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Rissa: la legittima difesa è esclusa per chi reagisce attivamente con calci o pugni

Rissa

Cassazione penale sez. I, 12/11/2021, n.3801

In tema di rissa, la legittima difesa è configurabile solo quando i partecipanti si pongano in una posizione passiva, limitandosi a parare i colpi degli avversari o a darsi alla fuga, in modo da escludere un intento aggressivo. La difesa attiva, consistente nel tentativo di sferrare colpi come calci o pugni, non rientra nell’ambito della legittima difesa.
Inoltre, la legittima difesa non è invocabile quando tutti i partecipanti alla rissa agiscono con l’intento reciproco di sopraffarsi a vicenda.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 12 febbraio 2021, la Corte di appello di Catanzaro, giudicando in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, in parziale di riforma della sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Vibo Valentia il 14 novembre 2014, rideterminava in Euro 200 la pena irrogata a F.D., F.M., F.G., R.D., in quanto ritenuti responsabili del delitto previsto dall'art. 588 c.p., comma 2. In particolare, gli imputati venivano ritenuti responsabili di avere partecipato ad una rissa, fronteggiandosi in più riprese in due gruppi familiari contrapposti, dei quali uno composto da M.A. e T.O. e l'altro composto dagli odierni ricorrenti, con l'aggravante prevista dall'art. 588 c.p., comma 2, avendo più partecipanti alla rissa riportato lesioni personali. A seguito dell'annullamento con rinvio deciso con sentenza Sez. 5, n. 41708 del 13/09/2019, la Corte di appello di Catanzaro, avendo omesso di pronunciarsi in merito a specifiche doglianze formulate con i motivi di appello, era chiamata ad un nuovo esame in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di rissa, con particolare riferimento alla presenza di due gruppi contrapposti animati dall'intento di offendersi reciprocamente e alla non applicabilità al caso di specie del principio secondo il quale vim vi repellere licet. La Corte di appello riteneva che dal compendio procedimentale fosse emerso che tra gli imputati era effettivamente scoppiata una violenta lite per questioni di natura civilistica riguardanti un immobile sito in Tropea che da tempo contrapponevano il M. e i fratelli F.. Sulla base delle dichiarazioni rese dall'operatore di polizia C. era evidente la presenza di due schieramenti tra i contendenti che avevano iniziato la lite nella piazza di Tropea, per poi proseguire dinanzi al palazzo oggetto della disputa e all'interno dello stesso, ove il M. era riuscito ad entrare nonostante la resistenza del F. e dei Carabinieri. La Corte di merito argomentava che dal resoconto dell'operante di P.G. si desumeva la contrapposizione di due gruppi di soggetti, entrambi animati dall'intento di offendersi reciprocamente: in particolare, era risultato che, da un lato, il M. aveva dato inizio alla contesa passando dalle offese alle vie di fatto contro i fratelli F. e il T. si era schierato dalla sua parte colpendo il R., dall'altro, i due fratelli F., F.G. e R.D. avevano reagito con pugi a calci in direzione delle controparti. Non poteva invocarsi la legittima difesa in quanto tutti i corrissanti, rilevava la Corte, lungi dal limitarsi alla difesa, avevano sferrato e tentato di sferrare calci e pugni ai propri avversari, né era emerso che qualcuno dei contendenti avesse posto in essere un'azione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, tale da giustificare la reazione di taluno degli imputati. Non era configurabile, infine, la speciale causa di giustificazione vim vi repellere licet, poiché al momento della rissa non era stata perpetrato alcuno spoglio del possesso, clandestino o violento, e, comunque, stante la presenza delle forze dell'ordine sarebbe stato possibile ricorrere al giudice. 2. Con ricorsi distinti ma di identico contenuto, hanno proposto ricorso avverso detta sentenza gli imputati, a mezzo dei loro rispettivi difensori, avv. Diego Brancia, nell'interesse di F.D., F.M., R.D., e avv. Mario Bagnato, nell'interesse di F.G., articolando cinque motivi, di seguito illustrati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ex art. 