RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza in data 11 marzo 2024, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di L'Aquila ha annullato l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Vasto in data 22 febbraio 2024 con la quale era stata applicata a Fe.Lu. la misura cautelare personale del divieto di dimora in Abruzzo e Molise in relazione ad una serie di fatti di concorso in calunnia continuata (artt. 81 cpv., 110, 368 cod. pen.) commessi tra il 19 novembre 2021 ed il 20 ottobre 2022, nonché in relazione ad una serie di fatti di concorso in tentata estorsione continuata (artt. 81 cpv., 110, 56, 629 cod. pen.).
Risulta, in particolare, dagli atti che il Fe.Lu. (in concorso con il proprio legale avv. Co.Fu.), cessionario di crediti da De.Fr. e Ba.Fr., dopo avere accusato diversi soggetti (tra i quali il CTU Si.Et. e gli avvocati Ma.Ma. e Me.Lu.) coinvolti a vario titolo - anche professionale - in procedimenti di esecuzione immobiliare, dei reati di ingiuria, diffamazione, minaccia, violazioni del domicilio e della riservatezza, ha promosso sette autonomi giudizi civili innanzi al Tribunale di Vasto chiedendo al Si.Et. un risarcimento complessivo di 5.000.000 milioni di Euro, all'avv. Ma.Ma. un risarcimento complessivo di 2.100.000 Euro ed all'avv. Me.Lu. un risarcimento di 1.000.000 di Euro.
Al Fe.Lu. risulta contestata la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale.
2. Ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Vasto, deducendo:
2.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.), segnatamente dall'articolo 273 cod. proc. pen. in merito ai gravi indizi di colpevolezza in ordine alle fattispecie delittuose di calunnia (art. 368 cod. pen.) e di tentata estorsione di cui agli articoli 56, 629 cod. pen. come interpretata dalla Suprema Corte ex multis nelle pronunce nn. 47972/2004; 51433/2013;17785/2015; 32795/2014.
2.2. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame (art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.), omesso esame degli atti del fascicolo delle indagini in particolare:
- degli atti dei procedimenti civili R.G.A.C. 1117/2021, 237/2022, 555/2022, 613/2022, 989/2022 incardinati presso il tribunale di Vasto di cui a pagina 401 (supporto CD-ROM allegato all'esito delega del 9/1/2024 della Sezione di P.G. - Aliquota P.S. della Procura di Vasto);
- dell'atto di invito a mediazione civile del 4/1/2024 di cui a pag. 413 del fascicolo delle indagini;
- dell'annotazione di p.g. del 17/1/2024 di cui a pagina 441 del fascicolo dell'indagini.
2.2.1. Rileva, innanzitutto, il ricorrente che il Tribunale, allorquando ha affermato che i delitti individuati e specificamente addebitati in sede civile dinanzi al Tribunale di Vasto sono tutti perseguibili a querela di parte non ricorrendo e non essendo contestate agli indagati neanche in fatto le condizioni eccezionali di perseguibilità d'ufficio per i reati che la prevedono, è caduto in una manifesta illogicità della motivazione in quanto dalla lettura dei capi di imputazione sub. 1, lett. a) e b), a carico degli indagati emerge la contestazione in fatto della calunnia per aver accusato l'architetto Si.Et., consulente del tribunale di Vasto e dunque pubblico ufficiale ex art. 357 cod. pen. del reato di abuso d'ufficio per avere intenzionalmente arrecato un danno ingiusto alla esecutata-correa De.Fr. strumentalizzando il munus conferito nell'ambito della procedura esecutiva, nonché per avere diffuso al pubblico i dati della donna, in violazione della legge sulla privacy.
2.2.2. Quanto, poi, ai fatti di tentata estorsione, rileva il ricorrente che avrebbe errato il Tribunale nel momento in cui ha ritenuto che non sarebbe configurabile il predetto delitto allorquando alla minaccia pretestuosa di adire le vie legali segue l'effettiva concretizzazione della stessa con la conseguente sottoposizione della vicenda all'Autorità Giudiziaria che espone il soggetto agente alle conseguenze dell'iniziativa giudiziaria, ivi inclusa la condanna per lite temeraria ex art. 96 cod. proc. civ. ciò in quanto si tratta di un assunto sconfessato in numerosi precedenti della Suprema Corte (richiamati nel ricorso).
In sostanza, secondo parte ricorrente, il Tribunale oltre a non aver tenuto conto dei principi di diritto in materia, non avrebbe neppure adeguatamente valutato la condotta caratterizzata da serialità realizzata da un soggetto che, consapevole della palese infondatezza delle richieste risarcitone, ha cercato di costringere una pluralità di destinatari a subire defatiganti procedimenti civili con ciò arrecando una maggiore offesa al bene giuridico protetto dall'ordinamento, né " del fatto dell'emersa pretestuosità dei diritti azionati come emerge dalla lettura di alcune delle sentenze del Tribunale di Vasto che nel definire i giudizi intentati dagli indagati con condanna ex art. 96 cod. proc. civ. ha accertato l'esistenza di "rivendicazioni insussistenti" e "palesemente infondate", parlando anche di "... coscienza dell'infondatezza della domanda".
