FATTO E DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Milano, in data 12.9.2020, decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato P.A. alla pena ritenuta di giustizia, in relazione ai reati ex artt. 110,628, comma 1 e 2, n. 1), c.p. (capo A) e art. 61, comma 2, art. 582 c.p., comma 1 e 2, (capo B), commesso in danno di C.A., assolveva l'imputato dal reato di cui al capo A) dell'imputazione, con conseguente rideterminazione dell'entità del trattamento sanzionatorio in senso più favorevole al reo, confermando nel resto la sentenza impugnata.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale tribunale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto ricorso per cassazione il P., lamentando: 1) violazione di legge processuale, con riferimento alla ritenuta procedibilità d'ufficio del reato di lesioni personali volontarie; 2) violazione di legge in punto "di malgoverno interpretativo e mancata applicazione della esimente di cui all'art. 52 c.p., anche nella forma putativa"; 3) vizio di motivazione, "stante il travisamento della prova in ordine alla sequenzialità dei fatti e alla annotazione di p.g., nonché con riguardo a quanto indicato dalla p.g. come riferito dal teste Fabiani" articolando quattro motivi di ricorso; 4) violazione di legge, "per malgoverno interpretativo e mancata applicazione dell'ipotesi ex art. 588 c.p., comma 2, in luogo delle ritenute lesioni a carico dei tre imputati"; 5) violazione di legge processuale, per violazione del principio del "divieto di reformatio in pejus, in relazione alla pena in concreto dalla corte irrogata ex art. 582, c.p."
2.1. Con requisitoria scritta del 13.1.2022, depositata sulla base della previsione del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalità di celebrazione è stata specificamente richiesta da una delle parti, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
4. Manifestamente infondato appare il primo motivo di ricorso, secondo cui, venuta meno la circostanza aggravante teleologica di cui all'art. 61 c.p., n. 2), in conseguenza dell'intervenuta assoluzione del P. dal reato di cui al capo A), il reato di lesioni personali volontarie sarebbe perseguibile a querela di parte, non rinvenuta agli atti, non potendosi fare affidamento sulla prognosi effettuata dai sanitari del pronto soccorso.
Ed invero il ricorrente trascura di considerare che, a prescindere dalla natura squisitamente fattuale della censura sulla prognosi della malattia insorta nella persona offesa a causa delle lesioni patite, ritenuta guaribile in venticinque giorni dal personale sanitario intervenuto nella immediatezza dei fatti, all'imputato è stata contestata in fatto l'aggravante delle più persone riunite ex art. 585 c.p., comma 1, che rende il reato di cui si discute perseguibile d'ufficio ai sensi dell'art. 582 c.p., comma 2, avendo egli consumato l'aggressione fisica in danno del C., insieme con G.G. e Co.Lo., per i quali si è proceduto separatamente.
Ed invero, come affermato dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di delitti contro la vita e l'incolumità individuale, ai fini della configurabilità dell'aggravante del fatto commesso da più persone riunite, introdotta dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, nel corpo dell'art. 585 c.p., comma 1, è richiesta la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della condotta violenta, pur se questa sia posta in essere da una soltanto di esse (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 12743 del 20/02/2020, Rv. 279022).
Contestazione in fatto, giova evidenziare, del tutto legittima, trattandosi di un comportamento materiale oggettivamente determinato nella sua materialità nel capo d'imputazione, e senza alcun elemento valutativo da sottoporre al vaglio del giudice, onde la sua esplicitazione ha consentito all'imputato l'adeguato esercizio del diritto di difesa, tanto che egli non ha mai contestato la simultanea presenza in loco dei tre imputati, ma solo una diversa ricostruzione delle modalità di svolgimento dello scontro fisico tra loro e la persona offesa (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 28483 del 10/09/2020, Rv. 280013).
In conclusione nel caso in esame ricorrono due condizioni che rendono il delitto di lesioni personali volontarie perseguibile d'ufficio ai sensi dell'art. 582 c.p., comma 2: la durata della malattia superiore ai venti giorni e la circostanza aggravante delle più persone riunite, prevista dall'art. 585 c.p.p., comma 1.
4.1. Inammissibili appaiono anche il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, incentrati essenzialmente sull'argomento della mancanza di prova in ordine alla circostanza che il P., comunque presente nel luogo in cui si sono svolti i fatti, abbia aggredito il C. insieme con il G. e il Co., emergendo, piuttosto, dalle risultanze processuali, ad avviso del ricorrente, che quest'ultimo è intervenuto solo successivamente nella lite inizialmente scoppiata tra i suoi amici e la persona offesa, venendo a sua volta aggredito dal C..
Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, anche a seguito della modifica apportata all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In questa sede di legittimità, infatti, è precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
Ne' va taciuta, con riferimento agli atti processuali di cui il ricorrente lamenta un'inadeguata valutazione da parte della corte territoriale, a partire dalle dichiarazioni del testimone oculare F., il quale ha riferito di avere "visto tre persone colpire con calci e pugni una persona" (il C.), "che si trovava per terra", la violazione del principio della cd. autosufficienza del ricorso, per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca vizi di motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga, come nel caso in esame, la loro integrale trascrizione o allegazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Rv. 256723; Cass., Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv. 270071). Siffatta interpretazione va mantenuta ferma, come chiarito da alcuni recenti arresti, anche dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 165 bis, comma 2, inserito dal D.Lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, art. 7 dovendosi ribadire l'onere di puntuale indicazione ed allegazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l'allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (cfr. Cass., Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, Rv. 280419; Cass., Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432).
4.2. Il quarto motivo di ricorso appare anche manifestamente infondato, in quanto, come chiarito da tempo dalla giurisprudenza di legittimità, con un condivisibile orientamento, mai disatteso nel corso degli anni, quando più persone aggrediscono un'altra, la quale reagisce difendendosi, non ricorrono gli elementi costitutivi del delitto di rissa, né nei confronti dell'aggredito, né degli aggressori. Infatti, poiché la legittima difesa esclude l'antigiuridicità del fatto, non rissa l'aggredito, in quanto egli agisce per difendere sé stesso dal pericolo attuale di una offesa ingiusta, non già allo scopo di attentare, con atti di violenza, all'altrui incolumità, né rissano gli aggressori, non avendo costoro di fronte un corrissante, bensì un soggetto che si difende dalla loro violenza. Ricorrendo siffatta ipotesi, mentre chi ha reagito versando in stato di legittima difesa non è punibile a sensi dell'art. 52 c.p., gli aggressori rispondono delle conseguenze penali degli atti di violenza posti in essere (percosse, lesioni, ecc.) (cfr. Cass., Sez. 1, n. 8592 del 21/06/1972, Rv. 122760).
Tale principi trovano puntuale riscontro nella fattispecie in esame.
Una volta accertato, infatti, che l'aggressione fisica è iniziata da parte del G. e del Co., alla presenza del P. (sì da ritenere integrata, come si è detto, la cir C.nza aggravante delle più persone riunite) e che, come riferito dal testimone oculare F., i tre uomini avevano picchiato con calci e pugni il C., mentre quest'ultimo si trovava per terra, la stessa versione dell'imputato, secondo cui egli sarebbe intervenuto, con scopi pacificatori, solo dopo che i suoi amici avevano aggredito violentemente il C., facendolo rovinare al suolo, dove l'aggressione era continuata, questa volta anche con la partecipazione del P., in quanto costretto a difendersi da una reazione violenta della persona offesa (che, pur trovandosi in terra, lo avrebbe "preso per il collo"), non esclude affatto la sua punibilità.
Ed invero, ove anche fosse stata effettivamente posta in essere nei termini indicati dal P., la reazione del C. non sarebbe stata idonea, nemmeno in termini putativi, a scriminare la condotta dell'imputato, trattandosi, come si è detto, di legittima reazione all'altrui aggressione, cui il P. ha scientemente partecipato.
4.3. Manifestamente infondato appare anche l'ultimo motivo di ricorso. Nel determinare la nuova entità del trattamento sanzionatorio, la corte territoriale è partita da una pena base di diciotto mesi di reclusione, riducendola a quindici mesi di reclusione per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza sulla circostanza aggravante delle più persone riunite, ulteriormente ridotta, per la scelta del rito, alla pena finale di mesi dieci di reclusione.
In tal modo, ad avviso del ricorrente, si sarebbe determinata una violazione del principio del divieto di reformatio in peius, fissato dall'art. 597 c.p.p., comma 4, in quanto, da un lato, in primo grado, ritenuto più grave il delitto di cui al capo A), l'aumento di pena a titolo di continuazione per il reato di lesioni personali volontarie di cui al capo B), tenuto conto dell'"abbattimento per il rito", era stato pari a sei mesi e venti giorni di reclusione; dall'altro, la riduzione di pena conseguente al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, era stata piena e non limitata a soli tre mesi.
Il ricorrente, tuttavia, non tiene conto del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui non viola il divieto di "reformatio in peius" il giudice di appello che, assolto l'imputato, esclusivo impugnante, dal reato preso in considerazione per determinare la pena base, ridetermini la pena per il residuo reato in misura superiore a quella originariamente stabilita, senza superare né la pena base, né quella complessiva già determinate dal giudice di primo grado (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 44632 del 06/10/2021, Rv. 282279).
Tale è la situazione verificatasi nel caso che ci occupa, in quanto il giudice di primo grado, nel determinare la pena da irrogare, ritenuto più grave tra i due reati unificati sotto il vincolo della continuazione, quello di rapina aggravata di cui al capo A), ha fissato la pena-base in anni tre mesi tre di reclusione ed Euro 450,00 di multa, ridotta, ex art. 62 bis c.p., alla pena di anni due mesi due di reclusione ed Euro 300,00 di multa, aumentata per la continuazione con il reato di lesioni personali volontarie e poi ridotta, per la scelta del rito, alla pena finale di anni due di reclusione ed Euro 300,00 di multa.
5. Alla dichiarazione di inammissibilità, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3000,00 a favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della circostanza che l'evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest'ultimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2022