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo la difesa deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza del reato di rissa e dell'elemento psicologico, nonché dell'art. 627 c.p.p.. Osserva la difesa che, se la sentenza in sede di rinvio ha accertato le decisive circostanze dello spoglio violento messo in atto dal M. e della resistenza del gruppo avversario, ha reiterato l'errore contenuto nella pronuncia annullata, omettendo di valutare tali fatti ai fini della prova della mancanza del reciproco intento di offendersi, in violazione dell'art. 627 c.p.p. e art. 588 c.p.. Assume la difesa, in sostanza, che la penale responsabilità degli imputati si fonda soltanto sulla riscontrata condotta oggettiva della colluttazione intercorsa tra più persone con atteggiamento aggressivo e colpendo con calci e pugni il rivale di turno, senza che i giudici abbiano svolto alcuna valutazione in merito alla sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto di rissa. 2.2. Con il secondo motivo viene dedotto, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), vizio di motivazione con riferimento al fatto che, con motivazione illogica e contraddittoria, il giudice ha desunto un animo offensivo dalle condotte dei componenti del gruppo di F.D. di resistenza allo spoglio del possesso dell'immobile. 2.3. Con il terzo motivo la difesa deduce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, violazione dell'art. 52 c.p. e dell'art. 627 c.p.p., in relazione al mancato riconoscimento del principio vim vi repellere licet nonostante nel caso di specie vi fosse uno spoglio in atto ed il tempo necessario per adire il giudice non sarebbe stato idoneo ad evitare il prodursi del danno, né il diritto di resistere allo spoglio era venuto meno per la presenza delle forze dell'ordine che non erano riuscite ad impedire l'ingresso con violenza del M. nell'immobile oggetto della controversia. Inoltre, il fatto che in precedenza fosse stato adito il giudice per questioni diverse dallo spoglio era irrilevante ai fini del riconoscimento del diritto di resistere allo spoglio. Evidenzia la difesa come la resistenza ad uno spoglio attivo può esplicarsi anche attivamente, altrimenti il principio vim vi repellere licet sarebbe privo di alcun effettivo contenuto e sempre inapplicabile, atteso che il darsi alla fuga agevolerebbe l'altrui spoglio. Peraltro, dalla ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza impugnata emerge la volontà del M. di impossessarsi dell'immobile già prima dell'inizio della colluttazione, in quanto, come riportato anche da Sez. 5, n. 41708 del 13/09/2019, "le finalità della condotta del M. erano rese evidenti dalla documentazione prodotta dagli imputati, dalla quale emergeva che egli aveva, con una scrittura privata ed in qualità di amministratore della società Emmeci 95, venduto l'immobile a F.D., trasferendone il possesso; il M. aveva quindi intimato al F. lo sfratto dal locale e lo aveva citato per la convalida, ma l'azione giudiziaria era stata rigettata; F.D. aveva adibito ad albergo l'immobile e R.D. e F.M. lavoravano presso tale struttura alberghiera; in seguito al rigetto dell'azione giudiziaria il M. aveva cercato, unitamente a T.O., di spogliare con violenza F.D. del possesso della struttura. Difatti, in occasione della prima delle due "riprese" in cui si era sviluppata la rissa, il M. aveva rivolto a F.D. la frase "Tu sei un delinquente, hai rubato la mia proprietà, lo ti ammazzo." ed aveva aggredito F.D. che era stato costretto a difendersi; il R. era intervenuto per dividere i due, ma era stato aggredito dal T., come emergeva dalle deposizioni di T.F. e del carabiniere C.. Anche in occasione della seconda "ripresa" il M., secondo quanto dichiarato anche dal C., con violenza era entrato all'interno dell'immobile per occuparlo, nonostante F.D. e anche i carabinieri avessero cercato di impedirglielo, e poi aveva tentato di salire ai piani superiori senza riuscirci a causa dell'opposizione di F.G. e F.M. (...)". La Corte di appello, evidenziano i ricorrenti, avrebbe omesso di nuovo di esaminare suddette circostanze decisive, incorrendo nella violazione dell'art. 627 c.p.p.. 2.4. Con il quarto motivo, i ricorsi deducono, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), violazione dell'art. 546 c.p.p., comma 3, artt. 125 e 605 c.p.p., nonché vizio di motivazione in merito alla questione della applicabilità dell'art. 52 c.p., come modificato dalla L. n. 36 del 2019, art. 1, motivo dichiarato assorbito nella sentenza di annullamento Sez. 5, n. 41708 del 13/09/2019, ma riproposto nel corso del giudizio rescissorio con memoria del 2 gennaio 