A ciò si aggiunge, sempre secondo il ricorrente, l'elemento costituito dall'accurata selezione dei soggetti destinatari delle richieste di risarcimento scelti tra personaggi facoltosi (avvocati, professionisti ed altri).
2.2.3. Quanto, infine, alla attualità delle esigenze cautelari, rileva il ricorrente che ha errato il Tribunale facendo riferimento alla contestazione di fatti fino al 20 ottobre 2022 ha trascurato che risulta dagli atti dei procedimenti civili 1117/2021, 237/2022, 555/2022, 613/2022, 989/2022 che l'attività delittuosa è proseguita anche negli anni 2023 e fino al gennaio 2024 ed il fatto che presso il Tribunale di Vasto risultano essere stati incardinati dalla coppia Co.Fu.-Fe.Lu. ben 168 procedimenti (tra i quali ancora 92 pendenti) il che sarebbe indicativo del fatto che la condotta sarebbe ancora in fieri.
3. Occorre, per solo dovere di completezza, rilevare che è la difesa dell'indagato Fe.Lu. in data odierna ha fatto pervenire alle ore 1:51 una memoria del cui contenuto non si terrà conto in quanto depositata oltre i termini di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti che nel prosieguo si andranno ad esaminare.
2. Ritiene, innanzitutto, la Corte la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso atteso che dal contenuto delle imputazioni di cui al capo 1, lett. a) e b), così come formulate dal Pubblico Ministero, non emergono, allo stato, elementi per ritenere ravvisabile anche il reato di cui all'art. 323 cod. pen. che, essendo procedibile d'ufficio, consentirebbe di configurare il reato di calunnia.
In particolare, osserva il Collegio che quanto afferma il ricorrente non trova conferma nella lettura del capo di imputazione, che non descrive una condotta connotata dal dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie criminosa di cui all'art. 323 cod. pen., ossia la rappresentazione e la volizione dell'evento come conseguenza diretta e immediata della condotta dell'agente e obiettivo primario da costui perseguito (Sezione 6, n. 21192 del 25/1/2013, Barla, Rv. 255368-01; Sezione 5, n. 3039 del 3/12/2010, Maratta, Rv. 249706-01).
Corretta in punto di diritto è, quindi, l'affermazione contenuta nell'ordinanza impugnata che ha rilevato l'insussistenza del reato di cui all'art. 368 cod. pen.
Detta affermazione è conforme ai principi in materia dettati da questa Corte di legittimità laddove ha chiarito che "Non è configurabile il delitto di calunnia allorché la falsa incolpazione abbia ad oggetto un reato procedibile a querela in relazione al quale la stessa non sia stata presentata" (Sez. 6, n. 28231 del 13/02/2019, Rv. 276226).
Quanto agli altri fatti rubricati alle lettere da c) a g) del capo 1 della rubrica delle imputazioni non vi è ricorso.
3. Fondato è, invece, il secondo motivo di ricorso nel quale il ricorrente lamenta che il Tribunale ha errato nell'escludere la configurabilità del delitto di tentata estorsione.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte avuto modo di precisare che integra il reato di estorsione la pretesa azionata in giudizio per scopi eccentrici rispetto a quelli per i quali il diritto è riconosciuto o tutelato, o comunque non dovuti nell'an o nel quantum, onde conseguire un profitto contra ius. In altri termini, integra gli estremi del reato di estorsione la minaccia di prospettare azioni giudiziarie al fine di ottenere somme di denaro non dovute o manifestamente sproporzionate rispetto a quelle dovute, qualora l'agente ne sia consapevole, potendosi individuare il male ingiusto ai fini dell'integrazione del più grave delitto nella pretestuosità della richiesta (Sezione 2, n. 19680 del 12/4/2022, Silvani, Rv. 283199-02; Sezione 6, n. 47895 del 19/6/2014, Vasta, Rv. 261217-01).
Diversa situazione si verifica quando l'azione giudiziaria è intentata, atteso che in questa ipotesi l'intermediazione del giudice, investito della cognizione della pretesa avanzata, impedisce che si possa ipotizzare da un lato la costrizione illecita e dall'altro l'ingiusto profitto dell'attore, dovendosi di conseguenza escludere la sussistenza dei suddetti elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 629 cod. pen. (Sezione 2, n. 50652 del 10/11/2023, Manfredi, n.m.). Il giudice, invero, con il provvedimento che definisce il giudizio esercita un potere di natura pubblicistica, connesso all'esercizio della giurisdizione, finalizzato all'attuazione delle norme giuridiche ed alla risoluzione dei conflitti di interessi tra le parti, che rende, dunque, non configurabile l'estorsione.
