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Differenza tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione: l’intenzione dell’agente distingue i reati

Estorsione

Cassazione penale sez. II, 24/04/2024, n.18183

La differenza tra i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia (art. 393 c.p.) e estorsione (art. 629 c.p.) risiede principalmente nell’intenzione dell’agente. Nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la violenza o la minaccia è motivata dal desiderio di salvaguardare una propria posizione creditoria che, in teoria, potrebbe essere tutelata in sede giurisdizionale. Al contrario, nel reato di estorsione, la violenza o minaccia è finalizzata a conseguire un profitto ingiusto, ossia una pretesa che va oltre il recupero di un credito effettivo o giustificabile.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia emessa in data aprile 2018 dal Gup del Tribunale di Lucca, riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 62, n. 4, cod. pen. prevalente sulle aggravanti contestate, ha rideterminato la pena inflitta a Mo.Ni., in relazione al reato di cui agli artt. 110-629 cod. pen. 2. Ricorre per cassazione Mo.Ni., a mezzo del proprio difensore, formulando due motivi di impugnazione. 2.1. Con il primo motivo, si deduce la mancata riqualificazione dei fatti ai sensi dell'art. 393 cod. pen., dal momento che oggetto della richiesta asseritamente estorsiva era soltanto la somma di denaro già dovuta in ragione di un pregresso rapporto di credito debito. 2.2. Con il secondo motivo, la difesa si duole del mancato riconoscimento dell'attenuante della lieve entità introdotta dalla Corte Costituzionale. 3. Il ricorso è inammissibile. 3.1. Fermo restando che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico, nel caso di specie, i giudici di merito - e in particolare la sentenza di primo grado, pp. 1-3, richiamata per condivisione nella sentenza impugnata - valorizzano in punto di fatto correttamente la somma assai più alta inizialmente richiesta, insuscettibile di essere ricondotta al solo recupero del credito insoluto per l'attività di tatuatore; soltanto in un momento successivo, dopo che le richieste estorsive erano state estese anche alla madre di Ma., ci si era accordati per un importo minore, in mancanza di meglio, coincidente con quanto dovuto. Il primo motivo è dunque manifestamente infondato, restando escluso, in base alla ricostruzione della vicenda intangibile in questa sede, che la condotta minatoria fosse sorretta dalla volontà di salvaguardare una propria posizione creditoria suscettibile di tutela giurisdizionale. 3.2. Nella pienezza della giurisdizione di merito, la Corte fiorentina ha poi escluso che potesse ravvisarsi la fattispecie attenuata, stigmatizzando, anche in questo caso saldandosi alle considerazioni del primo giudice, il quadro di intimidazione e pressione psicologica tutt'altro che modesto, tenuto conto dell'azione di supporto di terzi estranei, della prospettazione di rappresaglie significative e dell'evocazione di retroscenici misteriosi personaggi di grande spessore criminale. Il secondo motivo non è pertanto consentito, in quanto postula un'impossibile rilettura del compendio istruttorio. 4. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di colpa emergenti dall'impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 24 aprile 2024. Depositato il 9 maggio 2024.
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