2021, depositata in data 5 gennaio 2021. I ricorrenti evidenziano che dopo la proposizione del ricorso per cassazione è intervenuta la modifica normativa all'art. 52 c.p. che ha aggiunto il comma 4 che ha esteso l'applicabilità dell'esimente in determinate circostanze, che la difesa ritiene sussistenti nel caso in esame. Ed infatti, sottolinea la difesa, F.D. era presente nell'immobile, ove esercita l'attività imprenditoriale di affittacamere insieme al R., in cui si era introdotto con violenza il M.. In definitiva, i ricorrenti sottolineano che avevano agito per respingere l'intrusione, dapprima minacciata e successivamente posta in essere, nel luogo in cui esercitano un'attività imprenditoriale. 2.5 Con il quinto motivo viene dedotta mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Osserva la difesa che la sentenza impugnata, dopo aver ricostruito i fatti sulla base delle dichiarazioni dell'operatore di polizia C., aveva ritenuto credibile la versione fornita dal R., secondo la quale nel corso della prima fase dello scontro M. e F.D. erano giunti alle mani mentre il R. era caduto a terra sanguinante e con la maglietta strappata, colpito dal T.. Nonostante ciò, il giudice attribuisce anche al R. una condotta di corrissante pur senza descrivere in cosa sia consistita la sua condotta aggressiva, circostanza che non può dedursi dal solo fatto di essere stato colpito ed essere entrato nell'androne del palazzo insieme agli altri. 3. Il Procuratore generale presso questa Corte ha concluso chiedendo la declaratoria inammissibilità dei ricorsi. Quanto ai primi due motivi, il Pubblico ministero osserva che la Corte territoriale ha fatto buon governo dei consolidati principi in tema di integrazione del delitto di rissa, avendo dato conto e ragione delle specifiche connotazioni fattuali del caso di specie, delle caratteristiche delle condotte poste in essere dai ricorrenti e dell'elemento volitivo ad esse sotteso: dalle richiamate dichiarazioni rese dal teste C., agente di polizia giudiziaria, era inequivocabilmente emerso che, già nel corso della prima colluttazione svoltasi in piazza, i corrissanti apparivano divisi in due schieramenti familiari, ben distinti, dal che era individuabile, con certezza, l'elemento volontaristico e soggettivo della fattispecie, incontrovertibilmente sussistente anche nella seconda fase della colluttazione svoltasi all'interno dell'androne del palazzo, durante la quale, nonostante non fosse stato perpetrata alcuna azione concreta di spoglio del possesso e nonostante la presenza delle forze dell'ordine, si è realizzato un ulteriore scambio, reciproco e contestuale, di più atti di violenza fisica coinvolgente le due opposte fazioni. Nessun dubbio, pertanto sussiste in ordine all'elemento volitivo doloso, desumibile dalle caratteristiche dell'azione e delle reciproche condotte poste in essere dai ricorrenti, che, lungi dall'evidenziare un mero comportamento passivo così come asserito dalla difesa, rendono manifesta la loro partecipazione attiva e consapevole. Con riferimento ai motivi terzo e quarto, la dinamica dei fatti, quale descritta dal teste C. e riassunta dal giudice di merito, esclude la sussistenza di un'azione, da parte del M. e del T., tale da contestualizzare uno spoglio violento, il che rende palese l'assenza di giustificazione della condotta dei ricorrenti, non ricorrendo l'impellente necessità di ripristinare il possesso perduto e di impedire il consolidamento della nuova situazione possessoria. Infine, il quinto motivo propone una lettura alternativa dei fatti, confliggente con quella effettuata dalla Corte territoriale sulla base dei riscontri fattuali e probatori emergenti dalle dichiarazioni rese dagli operanti di PG. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono inammissibili in quanto svolgono motivi che ripropongono questioni già analizzate e adeguatamente decise dalla Corte territoriale, senza addurre argomentazioni nuove o diverse per sostenere la tesi della sussistenza di errori di diritto nell'interpretazione delle norme applicate, ovvero la mancanza, la contraddittorietà o l'illogicità della motivazione. Questo collegio ritiene di poter analizzare congiuntamente le questioni dedotte con i ricorsi, in quanto, pur evocando violazione di legge o vizio di motivazione, tendono in realtà ad una diversa ricostruzione dei fatti e a proporre censure di merito non consentite in questa sede. Va ribadito in questa sede che al Giudice di legittimità è preclusa - in sede di controllo della motivazione - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa (tra le altre, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601). Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, è - e resta giudice della motivazione. In definitiva, come più volte rimarcato da questa Corte, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (tra le altre, Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965). La sentenza impugnata risulta congruamente motivata in relazione a tutti i profili dedotti dai ricorrenti, in ordine alla sussistenza del fatto, alla sua qualificazione giuridica, al giudizio di colpevolezza, e le argomentazioni svolte non risultano apparenti, né "manifestamente" illogiche o contraddittorie. In particolare, la Corte territoriale ha analizzato la questione se fosse integrata o meno l'ipotesi della legittima difesa dei ricorrenti e ha spiegato che dagli stessi operatori di polizia intervenuti viene da subito messa in luce una reciproca offesa e non, come sostenuto dai ricorrenti, una aggressione e una reazione di difesa. In presenza delle forze dell'ordine intervenute, M. e F.D., dopo essersi violentemente offesi, avevano iniziato una colluttazione nella Piazza di Tropea con calci e pugni, con il coinvolgimento di altri presenti e la formazione di due schieramenti, ovvero da una parte M. e T. e dall'altra gli odierni ricorrenti. Dopo che gli agenti erano riusciti a riportare la calma con l'aiuto di una pattuglia di rinforzo, la lite era proseguita tra gli stessi soggetti, spostandosi dinanzi al portone di ingresso del palazzo oggetto della disputa e poi al suo interno. Dalla sentenza emerge che tra i contendenti esistevano pregresse contese di natura civilistica e la condotta del M. ha dato causa all'insorgenza dello scontro, ma i ricorrenti, a loro volta, hanno tratto da tale situazione l'occasione per aggredire a loro volta anche in presenza delle forze dell'ordine giunte sul posto. Ritiene il Collegio, che la Corte territoriale abbia fatto buon governo dei principi consolidati in materia di applicazione della esimente della legittima difesa in tema di rissa, secondo i quali "e' configurabile la legittima difesa in uno scontro tra gruppi contrapposti solo quando coloro che si difendono si pongono in una posizione passiva, limitandosi a parare i colpi degli avversari o dandosi alla fuga, così da far venir meno l'intento aggressivo, e non quando la difesa si esplica attivamente (nella specie, tentando di sferrare calci e pugni agli oppositori)". (tra le altre, Sez. 5, n. 33112 del 08/10/2020, Borghi, Rv. 279972; Sez. 5, n. 10080 del 23/06/1980, Miotello, Rv. 146127), ovvero quando tutti i partecipanti abbiano agito con l'intento di sopraffarsi a vicenda. (Sez. 1, n. 6417 del 01/04/1985, Martinat, Rv. 169937). Infine, i giudici di merito hanno escluso, con motivazione congrua e corretta in punto di diritto, che nel caso in esame fosse invocabile l'esimente del vim vi repellere licet, atteso che, non solo al momento dell'esplosione della lite non era in atto alcuno spoglio violento o clandestino del possesso dell'immobile - essendosi registrato un tentativo di spoglio da parte del M. quando la rissa era già in corso e si era, in parte, svolta - ma, inoltre, la presenza delle forze dell'ordine sul posto garantiva il ricorso all'autorità giudiziaria. Sul punto questo Collegio intende ribadire che il principio vim vi repellere licet, che rende non punibile l'autore della violenza, trova applicazione soltanto quando l'agente abbia agito "in continenti", per cui tra l'azione perturbatrice e quella contraria dell'agente non si sia frapposto alcun lasso di tempo sufficiente per adire il giudice ed ottenere un provvedimento idoneo ad evitare il prodursi o il protrarsi di una situazione di danno (tra le altre, Sez. 6, n. 483 del 27/11/1996, dep. 1997, Del Nero, Rv. 207734), circostanza non riconoscibile nella fattispecie oggetto del presente giudizio. 2. Per le ragioni sopra esposte, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma determinata, equamente, in Euro 3.000,00, tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità" (Corte Cost. n. 186 del 13/06/2000). P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 12 novembre 2021. Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2022
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