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Estorsione: la minaccia di azioni giudiziarie per ottenere somme non dovute costituisce reato se la pretesa è consapevolmente pretestuosa

Estorsione

Cassazione penale sez. II, 06/06/2024, n.24559

Integra il reato di estorsione la minaccia di promuovere azioni giudiziarie al fine di ottenere somme di denaro non dovute o sproporzionate rispetto a quanto eventualmente spettante, a condizione che l’agente sia consapevole della pretestuosità della richiesta e persegua un profitto ingiusto. La minaccia estorsiva si configura quando la pretesa avanzata è eccentrica rispetto ai fini per i quali il diritto è riconosciuto e non corrisponde né nell'an (diritto all’esistenza della pretesa) né nel quantum (importo o misura della pretesa) a un diritto effettivo.
Diversamente, quando l’azione giudiziaria viene effettivamente intentata, l’intervento del giudice annulla il carattere estorsivo della minaccia, poiché il giudice esercita un potere pubblicistico volto alla risoluzione del conflitto di interessi, impedendo la configurazione dell’estorsione.
Tuttavia, qualora sia evidente che l’azione giudiziaria rappresenta una strumentalizzazione volta a ottenere un profitto ingiusto per via extragiudiziaria, ad esempio tramite il ricorso a numerose azioni pretestuose con l’intento di fiaccare moralmente ed economicamente la controparte, si può configurare il reato di estorsione. Ciò vale anche in forma tentata, nel caso in cui l’agente non riesca a conseguire l’obiettivo prefigurato.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Il Tribunale di L'Aquila, in funzione di riesame, con ordinanza del 7/3/2024 annullava l'ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Vasto in data 22/2/2024, che aveva disposto la misura cautelare del divieto di dimora in Abruzzo e Molise nei confronti di Co.Fu., in relazione ad una serie di fatti di concorso in calunnia continuata (artt. 81 cpv., 110, 368 cod. pen.) commessi tra il 19 novembre 2021 ed il 20 ottobre 2022, nonché in relazione ad una serie di fatti di concorso in tentata estorsione continuata (artt. 81 cpv., 110, 56, 629 cod. pen.). Risulta, in particolare, dagli atti che il Co.Fe. (nella qualità di legale ed in concorso con i propri assistiti Fe.Lu., da De.Fr. e Ba.Fr.), dopo avere accusato diversi soggetti (tra i quali il CTU Si.Et.e gli avvocati Ma.Ma. e Me.Lu.) coinvolti a vario titolo - anche professionale - in procedimenti di esecuzione immobiliare, dei reati di ingiuria, diffamazione, minaccia, violazioni del domicilio e della riservatezza, ha promosso sette autonomi giudizi civili innanzi al Tribunale di Vasto chiedendo al Si.Et. un risarcimento complessivo di 5.000.000 milioni di euro, all'avv. Ma.Ma. un risarcimento complessivo di 2.100.000 euro ed all'avv. Me.Lu. un risarcimento di 1.000.000 di euro. 2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vasto ha interposto ricorso per cassazione. 2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. A fronte della motivazione del Tribunale del riesame - che ha ritenuto che tutte le ipotesi di reato di reato descritte negli atti di citazione (diffamazione, violazione della riservatezza, minaccia, ingiuria, ecc.) non integrassero in alcun modo fattispecie procedibili di ufficio per le quali il giudice civile dovesse riferire all'Autorità Giudiziaria competente, trattandosi piuttosto di ipotesi perseguibili a querela di parte - rileva il ricorrente che nella imputazione di cui al capo 1), lett. a) e b), risulterebbe contestato in fatto l'abuso di ufficio, per il quale non è prevista la procedibilità a querela, con la conseguenza che sarebbe configurabile la calunnia contestata, essendo il giudice civile tenuto a riferire all'Autorità Giudiziaria competente. Sotto diverso profilo e con riferimento al reato di cui al capo 2), ritiene che l'impostazione del Tribunale del riesame non possa esser condivisa, atteso che semmai deve destare maggiore allarme la condotta, caratterizzata da serialità e progressione criminosa, del soggetto che, consapevole della palese infondatezza di richieste risarcitorie, costringa una pluralità di destinatari a subire defatiganti procedimenti civili, rispetto a chi si limiti solo a minacciare l'instaurazione di un giudizio civile per ottenere un profitto contra ius. 2.