio a due, in cui egli per primo aveva subito violenza). Dal punto di vista della configurabilità della scriminante in punto di diritto, quando è accertata la preventiva volontarietà dello scontro da parte di due gruppi contrapposti, non ha poi rilevanza il fatto che taluno dei litiganti possa avere la peggio per essere gli avversari più numerosi e più forti, poichè tale sua condizione di inferiorità è stata determinata da un evento causale preventivamente voluto anche da lui (Sez. 5, n. 2693 del 5/11/1974, dep. 1975, Stevanato, Rv. 129448). Nè è rilevante individuare chi per primo sia passato a vie di fatto (Sez. 1, n. 18788 del 19/1/2015, Garau, Rv. 263567). In generale, va ricordato che è inapplicabile al reato di rissa la causa di giustificazione della legittima difesa, considerato che i corrissanti sono ordinariamente animati dall'intento reciproco di offendersi ed accettano la situazione di pericolo nella quale volontariamente si pongono, con la conseguenza che la loro difesa non può dirsi necessitata, potendo essa essere eccezionalmente riconosciuta quando, sussistendo tutti gli altri requisiti voluti dalla legge, vi sia stata un'azione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia un'offesa che, per essere diversa a più grave di quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma ed in tal senso ingiusta (tra le molte, cfr. Sez. 5, n. 22040 del 21/2/2020, Rondanini, Rv. 279356; Sez. 5, n. 15090 del 29/11/2019, dep. 2020, Titone, Rv. 279085; Sez. 5, n. 32381 del 19/2/2015, D'Alesio, Rv. 265304; Sez. 5, n. 7635 del 16/11/2006, dep. 2007, Daidone, Rv. 236513). Il venir meno dell'intento aggressivo in uno dei gruppi contrapposti e l'applicazione dell'art. 52 c.p. comportano l'esclusione del reato di rissa solo nella ipotesi in cui coloro che si difendono si pongono in una posizione passiva, limitandosi a parare i colpi degli avversari o dandosi alla fuga, mentre quando la difesa si esplica attivamente il reato sussiste, giacchè anche coloro che si difendono con tale modalità colluttano (Sez. 5, n. 10080 del 23/6/1980, Miotello, Rv. 146127). Nel caso di specie, come già evidenziato, risulta che la polizia giudiziaria intervenuta sul posto abbia visto atteggiamenti reciprocamente violenti ancora in corso e non già una condotta solo passiva del ricorrente ovvero il suo tentativo di fuga, magari osteggiato da chi lo aggrediva; dunque, non ricorrono anche sotto il profilo da ultimo evidenziato i caratteri di configurabilità della scriminante della legittima difesa. Nessun dubbio può porsi sulla sussistenza del reato nel caso di specie, anche avuto riguardo alla struttura oggettiva del reato, poichè, ai fini della sua configurabilità, sono necessarie la partecipazione di almeno tre persone e l'individuazione, nella contesa, di più centri di aggressione reciprocamente confliggenti, ciascuno dei quali può essere composto anche da una sola persona (Sez. 5, n. 19962 del 30/1/2019, Sterrantino, Rv. 275361; Sez. 5, n. 18788 del 19/1/2015, Garau, Rv. 263567; conforme n. 11245 del 1988, Rv. 179757). Da un punto di vista probatorio, infine, la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all'applicazione di un'esimente, non accompagnata - come nel caso di specie - dall'allegazione di precisi elementi idonei ad orientare l'accertamento del giudice, ma solo da unilaterali ricostruzioni difensive, non corrispondenti alla piattaforma probatoria, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530 cpv. c.p.p. (Sez. 6, n. 28115 del 5/7/2012, Sottoferro, Rv. 253036). 3. Anche il terzo motivo è manifestamente infondato. Si rammenta che costituisce principio consolidato configurare come giudizio di fatto quello che il giudice del merito esprime in relazione alle circostanze attenuanti generiche, con conseguente insindacabilità della motivazione relativa in sede di legittimità, tranne che nel caso di sua contraddittorietà, purchè si richiamino anche sinteticamente gli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., ritenuti preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione di dette attenuanti generiche (ex multis Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 6, n. 34364 del 13/6/2010, Giovane, Rv. 248244; cfr. anche Sez. 1, n. 12496 del 21/9/1999, Guglielmi, Rv. 214570). Tra tali elementi è possibile valorizzare anche unicamente i precedenti penali (cfr. la citata sentenza n. 43952 del 13/4/2017, Pettinelli), che, nel caso del ricorrente, come messo in risalto dal giudice d'appello, sono gravi e specifici ed hanno costituito la base della ritenuta aggravante della recidiva specifica reiterata. La Corte territoriale, peraltro, ha valutato anche ulteriori aspetti nel caso del ricorrente, ai fini della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e della valutazione concreta del trattamento sanzionatorio: la condotta processuale e la gravità dei fatti commessi in strada e protratti a dispetto della presenza dei Carabinieri intervenuti a sedare la rissa. Alla luce dei richiamati principi, il provvedimento impugnato appare congruamente motivato ed i motivi di ricorso, di contro, inammissibili anche per manifesta infondatezza. Infine, giova ricordare che la determinazione in concreto della pena rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità nei casi in cui, come nel caso di specie, la sanzione sia applicata in misura media o prossima al minimo (addirittura anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 c.p.: cfr. Sez. 4, n. 21294 del 20/3/2013, Serratore, Rv. 256197). P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020. Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2020
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