Ne consegue che non ogni prospettazione alla controparte o a persona terza di esercitare un'azione giudiziaria e tantomeno l'effettivo esercizio dell'azione giudiziaria ancorché caratterizzata da prospettazioni infondate o da richieste economiche esorbitanti il dovuto deve essere considerata come una minaccia finalizzata ad ottenere un ingiusto profitto: è tale solo quella che appare ictu oculi finalizzata a conseguire un profitto ulteriore ed ingiusto, parallelo e complementare rispetto al preteso diritto azionato in sede giudiziaria.
Ritiene quindi il Collegio che, qualora l'azione in giudizio, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, sia strumentale all'ottenimento dell'ingiusto profitto per via extragiudiziaria, ad esempio, perché, attraverso una pletora di azioni giudiziarie tendenti a fiaccare la resistenza morale ed economica delle controparti, costrette comunque a sostenere anticipatamente spese ed oneri per interventi in giudizio, mira a giungere ad una transazione al di fuori del giudizio e proprio al fine di estinguerlo, il delitto di cui all'art. 629 cod. pen., anche nella forma tentata, qualora il fine prefissato non sia raggiunto, è pienamente configurabile.
Se quello descritto è l'ambito valutativo nel quale si deve muovere il giudice, così come è evidente che non perché un'azione giudiziaria è temeraria ciò comporta un tentativo di estorsione, è tuttavia altrettanto evidente che i caratteri di illiceità penale devono essere adeguatamente sondati attraverso una compiuta contestualizzazione delle vicende e delle conseguenti pretese economiche.
Ed è proprio quest'ultimo il vizio di motivazione che presenta l'ordinanza impugnata che si è limitata ad operare una valutazione astratta della problematica giuridica senza tenere conto della possibile pretestuosità delle richieste avanzate dall'indagato, della strabordante esosità degli importi azionati così come emergenti dalle imputazioni che, almeno in alcuni casi, appaiono pacificamente esorbitanti rispetto ai diritti che si pretendono lesi ma, soprattutto, del numero e della serialità delle decine di azioni giudiziarie intraprese anche nei confronti di soggetti diversi, requisiti tutti che devono essere analiticamente analizzati anche al fine di una corretta valutazione del reale animus agendi dell'imputato.
Sul punto deve essere rimarcato quanto evidenziato dal ricorrente circa il fatto che l'emersa pretestuosità dei diritti azionati emerge dalla lettura di alcune delle sentenze del Tribunale di Vasto che nel definire numerosi altri giudizi intentati dagli indagati con condanna ex art. 96 cod. proc. civ. ha accertato l'esistenza di "rivendicazioni insussistenti" e "palesemente infondate", parlando anche di "... coscienza dell'infondatezza della domanda", il tutto unito al fatto che, come altresì evidenziato dall'odierno ricorrente, presso il Tribunale di Vasto risultano essere stati incardinati dalla coppia Co.Fu.-Fe.Lu. ben 168 procedimenti (tra i quali ancora 92 pendenti).
Ne consegue che il Tribunale del riesame ha fatto malgoverno dei principi di diritto sopra ribaditi, posto che ha ritenuto non concretizzato il tentativo di estorsione in ragione del concreto esperimento dell'azione giudiziaria innanzi al giudice civile, senza considerare le peculiarità del caso oggetto di scrutinio: si è in presenza, come detto, di una pluralità significativa di azioni giudiziarie intentate contro le medesime persone, connotate da serialità, del tutto strumentali e sproporzionate nelle richieste di risarcimento, rispetto alle quali è necessaria una puntuale valutazione al fine di verificare se siano finalizzate ad assillare ed a fiaccare la resistenza dei convenuti, sì da indurli a raggiungere un accordo extragiudiziale ed ottenere in tal modo - a seguito di siffatta condotta costrittiva - un ingiusto profitto.
4. L'ordinanza impugnata, dunque, va annullata in parte qua, con rinvio al Tribunale di L'Aquila, che dovrà fare corretta applicazione del principio di diritto sopra enunciato e valutare se le plurime azioni giudiziarie patrocinate dall'avv. Co.Fu. siano finalizzate a conseguire un profitto ingiusto per via extragiudiziale.
5. Quanto osservato ai punti che precedono rende, allo stato, superato l'esame del motivo di ricorso relativo alle esigenze cautelari essendo prioritario stabilire se e quante delle azioni contestate configurano reato e soprattutto, alla luce di quanto esposto nel ricorso dal Pubblico Ministero se sono presenti in atti elementi che consentono di non ritenere che i fatti in contestazione abbiano avuto una evoluzione anche in tempi più recenti.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente al capo 2) e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di L'Aquila, competente ai sensi dell'art. 309, co. 7, c.p.p.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 6 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2024.