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Osserva che il Tribunale non ha valutato una pluralità di atti, compiutamente indicati, da cui emerge che - lungi dal desistere dalle condotte incriminate - l'indagato ha continuato ad insistere nel coltivare le azioni pretestuosamente intentate, fino al recente atto di invito alla mediazione civile datato 4/1/2024; che, dunque, le esigenze cautelari, a differenza di quanto affermato dal Tribunale del riesame, hanno il carattere della concretezza e della attualità. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato nei limiti che seguono. 1.1. Il primo motivo, che è sviluppato sotto due profili, è parzialmente fondato. 1.1.1. Sotto un primo aspetto - con il quale si afferma che le imputazioni di cui al capo 1), lett. a) e b), contenevano in fatto la contestazione del reato di abuso di ufficio, presupposto per la configurabilità del delitto di calunnia - è manifestamente infondato. Ed invero, osserva il Collegio che quanto afferma il ricorrente non trova conferma nella lettura del capo di imputazione, che non descrive una condotta connotata dal dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie criminosa di cui all'art. 323 cod. pen., ossia la rappresentazione e la volizione dell'evento come conseguenza diretta e immediata della condotta dell'agente e obiettivo primario da costui perseguito (Sez. 6, n. 21192 del 25/1/2013, Barla, Rv. 255368 - 01; Sez. 5, n. 3039 del 3/12/2010, Marotta, Rv. 249706 - 01). Corretta in punto di diritto è, quindi, l'affermazione contenuta nell'ordinanza impugnata che ha rilevato l'insussistenza del reato di cui all'art. 368 cod. pen. Detta affermazione è conforme ai principi in materia dettati da questa Corte di legittimità laddove ha chiarito che "Non è configurabile il delitto di calunnia allorché la falsa incolpazione abbia ad oggetto un reato procedibile a querela in relazione al quale la stessa non sia stata presentata" (Sez. 6, n. 28231 del 13/02/2019, Rv. 276226). 1.1.2. Sotto il secondo profilo il motivo di ricorso è fondato. La giurisprudenza di legittimità ha più volte avuto modo di precisare che integra il reato di estorsione la pretesa azionata in giudizio per scopi eccentrici rispetto a quelli per i quali il diritto è riconosciuto o tutelato, o comunque non dovuti nell'an o nel quantum, onde conseguire un profitto contra ius. In altri termini, integra gli estremi del reato di estorsione la minaccia di prospettare azioni giudiziarie al fine di ottenere somme di denaro non dovute o manifestamente sproporzionate rispetto a quelle dovute, qualora l'agente ne sia consapevole, potendosi individuare il male ingiusto ai fini dell'integrazione del più grave delitto nella pretestuosità della richiesta (Sez. 2, n. 19680 del 12/4/2022, Silvani, Rv. 283199 - 02; Sez. 6, n. 47895 del 19/6/2014, Vasta, Rv. 261217 -01). Diversa situazione si verifica quando l'azione giudiziaria è intentata, atteso che in questa ipotesi l'intermediazione del giudice, investito della cognizione della pretesa avanzata, impedisce che si possa ipotizzare da un lato la costrizione illecita e dall'altro l'ingiusto profitto dell'attore, dovendosi di conseguenza escludere la sussistenza dei suddetti elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 629 cod. pen. (Sezione 2, n. 50652 del 10/11/2023, Manfredi, n.m.). Il giudice, invero, con il provvedimento che definisce il giudizio esercita un potere di natura pubblicistica, connesso all'esercizio della giurisdizione, finalizzato all'attuazione delle norme giuridiche ed alla risoluzione dei conflitti di interessi tra le parti, che rende, dunque, non configurabile l'estorsione. Ne consegue che non ogni prospettazione alla controparte o a persona terza di esercitare un'azione giudiziaria e tantomeno l'effettivo esercizio dell'azione giudiziaria ancorché caratterizzata da prospettazioni infondate o da richieste economiche esorbitanti il dovuto deve essere considerata come una minaccia finalizzata ad ottenere un ingiusto profitto: è tale solo quella che appare ictu oculi finalizzata a conseguire un profitto ulteriore ed ingiusto, parallelo e complementare rispetto al preteso diritto azionato in sede giudiziaria. Ritiene quindi il Collegio che, qualora l'azione in giudizio, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, sia strumentale