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La minaccia di vie legali può integrare estorsione se volta a coartare la volontà altrui per ottenere vantaggi ingiusti

Estorsione

Cassazione penale sez. II, 11/07/2024, n.34636

La minaccia di adire le vie legali, pur avendo un'esteriore apparenza di legalità, può, infatti, integrare l'elemento costitutivo del delitto di cui all'art 629 cod. pen. quando sia formulata non con l'intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l'altrui volontà e conseguire risultati non conformi a giustizia (il principio è stato espresso in un caso in cui gli imputati avevano evocato vicende "inconfessabili" che sarebbero emerse nel corso di un instaurando processo civile, reclamando la corresponsione di un compenso non dovuto in cambio della mancata instaurazione di esso.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Napoli confermava la responsabilità di Sc.Pi. per il reato di estorsione consumata. Si contestava allo stesso di avere minacciato Ca. di conseguenze legali sfavorevoli che sarebbero conseguite dall'azione civile intentata da Gr. - figlio della compagna di Sc.Pi. - funzionale a rivendicare la proprietà dell'immobile acquistato dalla parte civile Ca. con l'intermediazione di Sc.Pi., cosi inducendo Ca. a consegnare al ricorrente ventimila euro, in adempimento di un accordo transattivo stragiudiziale che la parte civile era stata costretta a sottoscrivere per assicurarsi la rinuncia alle azioni giudiziarie già intentate. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva: 2.1. violazione di legge (art. 629 cod. pen.) e vizio di motivazione: mancherebbe la dimostrazione sia della sussistenza di una azione costrittiva tenuto conto del fatto che il ricorrente si sarebbe limitato a prospettare le conseguenze delle azioni legali ad una persona assistita da avvocati; sia del profitto ingiusto, tenuto conto che la somma in ipotesi estorta, era stata corrisposta per ottenere una controprestazione - comunque adempiuta - e per soddisfare i diritti vantati dal ricorrente come mediatore, 2.2. violazione di legge e vizio di motivazione: non sussisterebbe l'elemento soggettivo del reato contestato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.Preliminarmente il collegio rileva che non è competente a provvedere sull'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato che deve essere avanzata alla Corte di appello. Si riafferma infatti che è inammissibile l'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato presentata davanti alla Corte di cassazione, atteso che gli artt. 93 e 96 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, riservano ai giudici di merito la competenza a provvedere; ne consegue che, quando procede la Corte di cassazione, l'istanza deve essere presentata all'ufficio del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato, al quale spetta disporre l'ammissione al beneficio qualora ne ricorrano le condizioni (Sez. 5, n. 3538 del 17/12/2018, dep.2019, Liban Domingo, Rv. 275413 - 01). 2.Il ricorso è infondato. 2.1. In via preliminare occorre circoscrivere l'area di rilevanza penale delle condotte funzionali ad ottenere un profitto ingiusto agite attraverso la prospettazione - o la concreta promozione - di azioni giudiziarie. Sul tema il collegio riafferma, in primo luogo, che integra gli estremi del reato di estorsione la minaccia di prospettare azioni giudiziarie al fine di ottenere somme di denaro non dovute o manifestamente sproporzionate rispetto a quelle dovute, qualora l'agente ne sia consapevole, potendosi individuare il male ingiusto prospettato nella pretestuosità della richiesta (Sez. 2, n. 19680 del 12/4/2022, Silvani, Rv. 283199 - 02; Sez. 6, n. 47895 del 19/6/2014, Vasta, Rv. 261217 - 01; Sez. 2, n. 48733 del 29/11/2012, Parvez, Rv. 253844 - 01). La minaccia di adire le vie legali, pur avendo un'esteriore apparenza di legalità, può, infatti, integrare l'elemento costitutivo del delitto di cui all'art 629 cod. pen. quando sia formulata non con l'intenzione di esercitare un diritto, ma con lo scopo di coartare l'altrui volontà e conseguire risultati non conformi a giustizia (il principio è stato espresso in un caso in cui gli imputati avevano evocato vicende "inconfessabili" che sarebbero emerse nel corso di un instaurando processo civile, reclamando la corresponsione di un compenso non dovuto in cambio della mancata instaurazione di esso: Sez. 2, n. 36365 del 07/05/2013, Braccini, Rv. 256874 - 01). In secondo luogo, deve essere chiarito che, quando l'azione giudiziaria è concretamente promossa, il fatto che ci sia l'intervento del giudice, che è investito della cognizione della legittimità della pretesa, impedisce che si possa ipotizzare la sussistenza sia della costrizione illecita, che del profitto ingiusto dell'attore, il che osta alla possibilità di ritenere integrata l'estorsione (Sez. 2, n. 50652 del 10/11/2023, Manfredi, n.m.). Esiste infatti un'ontologica incompatibilità tra la promozione di cause civili, che implica l'intervento della mediazione del giudice, cui è affidata la valutazione della legittimità della pretesa, e l'azione estorsiva. 2.2. Fatte queste premesse, il collegio ritiene che l'estorsione può essere integrata se la promozione di azioni giudiziarie costituisce lo strumento utilizzato per costringere il convenuto ad accettare accordi "stragiudiziali" palesemente ingiusti, che non sarebbero mai stati considerati, se lo stesso non fosse stato costretto a resistere in un giudizio attivati in modo temerario. Si ritiene, cioè, che la promozione di azioni temerarie non configura "di per sé" un tentativo di estorsione. L'estorsione, sia in forma tentata, che consumata, può ritenersi integrata solo qualora l'azione promossa costituisca il mezzo per ottenere un profitto ingiusto "fuori dal giudizio", essendo funzionale a costringere il convenuto, fiaccandone le resistenze economiche e morali, a consegnare somme a titolo formalmente "transattivo", ma invero, privo di qualunque giustificazione, e, dunque, ingiusto. 