all'ottenimento dell'ingiusto profitto per via extragiudiziaria, ad esempio, perché, attraverso una pletora di azioni giudiziarie tendenti a fiaccare la resistenza morale ed economica delle controparti, costrette comunque a sostenere anticipatamente spese ed oneri per interventi in giudizio, mira a giungere ad una transazione al di fuori del giudizio e proprio al fine di estinguerlo, il delitto di cui all'art. 629 cod. pen., anche nella forma tentata, qualora il fine prefissato non sia raggiunto, è pienamente configurabile. Se quello descritto è l'ambito valutativo nel quale si deve muovere il giudice, così come è evidente che non perché un'azione giudiziaria è temeraria ciò comporta un tentativo di estorsione, è tuttavia altrettanto evidente che i caratteri di illiceità penale devono essere adeguatamente sondati attraverso una compiuta contestualizzazione delle vicende e delle conseguenti pretese economiche. Ed è proprio quest'ultimo il vizio di motivazione che presenta l'ordinanza impugnata che si è limitata ad operare una valutazione astratta della problematica giuridica senza tenere conto della possibile pretestuosità delle richieste avanzate dall'indagato, della strabordante esosità degli importi azionati così come emergenti dalle imputazioni che almeno in alcuni casi appaiono pacificamente esorbitanti rispetto ai diritti che si pretendono lesi ma, soprattutto, del numero e della serialità delle decine di azioni giudiziarie intraprese anche nei confronti di soggetti diversi, requisiti tutti che devono essere analiticamente analizzati anche al fine di una corretta valutazione del reale animus agendi dell'imputato. Sul punto, deve essere rimarcato quanto evidenziato dal ricorrente circa il fatto che l'emersa pretestuosità dei diritti azionati emerge dalla lettura di alcune delle sentenze del Tribunale di Vasto, che - nel definire numerosi altri giudizi intentati dagli indagati con condanna ex art. 96 cod. proc. civ. - ha accertato l'esistenza di "rivendicazioni insussistenti" e "palesemente infondate", parlando anche di "... coscienza dell'infondatezza della domanda", il tutto unito al fatto che, come altresì evidenziato dall'odierno ricorrente, presso il Tribunale di Vasto risultano essere stati incardinati dalla coppia Co.Fe. - Fe.Lu. ben 168 procedimenti (tra i quali ancora 92 pendenti). Ne consegue che il Tribunale del riesame ha fatto malgoverno dei principi di diritto sopra ribaditi, posto che ha ritenuto non concretizzato il tentativo di estorsione in ragione del concreto esperimento dell'azione giudiziaria innanzi al giudice civile, senza considerare le peculiarità del caso oggetto di scrutinio: si è in presenza, come detto, di una pluralità significativa di azioni giudiziarie intentate contro le medesime persone, connotate da serialità, del tutto strumentali e sproporzionate nelle richieste di risarcimento, rispetto alle quali è necessaria una puntuale valutazione al fine di verificare se siano finalizzate ad assillare ed a fiaccare la resistenza dei convenuti, sì da indurlo a raggiungere un accordo extragiudiziale ed ottenere in tal modo - a seguito di siffatta condotta costrittiva - un ingiusto profitto. 1.2. L'ordinanza impugnata, dunque, va annullata in parte qua, con rinvio al Tribunale di L'Aquila, che dovrà fare corretta applicazione del principio di diritto sopra enunciato e valutare se le plurime azioni giudiziarie patrocinate dall'avv. Covino siano finalizzate a conseguire un profitto ingiusto per via extragiudiziale. 1.3. Quanto osservato ai punti che precedono rende, allo stato, superato l'esame del motivo di ricorso relativo alle esigenze cautelari essendo prioritario stabilire se e quante delle azioni contestate configurano reato e soprattutto, alla luce di quanto esposto nel ricorso dal Pubblico Ministero se sono presenti in atti elementi che consentono di non ritenere che i fatti in contestazione abbiano avuto una evoluzione anche in tempi più recenti. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata, limitatamente al capo 2) e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di L'Aquila, competente ai sensi dell'art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Così deciso in Roma, il giorno 6 giugno 2024. Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2024.
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