2.3. Nel caso in esame la Corte di appello riteneva sussistente l'estorsione, pur richiamando principi di diritto non pertinenti in quanto relativi alfa minaccia di adire le vie legali (pag. 11 della sentenza impugnata) e non alla strumentalizzazione di azioni giudiziarie già intentate per ottenere - in via stragiudiziale - un profitto ingiusto. In tal senso la motivazione della sentenza impugnata deve essere rettificata ai sensi dell'art. 619, comma 1, cod. proc. pen., dato che l'errore di diritto non incide sul dispositivo. 2.4. Invero, come rilevato dalla Corte di appello, la vicenda estorsiva in esame si radica su un tessuto relazionale già esistente tra Sc.Pi. e la parte civile Ca.. Ca., con l'intermediazione di Sc.Pi. aveva concluso ripetuti contratti di compravendita, acquistando due appartamenti e due posti auto; Sc.Pi. aveva ottenuto il compenso per l'intermediazione, ma, dopo la vendita del secondo appartamento, insisteva per ottenere cinquantamila Euro in nero, oltre al prezzo concordato per l'intermediazione, deteriorando i rapporti con la parte civile. A questo punto Gi. Gr., figlio della compagna di Sc.Pi., aveva instaurato azioni civili strumentali, dirette a gravare di iscrizioni l'immobile impedendone la commercializzazione. Sc.Pi., facendo leva sulla pendenza del giudizio, prospettava alla persona offesa molteplici conseguenze negative, ed esercitava pressioni minatorie funzionali ad ottenere la somma di ventimila (pag. 10 della sentenza impugnata). Emergeva, cioè, che Sc.Pi. aveva esercitato pressioni sulla vittima per ottenere la firma di un accordo stragiudiziale funzionale a "chiudere" il contenzioso che era stato avviato temerariamente dal figlio della sua compagna (Gr.). Peraltro, dopo l'avvio della causa civile da parte Gr., Ca. si era rivolto direttamente a Sc.Pi., ben sapendo che era lui il regista dell'operazione. Il ricorrente, nel corso dei colloqui con Ca., con fare arrogante, affermava che la causa avviata sarebbe stata lunga e che egli avrebbe agito per dimostrare la malafede, così inducendolo a versare la somma di ventimila Euro per chiudere la questione. Tale condotta integra il delitto di estorsione in quanto Sc.Pi., facendo leva sulla pendenza del giudizio civile, esercitava pressioni minatorie funzionali a costringere Ca. a firmare un accordo stragiudiziale, così ottenendo la somma - non dovuta - di ventimila euro. Si tratta di una condotta che, contrariamente a quanto dedotto, ha indubbia capacità coercitiva, ed integra l'azione minatoria necessaria per configurare il delitto contestato. 2.5. Le doglianze proposte con il secondo motivo, rivolte a contestare la motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo non superano la soglia di ammissibilità in quanto genericamente dirette a negare la sussistenza dell'elemento psicologico. Questo veniva, invece, ritenuto sussistente dalla Corte di appello, che aveva effettuato una esaustiva disamina delle emergenze processuali evidenziando la consapevolezza di Sc.Pi. (pagg. 10 ed 11 della sentenza impugnata). Si ribadisce che per l'appello, come per ogni altro gravame, il combinato disposto degli art. 581 comma primo lett. c) e 591 comma primo lett. c) del codice di rito comporta la inammissibilità dell'impugnazione in caso di genericità dei relativi motivi. Per escludere tale patologia è necessario che l'atto individui il "punto" che intende devolvere alla cognizione del giudice di appello, enucleandolo con puntuale riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, e specificando tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l'oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame (Sez. 6, n. 13261 del 6.2.2003, Valle, rv 227195; Sez. 4, n. 40243 del 30/09/2008, Falcioni, Rv. 241477; Sez. 6, n. 32227 del 16/07/2010, T. Rv. 248037, Sez. 6, n. 800 06/12/2011, dep. 2012, Bidognetti, Rv. 251528). Peraltro, in materia, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno stabilito che I' appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. U., n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822) 2.6. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. 2.7. La parte civile depositava conclusioni con le quali si limitava a chiedere il rigetto del ricorso e la conferma delle statuizioni civili. Sul punto il collegio riafferma che nel giudizio di legittimità la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali senza che sia necessaria la sua partecipazione all'udienza, purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attività diretta a contrastare l'avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione, atteso che la sua mancata partecipazione non può essere qualificata come revoca tacita e che la previsione di cui all'art. 541 cod. proc. pen. è svincolata da qualsiasi riferimento alla discussione in pubblica udienza (Sez. 5, n. 1144 del 07/11/2023, dep. 2024, D. Rv. 285598; Sez. 4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923 - 01) P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese di parte civile. Così deciso in Roma, il giorno 11 luglio 2024 Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2024
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